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L’occhio di Paolo si fa persona, una sorta di maschera estranea alla sua volontà, che cristallizza il dinamismo

fisiognomico, segnaletico, interpersonale del suo sguardo, ma che, contemporaneamente, gli consente di

pervenire a un’altra presa di conoscenza.

La differenza esistenziale profonda tra l’ossessione, dove la maschera, come si è appena visto, trova il suo

spazio naturale, e la possessione, è che nello stato di possessione psicopatologica il paziente si trova gettato

senza alcun tramite, gettato nel delirio o nella esaltazione fissata. Questa situazione estrema fa bypassare

quel transito che invece la maschera consente, e getta a capofitto in una situazione apofanica, dove

rivelazione ed esaltazione coincidono. Qui non c’è maschera che possa salvare dalla psicosi, non c’è difesa

ottenuta con mascheramenti iterativi e imperativi, non c’è occultamento tramite il rito.

In assenza di una maschera che ne contenga la potenza, il daimon si insinua nel vissuto corporeo, ne penetra

le carni o ne paralizza i muscoli, come ci attestano le esperienze allucinatorie di tipo dermatozoico o i deliri

zooptici e zoopatici. Il soggetto “zooptico” e quello “dermatozoico” esiste una differenza fondamentale. Sul

piano zooptico l’animale appare come una struttura più o meno complessa, ben individuata e, soprattutto,

suscettibile. Invece sul piano dermatozoico l’animale perde in strutturazione di forma, in caratteristiche precise

e diviene plurimo. Nel piano dermatozoico sono interessate le strutture percettive di contatto, mentre nello

zooptico sono interessate le percezioni a distanza. Tra i casi osservati di soggetti deliroidi dermatozoici ricordo

in particolare Gaetano, un 57enne contadino del Molise, invaso dai “microbi parassiti delle larve dei pini”.

Mentre Gaetano tagliava l’erba sotto i pini, batté contro l’erba ammucchiata. La sua preoccupazione fu data

dal fatto che “che l’erba tagliata non va toccata perché le bestie che ci sono sì incattiviscono”. La sera iniziò ad

avvertire un “pizzichio” su tutto il corpo, dato da “pidocchi pollini”.

L’analisi psicopatologica di questa rara ma significativa sindrome mette a fuoco i rapporti che legano tra loro,

in doppia articolazione, i tre distinti momenti del vissuto corporeo del delirio dermatozoico: sensazione

cutanea, illusione e convinzione delirante. La sensazione è cutanea ma lo stimolo viene elaborato sul piano

visivo.

Gaetano è condizionato a partire dalla propria esperienza vissuta, fortemente caratterizzata dalla potenza e

l’ambiguità di un territorio liminare come il cimitero, dove Gaetano smuove e rivolta una terra intrisa di potenze

oscure. In altri termini, nel delirio dermatozoico il contatto diretto tra l’animale percepito come vivente e la

propria superficie corporea è vissuto per lo più con un forte senso di essere­invaso­da, a differenza della

condizione del paziente “zooptico”, il quale, nella relazione tra l’animale e il proprio vissuto corporeo, al

massimo si sente assalito­da. Quest’ultimo, spesso resta semplicemente in attitudini di osservatore, a volte

sorpreso e incuriosito, a volte intimorito e minacciato. In virtù di una percezione più visiva che tattile, manca

pressoché sempre il sentimento dell’essere­invaso. La conoscenza della forma animale che si presenta

visivamente contiene in sé un irriducibile fattore di intenzionalità. Tutto ciò sta ad indicare l’importanza

dell’esperienza “di contatto”, che è un’esperienza indubbiamente assai più patica di quella visiva. Un’ulteriore

illuminante esemplificazione della densa polisemia che assume il rapporto uomo­animale, sia in ambito

psicopatologico che antropologico, è costituita dallo “zoopatico”. Ciò che la connette, ma al tempo stesso la

distingue dall’esperienza zooptica e dermatozoica è la penetrazione dell’animale all’interno del corpo, con una

conseguente deformazione e alienazione della rappresentazione dello spazio interno e dello schema

corporeo. In altri termini, nel delirio zoopatico la presenza animale viene esperita come ancorata alle più

profonde intimità del proprio corpo. Dal punto di vista dell’esperienza spaziale vissuta del corpo, l’ambito

dermatozoico e quello zoopatico presentano un importante punto di contatto, riconoscibile nello spazio

orifiziale, vale a dire quell’ambito che consente, come spazio vissuto, il passaggio ambivalente tra cavità

interne del corpo e superficie esterna di esso.

È appunto sul piano orifiziale che si realizza la primordiale esperienza umana del vero e proprio “contatto con

l’animale” che entra nel corpo o proviene dal corpo, infrangendo in ogni caso barriere considerate insuperabili.

Il corpo dello zoopatico, nell’impossibilità di accogliere una maschera “apotropaica”, si offre come abitacolo del

daimon, come presenza s­mascherata e sopraffatta dall’incursione di un “maligno”, di un principio

antagonistico, di un “avversario”: ciò dà vita al delirio zoopatico, anche nelle sue forme più radicali, nelle

demonopatie. Secondo Jaspers, la demonopatia è lo stato in cui l’ammalato prova l’esperienza che egli è

contemporaneamente due esseri che trovano il loro compimento in due io diversi.

