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Nella loro fase positivista, le scienze sociali cercano di assomigliare a quella naturali o “esatte”,
individuando dati o fatti che si presumono oggettivi. Tuttavia non basta limitarsi a osservare e
descrivere dall’esterno : generalmente l’antropologo, per quanto si estranei, ha sempre una base di
pre-comprensione. Harold Garfinkel propone l’etnometodologia.
Ciò che si prefigge l’antropologia interpretativa è di ricercare un sapere comprensivo e non esplicativo.
Alla fine degli anni ’60 de Martino contrappone all’etnocentrismo e al relativismo una terza posizione
che sarà chiamata etnocentrismo critico.
Verso la fine degli anni ’80 entra in scena l’approccio post moderno, che si basa sull’oggettività storico-
sociale e sulle relazioni di potere: in quest’area di studi emergeranno i concetti di falsa coscienza e
ideologia. Sarà Edward Said ad introdurre il concetto della funzione plasmante del potere.
7. Folklore, cultura popolare, cultura di massa.
Alla fine del XVIII secolo, la cultura dei ceti popolari acquista un posto centrale nelle preoccupazioni
degli intellettuali europei (volkgeist). Se ne privilegia il carattere nazionale, dunque la particolarità
linguistica e culturale. Il romanticismo si concentra quasi esclusivamente sulla letteratura orale, sui
prodotti folkloristici a cui è possibile assegnare un valore artistico. Il positivismo tenta di documentare
tutti gli aspetti della cultura del popolo. Ogni cultura nazionale produce una propria tradizione di studi.
Nei primi anni del novecento questo filone positivistico di studi raggiunge il culmine: nel corso del
novecento antropologia e demologia si sono distinte. Il folklore è stato poi strumentalizzato dalla
politica, sottolineandone le caratteristiche nazionaliste.
Dopo la guerra saranno due i fattori principali a determinare la stagnazione della ricerca in campo
folklorico e antropologico: il fascismo e l’idealismo storicistico di benedetto Croce, che vede le scienze
umane e sociali come pseudo-scienze.
Successivamente Gramsci si disfa delle concezioni romantiche e positivistiche del folklore e lo ripensa
come fenomeno centrale dei rapporti tra le classi e come conseguenza diretta dei processi egemonici
tramite i quali i ceti dominanti esercitano potere. Gli intellettuali sono i principali mediatori dei processi
di egemonia culturale. Alberto Cirense sostiene che le vecchie documentazioni possono essere
conservate, a patto di rileggerle come contrapposizione dei egemonia- subalternità.
Il folk revival si inizia a diffondere negli anni ’60-’70 ed è caratterizzato da una modalità più estetica e
commerciale cultura di massa, prodotta industrialmente.
Dagli anni ’80 si afferma una nuova cornice incentrata intorno alla nozione di memoria e di patrimonio,
grazie anche al lavoro dell’Unesco, introducendo il concetto di patrimonio intangibile. Nei recenti
dibattiti si è ripreso il concetto di tradizione, ma più che usare il sostantivo, si dovrebbe parlare di
processi di tradizionalizzazione o folklorizzazione.
- La cultura popolare può essere ricercata fuori dalla sfera d’influenza della cultura di massa.
- Cercare il popolare nelle modalità stesse del consumo di massa, in cui possiamo riscontrare anche
pratiche di resistenza.
8. Verso un’etnologia del consumo culturale.
Una piccola premessa: la sfera della produzione e del consumo sono separate dalla fase industriale.
Adorno e la scuola di Francoforte, rispetto al marxismo classico, era interessati al modo in cui il dominio
del sistema capitalistico si insinua fino all’interno della sfera oggettiva e nella cultura di massa. Adorno
sostiene che l’industria culturale vuole abolire la libertà individuale e il pensiero razionale. Bauman
parla invece di modernità liquida. Roland Barthes e Umberto Eco sono i più importanti semiologi del
periodo post bellico: entrambi si occupano prevalentemente di critica artistico – letteraria, ma
concedendo ampio spazio all’analisi delle forme e della cultura popolare che emergono nella società
europea fra gli anni ’50 e ’60. Eco usa la nozione di mito per dare conto della diffusione della cultura di
massa nell’immaginario contemporaneo.
Habitus (Bourdieu) = serie di competenze, disposizioni, atteggiamenti che il soggetto incorpora
prevalentemente come risultato dell’inculturazione, cioè per il fatto di nascere, crescere, e venire
educato in un certo ambiente sociale e culturale. E’ ereditario e relativamente stabile, si modifica solo
in maniera parziale.
Mary Douglas si è interessata al rapporto tra sistemi simbolici, pratiche rituali e caratteristiche dei
sistemi sociali; per lei il consumo va inteso come un complesso sistema culturale, legato ai valori e ai
rapporti di potere che costituiscono il legame sociale.
Cultural studies = hanno origine negli anni ’60 con la rilettura che alcuni studiosi propongono delle
teorie marxiste.
Subculture = insiemi di mode, stili estetici e linguaggi che si sono diffusi nella seconda metà del
novecento, tra segmenti della popolazione giovanile.
