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LĂCUM.
Inoltre, aggiungeva Rohlfs, non c’è traccia di gorgia nelle parlate della Corsica, isola che fu in
parte toscanizzata tra l’VIII ed il IX secolo: se il fenomeno fosse dovuto al sostrato etrusco, in
quel periodo sarebbe passato dalla Toscana alla Corsica, cosa che invece non è avvenuta.
Oggigiorno si tende a ritenere che la motivazione della gorgia sia piuttosto strutturale e che
sia da imputarsi ad una reazione nei confronti della sonorizzazione delle sorde intervocaliche,
fenomeno che le parlate settentrionali tendevano ad esportare massicciamente verso sud.
Un fenomeno tipicamente fiorentino che invece si è riflesso non soltanto sull’italiano lette-
rario ma anche sull’italiano standard è quello dell’anafonesi, che consiste nella chiusura in i ed in
u delle é e delle ó chiuse derivanti da Ĭ e da Ŭ latine, poste davanti a laterali palatali (famiglia
anziché *faméglia), nasali palatali (vigna anziché *végna), n + occlusiva velare (lingua anziché *lén-
gua), n + affricata palatale (vince anziché *vence).
3.2. Dialetti toscani occidentali
Comprendono i dialetti delle aree pisana e livornese, lucchese, pistoiese. Le loro caratteristi-
che principali sono così sintetizzabili: z z
1) pronuncia spirantizzata delle affricate ts (dell’italiano a ione) e dz (dell’italiano ero). Si
sentirà dire a Lucca speransa, bellessa;
2) uso della terminazione in -ente anziché in quella in -ante per i participi della prima coniu-
gazione;
3) scempiamento di -rr- in -r- (ritroveremo lo stesso fenomeno nel romanesco popolare):
terra > tera;
4) conservazione delle vocali medie e o o pretoniche, che nel fiorentino passano rispettiva-
mente ad i e ad u (cocina anziché cucina);
5) mancata anafonesi;
6) sonorizzazione della velare sorda intervocalica (seguro anziché sicuro).
[20]
3.3. Varietà senese
Si tratta di una varietà meridionale del toscano, che condivide alcuni tratti con la varietà ro-
mana dell’italiano rispetto a quella fiorentina. Una delle maggiori peculiarità del senese consiste
nel passaggio di -er- atono ad -ar-: véndare «vendere», deberai «dovrai», etc. un’altra consiste nello
scempiamento della nasale bilabiale della terminazione della prima persona plurale del passato
remoto e del condizionale presente di tutte le coniugazioni: andamo «andammo», etc. citiamo
infine, tra le peculiarità di tipo meridionale (presente soprattutto nei dialetti dell’Umbria setten-
trionale e della Toscana orientale), la caratteristica palatizzazione in -gli nei plurali delle parole
terminanti, al singolare, in -lo, -llo: anegli «anelli», etc.
3.4. Varietà aretino-chianaiole e varietà garfagnine
Queste due varietà hanno in comune il progressivo allontanarsi dai più tipici caratteri toscani:
le prime, in direzione dei dialetti di tipo mediano, le seconde, in direzione di quelli galloitalici
dell’Emilia. Sono sicuramente il gruppo «meno toscano dei quattro».
4. I dialetti centromeridionali
A sud della Toscana e della Romagna troviamo la grande famiglia delle parlate centromeri-
dionali, che comprende: a) l’area mediana: l’Umbria meridionale, le Marche, l’Abruzzo aquilano,
il Lazio; b) l’area meridionale: l’Abruzzo adriatico, il Molise, la Puglia (Salento escluso), la Basili-
cata, la Campania, la Calabria settentrionale.
4.1. Area mediana
Sono pochi i fenomeni peculiari ed esclusivi di questa area. Fra i tratti più importanti si ri-
cordino:
1) la prosecuzione «adriatica» della palatizzazione di A, che dalla Romagna continua fino a
Bari, all’interno della Puglia ed al Golfo di Taranto (chièje, chiene «piaga, piano»);
2) l’assimilazione di -ld- in -ll- (lat. CALIDU > callë);
3) la conservazione della distinzione tra -o e -u in posizione finale: otto dal lat. OCTO, ma acitu da
lat. ACETUM.
Inoltre, nell’area mediana arrivano le propaggini di fenomeni che caratterizzano specifica-
mente l’area meridionale:
1) l’assimilazione di -nd- in -nn- e di -mb- in -mm-;
2) il passaggio da v a b e viceversa;
3) la palatizzazione di pl- e bl-;
4) la posposizione del possessivo.
4.1.1. Marche
I caratteri più salienti dei dialetti marchigiani consistono nella presenza della metafonesi e nella
relativa intensità della palatizzazione di A. interessanti sono altrettanto gli infiniti piceni in -a e le
terminazioni della prima persona plurale del presente indicativo (potema, vulima, etc.). In sintassi,
da notare l’uso della preposizione me < MEDIO, con i significati di «da, presso, in».
4.1.2. Umbria
Anche nei dialetti umbri la metafonia è presente, specie per -i finale. Anche in questi dialetti
è riscontrabile la palatizzazione di A; ad essa si accompagna una dittongazione in -ei- della Ē
latina. Si tenga presente infine che caratteri molto affini a quelli umbri si presentano nelle parlate
dell’Abruzzo aquilano. [21]
4.1.3. Lazio
Prima di accennare ad alcune caratteristiche dialettali del Lazio, è opportuno avvertire che
solo una minima parte di esse vale anche per Roma.
