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Il periodo fascista è caratterizzato dalla creazione di un apparato amministrativo statale
espressamente destinato alle settore bibliotecario. Con il decreto del 7 giugno 1926, n. 944,
veniva costituita la Direzione generale accademie e biblioteche. Il provvedimento ha
costituito un notevole passo in avanti nell'organizzazione dell'attività bibliotecaria statale. Gli
effetti dell'istituzione della Direzione Generale sulla politica bibliotecaria furono
considerevoli: rappresentò un ambito di azione caratterizzato in senso tecnico è capace di
una forte spinta propositiva e propulsiva in questo senso.
Il contributo della Direzione Generale ha l'impostazione dei problemi bibliotecari sulla terreno
tecnico è attestato dalla nascita nel 1927 della rivista accademie e biblioteche d'Italia.
I risultati fino ad allora raggiunti consistevano in un allargamento e in una ridefinizione
dell'organico dei bibliotecari statali. Il programma di sviluppo consisteva nell' erogazione di
fondi consistenti ai singoli istituti, poi in un'organica attività di restauri e in interventi sulla
mercato dell'antiquariato librario per il recupero di materiale raro e di pregio e nel
potenziamento degli uffici delle Soprintendenze.
Nel campo delle biblioteche popolari era prevista la creazione di un apposito Istituto
Centrale, mentre tutte le strutture bibliotecarie avrebbero dovuto essere oggetto di un
apposito censimento. Il risultato più appariscente dell'azione condotta in questo periodo
dall'amministrazione statale per quanto riguarda le nuove strutture è certamente il
completamento nel 1933 della nuova sede della Nazionale Centrale di Firenze “ la prima in
Italia che sia stata ideata per una biblioteca moderna”.
Quasi l'intero complesso delle biblioteche pubbliche governative veniva sottoposto a
interventi di riordinamento edilizio.
Gli anni tra il 1930 e la caduta del fascismo (1943) sono caratterizzati da un attività
legislativa di vasta portata che ha interessato alcuni importanti istituti giuridici di rilevanza
bibliotecaria, il controllo bibliografico culturale veniva affidato al provveditorato agli studi e al
ministero della cultura popolare. Nel campo della conservazione e della tutela del patrimonio
librario non è possibile non ricordare l'episodio di grave depauperamento costituito dalla
cessione alla Biblioteca Vaticana della biblioteca Chigiana, il dono voleva costituire un segno
tangibile della politica di riavvicinamento alla Santa Sede che verrà perseguita dal fascismo
e culminerà con il Concordato del 29.
Negli anni successivi alla creazione della Direzione Generale la politica di conservazione si
farà più rigorosa e si tradurrà anche nell'acquisizione di una massa consistente di
manoscritti e libri antichi.
Anche per quanto riguarda il restauro vi furono interventi degni di nota: tramite le
soprintendenze furono compiuti numerosi interventi sulle biblioteche locali.
Al campo delle iniziative per il restauro è legata l’istituzione dell’Istituto di patologia del libro.
L’ente fu ideato e la sua realizzazione fortemente propugnata da Alfonso Gallo. Il settore
della conservazione e tutela dei beni, anche librari, di carattere storico artistico è stato poi
direttamente interessato dalla promulgazione della legge primo giugno 1939 basato su
l'inalienabilità del patrimonio storico artistico di proprietà pubblica e sulla salvaguardia di
quello appartenente a enti di natura non pubblica.
Le dodici soprintendenze bibliografiche verranno elevate a 15 nel 1935. A esse verranno
pure demandati i corsi per la preparazione agli uffici e ai servizi delle biblioteche popolari e
scolastiche.
Dal punto di vista istituzionale ha continuato a sussistere in epoca fascista il dualismo
bibliotecario nato in età liberale tra le biblioteche pubbliche di appartenenza statale,
comunale e provinciale, da un lato biblioteche popolari dall'altro. Non sorprende che venisse
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particolarmente valorizzato ed enfatizzato il ruolo delle biblioteche di importanza storica delle
maggiori città italiane per le quali Pier Silverio Leicht chiedeva nel 1933 alla Camera alcuni
provvedimenti di notevole rilievo che concernevano l'intervento statale a integrazione dei
bilanci comunali per le biblioteche locali che presentassero un interesse nazionale e
l'equiparazione dei direttori di queste biblioteche a quelli delle governative. Il fulcro della
riforma consisteva nella conferire agli enti locali caratteristiche e funzioni di poteri delegati.
Nel 1941 la comunale di Milano arriverà a ottenere uno stanziamento di 799 mila lire più
114 mila lire per spese generali. Significativamente diversi dagli sviluppi della situazione
bibliotecaria di Milano furono quelli di Bologna: il Comune aveva operato fin dal 1909 la
scelta di affiancare alla propria biblioteca di rilevanza storica un'altra iniziativa nel settore
delle popolari. L'iniziativa dopo l'avvento del fascismo si scontrò con quelle analoghe
direttamente sostenute dal regime e verrà a cessare.
Si trattava di andare in direzione di una biblioteca moderna che era stata auspicata già nel
1928 da Gerardo Bruni, il problema della modernizzazione bibliotecaria è collocato sull'unico
terreno sul quale poteva venire posto in termini veramente concreti: quello delle strutture
edilizie e dei servizi.