Jaspers distingue una forma a coscienza lucida e una forma, ben più frequente, con alterazioni dello stato di

coscienza; egli considera la prima come tout court schizofrenica e la seconda come isterica.

Nelle diabolofanie paranoidi vi è l’impossibilità di accogliere una maschera coincide con l’abdicazione radicale

della presenza, per lasciare spazio al solo dato, unico e incontestabile, del demonio, presente e invadente,

dominatore incontrastato del corpo e dell’anima, padrone e regolatore dei movimenti e delle azioni.

Alessandro è un macellaio di 45 anni, celibe. Alla morte della sorella e al senso di smarrimento, dovuto ad

essa, egli ha sentito il forte bisogno di accostarsi alla religione. Dopo alcuni mesi egli iniziò ad avvertire sintomi

fisici che richiamano una “pesantezza” intesa come “presenza che lo tratteneva dalla schiena”. Durante un

momento di preghiera in devozione a Santa Rita egli defecò “un diavoletto con le corna, con i baffi, le

sopracciglia, la coda e le gambe”. Nonostante questo evento, egli continuò assiduamente a praticare la

religione, rivolgendosi ad esorcisti che non riuscirono ad aiutarlo. Egli continuò ad avvertire la presenza dentro

di sé: sei demoni­gatto, situati due nelle braccia, due nelle gambe, uno nel collo e uno nella pancia. Nella

sindrome paranoide allucinatoria di Alessandro il suo ancoraggio alla realtà quotidiana è stato per lungo tempo

garantito dalla sua obbedienza al più rigoroso ritualismo, dalla sua intensa partecipazione ad un mondo

magico, miracolistico che ha incanalato il suo ritiro psicotico in una forma molto assorbente di culto religioso.

Appare eloquente, la sua devozione a Santa Rita, “santa dell’impossibile”, protettrice al tempo stesso della

maternità e delle più diverse forme di malattia; delle partorienti e degli indemoniati. Il ritiro psicotico entro cui

Alessandro è confinato lo aliena da ogni possibile “mascheramento” sociale, e accentua ulteriormente la sua

solitudine.

Capitolo IV – Il ritorno alla Grecia

Il capitolo quarto riflette sull’intersecarsi di persona e maschera, proprio nella prima parte, mediante

l’accostamento tra Alessandro e Zeus, emerge il forte nesso tra il "volto socialmente riconoscibile" e la

presenza nello stesso di rivelazione e follia, Ethos e pathos. La maschera, come compare nel racconto di Zeus

e Dioniso, è usata dal Dio dell’olimpo per consentire al proprio figlio di fronteggiare una follia di ispirazione

divina (Dioniso = Capra).

In termini etimologici “la maschera” o “volto” indica qualcosa che è "dato da vedere", ciò che abbiamo davanti

agli occhi. L’assenza di una differenziazione linguistica tra maschera e volto indica lo sforzo di trasferire sulla

maschera l’identità che essa riproduce, un volto "visibile agli occhi degli altri". La maschera consente all’attore

di moltiplicare la propria identità ,ogni volta che si trasforma in un nuovo personaggio in virtù di una maschera

fa convivere "l’altro" con "l’altrove". Chi fronteggia una maschera può imbattersi nella potenza della visione

divina quanto nella voragine della follia ispirata. Molti sono gli autori citati per descrivere il concetto di

maschera–persona–Dio­follia. Eraclito analizza il concetto di maschera come follia e ispirazione divina.

Odisseo nella sua maschera esalta la potenza di Atena. Nel concetto di folle=malato ed emarginato (nella

nostra società) vediamo cambiare identità in società più primitive in follo=posseduto da un Dio, e ispirato dallo

stesso, capace di agire per la collettività. Platone vede nella follia un dono divino che ci concede i più grandi

“doni”.

LE MASCHERE TRAGICHE:

Le maschere del dolore, la maschera nella tragedia dionisiaca si nutre di estremismi e opposizioni, di

simultaneità e disordine. Nella Baccanti le maschere della possessione coesistono con il mondo doppio della

follia. Per la prima volta con Dioniso la potenza divina della maschera si esplicita nella "razza della donna". La

maschera approda su una "vergine ribelle all’amore" o su "un volto materno" (Medea madre assassina). La

maschera ora è un volto riflesso su uno specchio deformante dove identità e alterità si sovrappongono e si

mescolano. Tutto ciò, unito alla dualità femminile, ci riconduce ad Atena e, seppur un maniera diversa a

Cassandra, la cui maschera rischia di essere oscena e sacrilega incompatibile con l’equilibrio della comunità.

Approda anche nel Salento, unito al tema del tarantismo, la possessione dionisiaca: si rileva un analogia con

le Baccanti, con lo scenario agreste, con lo specchio d acqua e con la dimensione della virginità rituale o

negata o repressa delle tarantate.

Le maschere greche hanno continuato per secoli a vivere nella memoria archetipica dell’uomo occidentale;

almeno fino a quando il “monoteismo della coscienza” non ne ha inficiato definitivamente la funzione salvifica,

commutando gli dèi in malattia, follia.

Capitolo V – La maschera, dal fascino discreto alla clinica dell’identità

La maschera può assumere diversi aspetti, da quello ludico a quello di travestimento e

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A.A. 2014-2015
7 pagine
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SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-DEA/01 Discipline demoetnoantropologiche

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher fabrizio.sani.1 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Antropologia culturale e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Roma La Sapienza o del prof Faranda Laura.