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Per questo capitolo sono stati scelti due film tratti dallo stesso testo per poterne sottolineare sia le

diverse modalità di adattamento, sia le diverse esplicitazioni di stati d'animo affini del personaggio,

dei quali elemento portatore è proprio il paesaggio. Medea di Pasolini e di Lars Von Trier.

Partiamo dal modello originale, quello del testo euripideo. La protagonista è un personaggio la cui

vendetta riguarda sia la propria infelicità sia la propria fedeltà al suo compito sacro. Ovviamente le

possibilità di rappresentazione dello spazio sul grande schermo sono assai maggiori rispetto a quelle

del teatro cui si rivolgeva il testo originale, nel quale veniva ad assumere maggior rilievo la

funzione dei dialoghi. Ragion per cui la tragedia trae la sua forza emotiva dall'esasperazione delle

situazioni che portano ad un grande coinvolgimento del lettore-spettatore, mentre è fortemente

generica per quel che riguarda le descrizioni degli ambienti estranei alla natura del testo (da

escludere la figura della soglia, che riveste grande importanza, in quanto dietro essa, già nelle

rappresentazioni antiche, si svolgeva la scena dell'infanticidio). Dunque intero compito del cinema

ricreare il modo e l'ambiente della rappresentazione.

Per cominciare occorre riflettere sul problema della decontestualizzazione, che è la vera intuizione

pasoliniana per quanto riguarda l'ambientazione del mito nella rinascimentale Piazza dei Miracoli

(Pisa). La giustificazione della decontestualizzazione è la seguente: riflettere sul rapporto che può

sussistere tra la cultura del redattore del testo antico e le culture dei fruitori delle epoche successive;

i problemi morali e sociali che erano propri della Medea originale ci toccano ancora nel cuore e

nella coscienza? Se il modello di una tragedia greca era comunicativo in un'ambientazione coeva, lo

sarà anche in un contesto contemporaneo?

A questo interrogativo risponde Von Trier, attraverso il lavoro di rilettura che operò su una

sceneggiatura mai realizzata da Dreyer. La sua opera, estranea al dramma classico, che

prevederebbe unità di tempo, azione e luogo, interpreta il testo teatrale privilegiando una descizione

metafisica dell'ambiente, e in modo da comporre le inquadrature in stile quasi pittorico. Attraverso

l'uso di tendaggi e retroproiezioni, di inquadrature costruite su più livelli. Esempio interessante può

essere la scena in cui la protagonista lamenta la sua infelice condizione di genere, e alle spalle i figli

addormentati cominciano a ingrandirsi grazie a un particolare uso dello zoom, come se il regista

volesse renderci partecipi del fatto che nella madre la consapevolezza dell'infanticidio imminente

stia aumentando.

In Von Trier, fin dalla prima inquadratura, è evidente il legame che unisce Medea alla terra. La

donna è sdraiata in riva al mare, come morta, sfiorata sempre più dall'acqua che si alza con la

marea: prede vita per lo spettatore con l'alzarsi di questa acqua. Sembra che sia in uno spazio

liminare che separa il modo dei vivi da quello dei morti. Il movimento circolare della macchina da

presa rende straniante la scena, decontestualizzandola da riferimenti spazio-temporali chiari. I suoni

(la risacca, gli uccelli), ampliano idefinitamente gli spazi. Medea uscirà da questo stato di apnea

solo quando rientrerà in contatto con una dimensione umana: verrà chiamata per nome, prima

parola del film, a sottolineare la centralità della figura.

Interessante, tra le bizzarrie filmiche di questo regista, la scelta di deformare il titolo (dalla D

pendono due bambini impiccati), ad anticipare lo sviluppo della tragedia stessa. Il regista danese

poi, a differenza di quello che farà Pasolini, sceglie di tralasciare il viaggio di Giasone alla

conquista del vello d'oro (d'altra parte faceva parte di un'altra tragedia, perduta, le Pleiadi, e nello

stesso testo originale gli antefatti erano brevemente narrati da una nutrice). Attraverso inquadrature

fosche e nebbiose viene subito presentata la figura della protagonista.

A differenza di Pasolini Von Trier sceglie poi di dare l'immagine della condizione tribale della

protagonista, senza ricorrere alla descrizione della Colchide, caratterizzando anche il palazzo come

antro freddo e umido. Pasolini opererà invece una netta cesura fra i luoghi che ambientano i due

protagonisti: l'uno arcaico, l'altro appartenente alla civiltà. Medea non accetta mai di incontrare

Giasone in luoghi interni (spazi che nel dramma teatrale restavano sempre nascosti allo spettatore).

I paesaggi dello Jutland vengono riproposti in una dimensione onirica e simbolica: la messa in cena

segue il senso della trama e i sentimenti della protagonista (basti pensare alla scena in cui Medea

vaga immersa nella nebbia mentre Creonte la cerca per bandirla dalla sua terra: il tempo si perde

nello spazio, le figure, sole, sono appena percepibili). Il paesaggio è così centrale da essere spesso

enfatizzato con riprese aeree e grandangolari, e da lavori sul colore al limite del pittorico.

Insomma in Von Trier si privilegia la fedeltà al testo e al contesto.

Nell'opera pasoliniana il racconto è invece decontestualizzato, e si pone il rinascimento a confronto

con l'antica Grecia. Anche qui la protagonista resta esclusa dalla civiltà e abita uno spazio arcaico. Il

palazzo di Creonte, situato all'interno della Piazza dei Miracoli, è circondato da un paesaggio

servaggio e arido situato in Cappadocia. Nel film è inoltre presente un terzo spazio originale, la

palafitta dove abita il centauro. [da finire domani, è pomeriggio...]