La biblioteca pubblica contemporanea era sorta sulle terreno dell'amministrazione e
dell'autonomia locale; ma questa strada non era in Italia percorribile perché di autonomia
locale non si poteva più veramente parlare.
Alla biblioteca pubblica contemporanea si riferiva il De Gregori, lo spirito della proposta in
favore della biblioteca pubblica come veniva formulata dalla De Gregori non era poi così
disomogeneo rispetto alle tendenze di fondo dell'amministrazione statale dell'epoca: si
trattava di dare vita a biblioteche nuove e moderne a destinazione generale, per le quali
poteva essere utilizzato e proposto il modello della Public Library.
Una via italiana alla biblioteca pubblica aveva bisogno per la propria attuazione di unità
amministrative abbastanza consistenti, istituti bibliotecari nuovi e modernamente attrezzati
che però non comportassero investimenti notevoli.
Si doveva partire da entità comunali che disponessero di sufficienti risorse, affiancabile da
un sostegno da parte dello Stato. Occorreva che ogni capoluogo di provincia avessi una
biblioteca pubblica debitamente attrezzata.
La legge del 24 aprile 1941, n. 393, stabiliva che le biblioteche di questo tipo avrebbero
dovuto essere rette da un direttore fornito di laurea e vincitore di concorso; l'articolo 6 della
stessa legge consentiva cambi o cessione di libri da biblioteche pubbliche di diversa
appartenenza.
La relazione al bilancio di previsione del Ministero dell'Educazione nazionale per l'esercizio
1933- 34 riservata anche alcune significative considerazioni al settore delle biblioteche
popolari. L'educazione scolastica parascolastica e incentivazione editoriale sono i cardini
dell'azione pubblica per le biblioteche popolari in epoca fascista.
I principali momenti realizzativi di questo programma sono costituiti dalla graduale
smantellamento delle reti di biblioteche popolari di ispirazione socialista- riformista.
L'opposizione fascista alle biblioteche popolari di derivazione socialista ha inizio subito dopo
la marcia su Roma. La linea tenuta da Pollini nella direzione della Federazione farà
soprattutto indirizzata a l'obiettivo di bonificare le biblioteche popolari.
Con il decreto del 1932 verrà istituito lente nazionale per le biblioteche popolari e
scolastiche, nel quale si troveranno a confluire due entità: la Federazione Italiana biblioteche
popolari e l'Associazione Nazionale Fascista per le biblioteche scolastiche. Entrambe queste
tendenze coinvolgevano direttamente la produzione del libro e il suo uso da parte del 14
pubblico infantile e giovanile; lente avrebbe dovuto provvedere all'organizzazione
complessiva di questo tipo di biblioteche.
Le biblioteche popolari appaiono agli occhi di chi pensava all'organizzazione di un vero
servizio bibliotecario come strutture di scarso rilievo. L'importanza molto maggiore attribuita
all'ente come strumento circuito di diffusione editoriale risulta con estrema chiarezza dalle
norme per l'iscrizione allegate allo Statuto.Dopo aver stabilito che potevano aderire all'Ente
tutte le biblioteche popolari e scolastiche, le Norme precisavano quali fossero i servizi offerti
agli enti che, per usufruirne, erano chiamati a versare una quota di iscrizione.
Ci fu poi un’iniziativa editoriale di notevole interesse per le biblioteche: la pubblicazione a
partire dal 1935 da parte di Mondadori della collana enciclopedia del libro. L'iniziativa era
diretta da Albano Sorbelli.
Sul piano imprenditoriale l'iniziativa ed un esito controverso: Le reazioni espresse da
Mondadori al presidente dell’Enbps Guido Mancini furono di forte delusione circa
l'insufficiente assorbimento di copie da destinare alle biblioteche. Sul versante ministeriale il
problema viene avvertito da Giuseppe Bottai, il quale provvide alla nomina di una
commissione consultiva per i doni alle biblioteche. Tale commissione svolse un'attività di
vasta portata che venne a interessare più di 350 ditte; in questo quadro venne
particolarmente favorito un gruppo composto da 13 tra i maggiori editori italiani. Sulla fronte
editoriale le richieste di sostegno finanziario pubblico erano ben maggiori e si collocavano
perlopiù all'interno di una concezione della produzione editoriale intesa come attività
industriale che necessitava intrinsecamente di un aiuto statale.La visione di una possibile
funzione delle biblioteche all'interno di questo tipo di rapporti tra editoria, governo e regime
era destinata a esplicitarsi con maggiore chiarezza in relazione al tema della crisi del libro.
All'inizio del giugno 1937 l’appena costituito ministero della cultura popolare promosse lo
svolgimento a Firenze di una convegno Almirante a rilevare la situazione del libro in Italia e a
indicare i mezzi più idonei per promuoverne la diffusione. Il convegno vide un'ampia
partecipazione, sia politica che industriale. Argomento del convegno fu quello
dell'organizzazione di una politica di intervento statale a favore dell'industria e del
commercio librari.
Guido Mancini non esitava a dichiarare che questo tipo di istituto andava considerato come
un centro di movimento librario e di propaganda del libro.
Il convegno di Firenze ebbe un'eco e vienne anche sottoposto a un confronto dopo appena
una ventina di giorni nel congresso Aib di Macerata.
Il congresso di Macerata metteva in luce una non piena consonanza di vedute tra il
- Risolvere un problema di matematica
- Riassumere un testo
- Tradurre una frase
- E molto altro ancora...
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