9. Corpo, salute, malattia
La cultura è il tessuto connettivo di mente, relazioni sociali e corpo. Ciò significa che non è possibile
comprendere il corpo e la mente senza tirare in ballo gli aspetti sociali, politici e culturali: questo è il
nucleo dell’antropologia medica. A questa è subentrata la medicina moderna. L’antropologia positivista
poggia sulla fondamentale distinzione tra conoscenze (vere) e credenze (non necessariamente
corrispondono alla realtà). L’antropologia del corpo nasce da Marcel Mauss, che lancia un vasto
programma di etnografia descrittiva riguardo gli usi del corpo che si apprendono in modo differenziato
in diverse culture sindromi culturalmente condizionate ( quelle legate ad attività culturali in
determinate zone, ad esempio la tendinite alle braccia in un villaggio di pescatori).
E’ importante distinguere tra: disease, illness(esperienza soggettiva si sofferenza) e sickness
(conseguenza di una malattia).
Secondo la cultura popolare dei riti possono curare la mente effetto placebo ed efficacia simbolica.
Incorporazione = questa prospettiva supera la dicotomia fra mente e corpo, facendo di quest’ultimo il
protagonista e il soggetto attivo delle pratiche sociali (mindful body).
Si apre il campo poi all’economia politica della sofferenza, dove la malattia non è considerata un evento
“naturale” ma è posta in relazione a condizioni di sfruttamento e conflitto. Anche se ora la medicina ha
dimensioni globali, non mancano oggi le “medicine non convenzionali”.
10. Tempo, memoria, storia.
Sia l’antropologia che la storia si sono occupati di memoria a lungo termine, mentre altre discipline,
come la psicologia, di quella a breve termine. Battlett ha introdotto il concetto di schema per indicare
strutture stabili sulle quali si investono i ricordi; la ricerca narrativa più recente preferisce parlare di
copioni, per sottolineare la struttura narrativa. La distorsione e il falso ricordo rappresentano una
forma patologica; Geert, piuttosto che di falsità, parla di finzioni. Per Halbwachs l’atto individuale del
ricordare è possibile solo sulla base di quadri sociali, che sono antecedenti a qualsiasi ricordo e che li
produce. La memoria di un gruppo o collettiva è più reale di una individuale.
sul piano epistemologico, il ostruzionismo si scontra con il problema della verità, in quanto ogni
resoconto sul passato è una ricostruzione plasmata dalla esigenze di senso presente.
i luoghi santi sono il principale terreno di plasmazione di un passato : per fissare nella memoria di un
gruppo una verità deve preservarsi sotto la forma concreta di un avvenimento, di una figura personale
odi un luogo (Halbwachs).
Assman parla di memoria comunicativa (quella utilizzata quotidianamente) e di memoria culturale
(quella che si sedimenta in una comunità). Il memory boom di cui parla Winter riguarda
prevalentemente il livello istituzionale ed egemonico, concentrandosi in particolare sulle strategie della
memoria usate dagli stati nazione in età contemporanea per costruire un consenso e un senso di
identità. La plasmazione nazionalista di una memoria comune presuppone una condivisione di oblio di
certi aspetti scomodi del passato. Attualmente le forme pubbliche ed istituzionali della memoria si sono
indebolite, per cui la funzione di ricordare ricade sugli individui. Wieviorka pone il problema del rischio
che lo spettacolo del racconto emotivamente partecipato si sostituisca ad un sapere del passato
costruito in modo scientifico.
11. Il dono fra economia e antropologia.
In antropologia si parla di dono a proposito di varie forme di scambio di beni non riconducibili alla
logica del profitto. Gli economisti del novecento sostengono che dietro lo scambio ci sia una spinta
utilitarista e delle leggi di mercato universali. Nel libro “il saggio sul dono” Mauss si sofferma sul dono
partendo da fenomeni come la kula nell’arcipelago delle Trobriand (chi riceve un dono cerca di
ricambiare con uno ancora più prezioso), oppure con il potlach (praticato dagli indiani nordamericani, in
cui il più ricco dona o distrugge i beni per salire di rango). Il vincolo che si stabilisce unisce le anime.
Malinowski parla di reciprocità come di una logica profonda di organizzazione degli scambi che tiene in
equilibrio l’intero sistema economico delle civiltà primitive in assenza di un governo. La teorizzazione
più celebre è quella formulata da Levi-Strauss che eleva il principio di reciprocità a principio generativo
di ogni campo della cultura.
Dagli anni’80 del novecento si sviluppa il MAUSS, movimento anti-utilitarista nelle scienze sociali. Il
mercato e il dono non sono più visti come polarità opposte, ma come sistemi di regole che si
compenetrano.
12. Culture globali e locali
Vi sono numerose definizioni di globalizzazione: in generale indica il flusso di commercio, finanza,
cultura e idee consentito dallo sviluppo tecnologico. Molti autori evidenziano la formazione di un èlite
globale che gestisce le principali sfere di governo, formata da detentori di capitale, rappresentanti
politici e tecnici. In questa fase si parla del passaggio di modelli internazionali a transnazionali. Il
termine transnazionale si riferisce alla costruzione di legami stabili e comunitari che attraversano i
confini nazionali. Le politiche di assimilazione sono quelle che tendono ad assorbire i gruppi di migranti
cancellando i loro tratti d’origine. Sono numerose le teorie che cercano di dar conto di come i flussi
globali di risorse culturali mutino l’esperienza quotidiana. Il discorso sulla globalizzazione si trova in part
a coincidere con quell