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Entravano solo studiosi di un certo livello, a seconda della finalità della biblioteca (come storica, o scientifica). In
quelle universitarie ovviamente gravitavano intorno agli studenti. È vero che in numerose città esistevano
biblioteche comunali che avevano incrementato le proprie raccolte da doni e lasciti di biblioteche private e in alcuni
casi erano anche in grado di svolgere un servizio adeguato, ma sempre ad un pubblico con la succitata fisionomia
prevalente. Tranne che per torino, nessuna amministrazione comune avvertiva in quel periodo l’esigenza di istituire
nuove biblioteche destinate al pubblico, ma che esso avvertiva invece esigenze di informazione e di crescita
culturale. Il primo ostacolo all’allargamento di questo pubblico era dovuto all’analfabetismo, campo di interesse che
sfugge alla diretta azione delle biblioteche. Il pubblico delle biblioteche infatti per accedervi doveva essere almeno
capace non solo di decifrare il segno grafico per ricondurlo a un significato lessicale, ma di leggere un testo
comprendendone il significato. Si tentarono quindi soluzioni, perlopiù slegate dall’interveto diretto delle
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amministrazioni pubbliche: furono i movimento associativi tra lavoratori, per iniziativa sia di gruppi conservatori e
moderati, sia mazziniani e democratici, ma anche quelli di stampo cattolico a cercare di cambiare le cose.
Caratteristica comune di queste iniziative è stata la preminenza dei ceti borghesi, che hanno permesso lo sviluppo di
una educazione popolare, fornendo alle classi minori strumenti atti a farle gradualmente partecipare al circuito
culturale mediante l’istituzione di scuole serali e biblioteche popolari circolanti. Ad esempio a voghera nasce nel
1866 per iniziativa dei comizi agrari e della società operaia, una biblioteca circolante capace di alimentare anche le
biblioteche piccole in diversi comuni. A prato nel 1861 fu istituita una biblioteca integrativa alla formazione
scolastica, una sorta di gabinetto di lettura per ceti popolari. L’amministrazione pubblica fu contenta di queste
iniziative e timidamente donò qualche sussidio. Furono inoltre promossi premi alle biblioteche popolari che si
distinguevano nel promuovere le buone letture. La situazione bibliotecaria italiana rimase quindi irrisolta sia sul
piano normativo sia di un’organizzazione adeguata, ma grazie all’iniziativa moderata si procedette verso il “fare gli
italiani”, quindi costruire anche una cultura nazionale della quale avrebbe ben potuto essere strumento anche le
biblioteche, specialmente scolastiche e popolari.
1) L’età dei regolamenti
L’assetto delle biblioteche italiane è segnato da contraddizioni durante la prima fase di vita dello stato unitario fino
al 1885, dopo di che si cercherà di attuare uno sforzo di riordino sul piano normativo. Ad oggi però manca ancora
una lette sulle biblioteche nell’ordinamento nazionale italiano. Si è fatto ricorso a semplici decreti di iniziativa
ministeriale e a partire dal 1876 a regolamenti organici, emanati dall’esecutivo. Fino al 1967 questi regolamento
concernono solo le biblioteche pubbliche statali, escludendo tutte le altre categorie di biblioteche di appartenenza
statale, come quelle parlamentari, delle amministrazioni centrali, scolastiche, universitarie e quelle degli enti locali.
Questa normativa affronta i problemi concernenti il funzionamento degli istituti e dei servizi da essi prestati, la
definizione dei ruoli organici del personale , il deposito obbligatorio delle pubblicazioni e strumenti di controllo
bibliografico nazionale.
- Il decreto di riordino del 1869
Nel 1869 il primo intervento con un Riordinamento delle biblioteche governative del regno. Fondamentale
l’intervento della commissione cibrario che ha avanzato alcune proposte, come l’organizzazione catalografica, la
scelta del personale e lo scambio o vendita dei doppi. Il decreto fu attuato da Bargoni che però fu più cauto: punto
importante fu il principio del carattere pubblico delle biblioteche, quindi l’apertura al pubblico. Questa disposizione
fu molto importante in quanto fondò la categoria delle biblioteche pubbliche governative. Queste hanno una duplice
valenza: una positiva, il carattere pubblico; una limitativa, ovvero distoglie il concetto di biblioteca pubblica da ogni
principio di riferimento all’esercizio dell’autonomia locale. Il decreto del 69 inoltre da il titolo di nazionale solo alle
biblioteche di napoli, firenze e palermo e divide quelle governative in due classi, la cui differenza consisteva nel
trattamento più elevato dato alle nazionali. Inoltre la legge prevedeva l’obbligo di deposito della copia delle
pubblicazioni presso la nazionale fiorentina. Il decreto prevedeva anche la tenuta di un inventario generale a volumi
e anche di un catalogo alfabetico e uno di materie, oltre a cataloghi speciali per i manoscritti, per gli incunaboli e per
altro materiale antico. Ogni biblioteca governativa quindi riceveva le pubblicazioni ufficiali e si demandava la polita
degli acquisti ad un’apposita commissione. Non appena caduto il governo Menabrea, il nuovo ministro
dell’istruzione Correnti si fece carico di sostenere la politica di pareggio di bilancio per le biblioteche e dichiarò la non
applicabilità del decreto Bargoni. Correnti propose inoltre di porre a carico dei comuni in cui le biblioteche
governative avevano sede la metà della somma occorrente per gli stipendi al personale. A questa proposta di