L’attuale dialetto della capitale, infatti, è il frutto di un radicale cambiamento linguistico, av-
venuto tra il XV ed il XVI secolo. Prima di tale epoca, infatti, il dialetto di Roma presentava
tratti nettamente più meridionali di quelli attuali. Non mancano tuttavia, anche nella parlata
odierna di Roma, residui di tratti centromeridionali, quali le assimilazioni consonantiche descritte qui
sopra, o l’affricazione della sibilante dopo nasale (intsieme «insieme»); le forme atone dei pronomi per-
sonali me, te, se, ce per mi, ti, si, ci (dimme «dimmi»); l’apocope degli infiniti (contsolà «consolare», sedè
«sedere», legge «leggere»); la rotacizzazione di -l- davanti a consonante (sordato «soldato»), la ter-
minazione in -emo per -iamo alla prima plurale del presente indicativo, il passaggio della laterale
palatale a j (fijo «figlio»).
Per quanto riguarda il resto del Lazio, la metafonia è vivacissima e conduce ad intaccare tutte
le vocali medie. A Cervara e in un’ampia zona comprendente il bacino dell’Aniene si verifica la
palatizzazione ed il passaggio, provocato dalla Ū latina, della laterale a i: iuna «luna» < lat. LŪNA,
etc. la palatizzazione di A conduce numerosi dialetti a rendere stabili le desinenze della seconda
plurale del presente indicativo in -éte per -ate e quelle del gerundio in -enno per -ando.
4.1.4. Area meridionale
I tratti che seguono caratterizzano l’area meridionale ma la loro estensione verso nord arriva
anche a ricoprire l’area cosiddetta mediana.
1) Assimilazione di -nd- in -nn- e di -mb- in -mm-. Il fenomeno, attribuito spesso dagli studiosi al
condizionamento del sostrato osco-umbro sull’apprendimento del latino, tocca pratica-
mente tutti i dialetti, a partire dalla linea Roma-Ancora per giungere fino alla Sicilia. Ha
dunque una forte caratterizzazione meridionale.
Delle due assimilazioni, la prima è certamente la più saldamente radicata, tanto d’esser appli-
cata dalla maggior parte dei parlanti anche quando parla italiano.
2) Passaggio di -mj- alla nasale palatale rafforzata -ggn- (vendeggna «vendemmia»).
3) Betacismo, che consiste nel passaggio da v a b e viceversa. Il fenomeno, già presente sia nel
latino classico che in quello volgare, tocca ora in modo precipuo i dialetti meridionali e
quelli sardi, pur se non mancano sporadici esempî anche nei dialetti veneti e lombardi
orientali. Nei dialetti meridionali, in particolare, si è imposta una forma di variazione in
base alla quale, in risposta a B-, V- latine iniziali, troveremo costantemente v- in posizione
iniziale o dopo una parola terminante per vocale, mentre avremo bb- nei casi in cui la
consonante labiale sia preceduta da parola terminante, in origine, per consonante: (l)a
vukkë «la bocca», etc.
4) Palatizzazione dei nessi consonantici PL- e BL-. I dialetti meridionali presentano una tendenza
a conguagliare, in tutto o in parte, gli esiti dei gruppi con consonante labiale sul modello
degli esiti dei gruppi con velare: mentre CL-, GL- si sviluppano, rispettivamente, in kj- e
in lj-, PL- giunge ad identificarsi con CL-, BL- s’avvicina a GL- e FL- giunge a sc-.
5) Posposizione del possessivo, soprattutto con i nomi di parentela. Nei dialetti del Centro-Sud
il possessivo viene sempre posposto al nome, e se questo è di parentela la posposizione
avviene in forma enclitica, cioè priva d’autonomia accentuale: cfr. il romanesco li panni mia
«i miei panni»; nap. o vavonë nuostë «il nostro nonno»; calabr. lu cumpagnu miu «il mio com-
pagno»; lucano maritë mejë «mio marito»; barese u patrunë nèst «il nostro padrone»; abr. la
casa mé «la mia casa»; sardo sa goghina nostra «la nostra cucina»; etc. e, per quanto concerne
le forme in enclisi, l’abr. pàtrëmë «mio padre»; laz. fìgliemo «mio figlio»; salent. fràtuta «tuo
fratello»; lucano attànete «tuo padre», calabr. fràtimma «mio fratello». Non presentano
forme in posizione enclitica i dialetti della Calabria meridionale, della Sicilia e, in Lucania,
i dialetti d’origine galloitalica. Pur avendo il possessivo posto dopo il sostantivo, anche i
dialetti sardi non presentano tuttavia forme di tipo enclitico.
[22]
6) Metafonia;
7) Anaptissi: in certi gruppi consonantici sentiti come “difficili”, o sgradevoli all’orecchio
meridionale, s’inserisce una vocale, con lo scopo di rendere il suono così ottenuto più
adatto alla fonetica dell’area: nap. pòlece «pulce», etc.
8) Passaggio della fricativa all’affricata, nei nessi ns, ls, rs: pentsare «pensare», ntsomma «in-
somma», muortso «morso».
9) Ammutimento: è la trasformazione in una vocale muta o indistinta – che trascriviamo qui
con il segno ë – delle vocali finali.
4.1.5. Abruzzo e Molise
Per Abruzzo intendiamo qui quello orientale ed adriatico; dell’Abruzzo aquilano abbiamo già
detto che condivide molti dei tratti laziali e dell’Umbria meridionale. L’Abruzzo è diviso così in
due parti, linguisticamente ben differenziate, dall’isoglossa che separa le parlate in cui la vocale
finale resta salda (Aquilano) e quelle in cui essa si riduca a vocale indistinta, quando non dilegua
addirittura. Oltre a tutti i fenomeni già registrati com