2.2 Meteorologia: comparsa ed evoluzione del paesaggio-attante

Si propone ora di estendere la ricerca al concetto di ambientalismo: con questo termine si fa

riferimento a studi di varia natura che attribuiscono ai fattori ambientali varie tipologie di influenza

sulla condotta umana. Per intenderci: “nei climi nordici troverete popoli che hanno pochi vizi e

molte virtu, grande franchezza e sincerita. Avvicinatevi al mezzogiorno, e avrete di allontanarvi

dalla morale stessa: passioni piu vive moltiplicheranno i delitti; ciascuno cerchera di prevalere sugli

altri per dare piu libero sfogo a queste stesse passioni. Nei paesi temperati troverete invece popoli

incostanti nel loro comportamento, sia nei loro vizi che nelle loro virtù” (Montesquieu).

Il concetto è dunque legato a doppio filo al processo di adattamento dell'essere umano alla natura, e

specificamente alle sue forme non modificabili per intervento diretto dell'uomo: ciò accade

soprattutto nei casi in cui una natura antagonista si oppone all'azione umana e dunque in maniera

rilevante attraverso le manifestazioni meteorologiche. Attraverso l'analisi di alcune opere in cui

l'impatto è particolarmente evidente, indagheremo la crescente presa di coscienza del cinema nei

confronti del paesaggio. Occorre fare un passo indietro verso le origini.

Il cinema, ai suoi albori, è essenzialmente veduta, e si fonda sul sentimento della meraviglia dello

spettatore. De facto, inizialmente, il protagonista è lo spettatore stesso, che non va in sala per

guardare qualcosa, ma per guardarsi guardare, tanto è forte la novità della rappresentazione. La

figura umana non ha ancora assunto un rilievo particolare nei confronti dello sfondo: tutto è sfondo.

La nuova arte non partiva, come il teatro, dall'uomo, ma dal fenomeno complessivo del cosmos.

Solo in seguito alla nascita della narratività, con la conseguente invenzione del protagonista,

l'ambientazione finisce effettivamente per trovarsi alle spalle della figura umana: si moltiplicano i

piani gerarchici, nasce il cinema antropocentrico. Per un certo periodo, ha lamentato Arnheim, il

paesaggio arriva ad essere totalmente destituito. Giunto alla fase della propria maturità, il cinema

realizza che l'ambiente può essere sfruttato a fini eminentemente narrativi: gli oggetti e i paesaggi

assumono cariche simboliche funzionali allo sviluppo psicologico dei personaggi. Non ci

soffermiamo su esempi abusati come il caso del cinema western, bensì su esempi particolari in cui

tramite la meteorologia, come dicevamo, la funzione del paesaggio comincia a fasi rilevante come

manifestazione nei confronti della figura umana: Sunrise di Murnau e The wind di Sjostrom.

Per quanto riguarda il primo, ci concentriamo sulla famosa scena della tempesta, che prende le

mosse a partire dal ritorno a casa dei due protagonisti. Diversamente dall'abituale formula della

riconciliazione dei personaggi nella cornice di una natura benevola, questo film ambienta la

riappacificazione nella città frenetica e mistificata. La vita è indagata nelle sue manifestazioni

sentimentali al di là della pur marcata differenza fra ambiente rurale e cittadino. L'uomo è lasciato

nudo di fronte alle sue scelte (vedi didascalie iniziali). Entrambi i poli (campagna e città), possono

essere indifferentemente portatori di positività e negatività. Il paesaggio naturale diurno e idilliaco

delle scene nel racconto dell'amore della coppia di fattori, diventa notturno e nebbioso quando

siamo di fronte agli incontri clandestini fra il fattore e la donna di città. Si percepisce

l'espressionismo (nonostante si tratti di uno dei film “americani” del regista), che tende a enfatizzare

il lato emotivo della realtà, e quindi a veicolarne la percezione in funzione dei protagonisti. Nella

scena dell'incontro, pure gli animali paiono accorgersi del tramare ai danni della moglie del fattore.

Nota: sempre in questa scena, la donna, essere mondano, getta via il fiore, simbolo della natura,

preoccupandosi solo del trucco, cioè della maschera. Anche qui sogni, angosce e sensazioni si

materializzano alla visione dello spettatore (scena dell'uscita dalla chiesa, riappacificazione

conclusa: la strada si trasforma in paesaggio agreste, tutto è casa, protezione, il mondo esterno ai

loro occhi è sparito). Il paesaggio, attraverso le sue manifestazioni meteorologiche si pone in

contrasto con i protagonisti, fino a diventarne antagonista (e quindi protagonista): la gita sul lago

viene a porsi come momento di pericolo, la frenesia della città permette il riavvicinamento della

coppia. Insomma: in questa opera l'ambientazione non è docile strumento per la costruzione del

personaggio, ma si misura con esso sfidandolo sul piano della progressione narrativa: “quasi chela

tempesta sia un monito verso una figura umana fin troppo concentrata su se stessa e ignara del

mondo che la circonda”. Tale manifestazione meteorologica ha un valore in sé, anche estetico,

indipendente dal gioco dei sentimenti umani: in una parola, ambientazione attante. La tempesta si

manifesta da per tutto: sul lago, interrompendo il raccoglimento, in città, dove sco

Dettagli
Publisher
A.A. 2014-2015
13 pagine
SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-ART/06 Cinema, fotografia e televisione

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher paolo.terni di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Analisi del film e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Bologna o del prof Guerrini Loretta.