correnti si opponeva Bonghi, chiamato a presiedere la commissione nominata dalla camera per esaminare i
provvedimenti relativi al pareggio del bilancio. Bonghi si opponeva alla non completa coincidenza tra gli interessi dei
comuni e quelli delle biblioteche statali, la non ammissibilità del principio che spese comunali in questo campo
venissero decise dal governo e infine la potenziale e mancata collaborazione tra autorità centrali e locali potesse
nuocere al buon andamento del servizio. Nel 1873 il ministro scialoja firma il riordino della pianta organica del
personale bibliotecario, diviso ora per ruoli: prefetto, bibliotecario, vicebibliotecario, assistente di 1,2,3 classe,
usciere di 1,2 classe, inserviente di 1,2 classe. Il successivo decreto del 1873 approvò i ruoli organici di un complesso
di 23 biblioteche statali. 5
- Le origini della nazionale di roma
Roma, la nuova capitale del regno, è piena di biblioteche, di appartenenza pontifica o delle grandi famiglie romane o
appartenenti a ordini e congreazioni religiose. Questo ingente patrimonio librario interessava moltissimo lo stato
italiano, nell’ottica dell’appropriazione dei beni culturali ecclesiastici. I fondi di biblioteche conventuali e di altri enti
religiosi furono direttamente acquisiti dallo stato e i loro fondi devoluti a istituti bibliotecari. Nel giugno 1873 viene
varata una nuova legge che estendeva anche alla provincia di roma la legislazione del 1866-67. Questa legge
prevedeva che libri, oggetti preziosi, manoscritti, monumenti, archivi ecc che si trovavano negli edifici appartenenti
alle case religiose soppresse in roma, sarebbero stati dati alla pubblica istruzione, alle biblioteche, ai musei e a
istituiti laici esistenti nella città. Naturalmente fu molto difficile trovare luoghi laici e nel 1872 narducci avanzò la
proposta della creazione a roma, a carico del comune, di una biblioteca Patria, dove conservare la storia civile,
scientifica, letteraria, artistica ecc di roma, insomma una sorta di biblioteca locale dotata di un servizio completo in
storia locale. Solo due anni dopo nel 1873 narducci coglierà l’occasione, col nuovo decreto appena pubblicato, di
raccogliere nella biblioteca comunale da lui proposta i libri di interesse romano provenienti dai conventi soppressi.
La sua proposta rimase comunque inattuata. Sarà bonghi fino al 1874 ad occuparsi del problema della destinazione
di queste raccolte, mediante l’istituzione in roma di una nuova biblioteca nazionale. L’atteggiamento contradditorio
di bonghi sul valore dei libri, rese difficoltoso la costruzione della nuova nazionale, ma dal 76 ebbe una sua prima
provvisoria sistemazione, e anche tutto il materiale dei fondi ecclesiastici.
- Un anno cruciale: l’inaugurazione della vittorio emanele e il regolamento organico del 1876
Il 14 marzo 1876 la biblioteca nazionale di roma fu intitolata a vittorio emanuele II, e inaugurata. La sua creazione ha
contribuito alla realizzazione nelle coscienze dei cittaini di una vera unità nazionale, grazie alla nuova cultura in
circolazione e alla realizzazione degli istituti che la rappresentavano. La nazionale di roma assunse sin dal principio
un ruolo specifico: documentazione della cultura italiana nella sua realtà storica e strumento di conoscenza e di
diffusione della cultura moderna. Illusorio fu pensare a un concreto impegno finanziario della pubblica
amministrazione. In ogni caso aveva un carattere di centralità grazie all’unicità delle sue funzioni sul territorio
nazionale. Le biblioteche nazionali quindi erano 4, firenze, napoli, roma e torino e ad essere veniva assegnato il fine
di rappresentare nella sua continuità il progresso e lo stato della coltura nazionale e forestiera; inoltre ciascuan
doveva rappresentare specialmente la coltura della regione nella quale ha sede. Le 4 nazionali rappresentavano il
primo grado delle biblioteche statali autonome; al secondo appartenevano biblioteche, come la braidense di milano,
di minori dimensioni ma con gli stessi fini. Le altre biblioteche governative erano considerate connesse ad altri
istituti, cioè alle università e il compito principale consisteva nel provvedere dei mezzi necessari di studio i professori
e gli studenti. Esistevano altri due sottogruppi a seconda che le università a cui erano connesse fossero considerate
di prima classe o di seconda. Per le biblioteche governative non comprese nelle categorie menzionate il decreto
stabiliva che avrebbero potuto essere cedute alle province o ai comuni. Nel caso di esistenza di più biblioteche
governative nella stessa città, gli acquisti erano coordinati e la relativa spesa posta sotto un fondo comune. I punti
caratterizzanti quindi del regolamento organico del 76 furono: riduzione numero biblioteche a carico dello stato
perseguito con diverse disposizioni (connessione alle università, alla riunione amministrativa, alla cessione a enti
locali); definire il ruolo delle nazionali come strumento di rappresentazione della cultura italiana; garantire anche i
servizi bibliotecari locali e di coordinare a livello cittadino le funzioni dei diversi istituti; non trascurare i servizi
bibliotecari scolastici, menzionati come strutture di rilevanza statale. Questo regolamento avrebbe potuto dare frutti
se solo fosse stato accompagnato da strumenti in grado di realizzarlo. Per quanto riguarda la nazionale di roma
erano assegnati compiti, oltre quelli delle nazionali, anche altri come la produzione di un bollettino delle opere
straniere, l’organizzaz