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Noi invece sappiamo che la Didascalia è neutra, informativa: una data, un luogo, dei

nomi.

Ma la fotografia stessa è sempre un’immagine che qualcuno ha scelto di scattare.

fotografare = inquadrare inquadrare = selezionare

Roger Fenton: primo fotografo “di guerra” in Crimea inviato dall’esercito Britannico, 1855

Foto come tableaux della vita militare del tempo. Non c’è guerra vera, solo campi di

battaglia vuoti.

Mathew Brady: a capo di uno studio fotografico che documentò la Guerra Civile

Americana. Erano immagini molto esplicite ma spesso COMPOSTE dai fotografi, che

“mettevano in posa” la devastazione per i loro fini.

Molte delle prime fotografie di guerra erano quindi una messa in scena. Ma anche molte

foto della seconda guerra mondiale lo sono. Noi vogliamo che il fotografo sia una “spia”,

ma spesso scrittura o ordina varie posizioni ad attori che diventano poi i soggetti delle

foto. Per questo le foto più belle sono per noi quelle “improvvise”, inattese.

Solo a partire dalla guerra del Vietnam possiamo essere sicuri che ciò che ci viene

mostrato è reale, non frutto di una montatura.

Oggi è più facile manomettere le immagini o i filmati, ma quelle che colpiscono di più

restano quelle originali.

3 giovedì 7 gennaio 2016

CAP 4

1968: Eddie Adams scatta foto al capo della polizia sudvietnamita che uccide un

sospetto vietcong in strada. é una messinscena, il prigioniero era legato con le mani

dietro la schiena e portato in strada apposta per fare la foto. La foto mostra l’uomo

colpito dalla pallottola, ormai morto, ma ancora non caduto a terra. Sapendo ciò, vedere

questa foto è nauseabondo. Stiamo guardando un condannato a morte, condannato per

il nostro voyeurismo.

Nell’era della fotografia, dalla realtà si pretende sempre di più. L’evento reale non è

abbastanza spaventoso e per questo va potenziato, o reinterpretato in maniera più

convincente.

Si capi presto che le foto di guerra potevano aver un forte impatto sul pubblico in patria.

La fotografia iniziava a far levare dubbi tra la popolazione, diventava propaganda

CONTRO la guerra e quindi venne applicata la censura: in Afganistan nel 2001 ad

esempio le azioni militari sono state precluse ai fotoreporter.

Gli americani oggi infatti prediligono le immagini tv: si parla di bombardamenti in luoghi

lontani ma ancora non si è ben deciso cosa il pubblico possa sapere o meno. Si parla di

“giudizi sul buongusto” (la decisione di non mostrare i corpi dei morti dopo l’attentato alle

Torri Gemelle) che dicono cosa è “corretto” diffondere. L’altra argomentazione usata per

giustificare la scelta di NON pubblicare determinate immagini fa appello ai diritti dei

parenti delle vittime.

Quando si tratta dei nostri morti, non si mostra il nudo volto, ma più un luogo è lontano o

esotico, maggiori sono le possibilità di avere foto di volti di cadaveri del posto (come le

imm. dell’Africa)

Queste imm hanno 2 significati:

sofferenze scandalose e ingiuste

1) queste cose accadono solo in quei luoghi

2)

Questo ci convince che nei paesi poveri la tragedia sia inevitabile.

L’orrore sembra essere sparito dall’Europa (non più valido dopo Charlie Hebdo)

Eccezione della guerra dei Balcani: le immagini che provenivano da li facevano capire

che quella, in fondo, “non era mai stata Europa”

4 giovedì 7 gennaio 2016

CAP 5

Per l’Occidente moderno la guerra è un’aberrazione, seppur inarrestabile. Durante la

storia invece la guerra è stata la norma e la pace l’eccezione. L’artista che deve

rappresentare la guerra deve avere, come dice Leonardo, uno sguardo spietato.

L’imm. di guerra dovrebbe atterrire ma essere al tempo stesso, bella, se prodotta da un

pittore. Ma la macchina foto non può dare belle imm. di guerra. E se per caso la foto ad

un cimitero è una “bella foto”, verrà criticata. La foto di guerra non deve avere valenze

estetiche.

Le foto di guerra non dovrebbero essere belle così come le didascalie non dovrebbero

essere moraleggianti.

Sebastiao Salgado, fotografo specializzato nelle miserie del mondo, fu accusato di aver

fatto foto “cinematografiche”, cioè belle e spettacolari, di uomini durante le migrazioni.

Ritrae soggetti impotenti nella loro impotenza non identificati da didascalie

se non si fa il nome del soggetto si alimenta il culto

della celebrità per cui solo chi è famoso merita di

aver scritto il suo nome sotto la foto. Chi non ha

didascalia diventa esempio rappresentativo di una

etnia o di una condizione di disagio

I fotografi quindi ritengono più corretto moralmente rendere lo spettacolare (la guerra)

non spettacolare. Ma lo spettacolare fa parte della storia dell’immagine.

Le fotografie devono scioccare, certo, ma lo shock ha una durata limitata nel tempo. Lo

shock può diventare familiare e esaurirsi. E se così non fosse, posso difendermi da una

immagine che mi turba semplicemente non guardandola. Esistono eccezioni,

rappresentazioni che non diventano mai banali (come la Crocifissione agli occhi di un

cristiano)

La familiarità con certe fotografie plasma la nostra conoscenza del presente e del

passato recente. Le foto aiutano a forgiare il senso del passato grazie allo shock

postumo di immagini di quel passato più o meno recente.

Alcune foto sono poi fatte per diventare MANIFESTI

nuvola a forma di fungo su Hiroshima

1) astronauta che cammina sulla Luna ecc..

2)

Esse fisseranno eventi nella nostra mente e innescano pensieri facilmente prevedibili. Si

dice che siano immagini che fanno parte di una “Memoria collettiva”, ma questa non è

che patto su come sono andate le cose, un indottrinamento su idee condivise. Queste

immagini-manifesto servono a commemorare importanti eventi storici subito catalogabili.

Foto del genocidio oggi sono conservate nei musei, hanno acquisito dignità istituzionale.

Si vuole che questi crimini continuino ad essere ricordati dalla gente. L’attuale

proliferazione di musei della memoria è data dalla volontà di una divulgazione perpetua

della storia. Ma si ricorda solo ciò che non mina la stabilità sociale. Per questo negli USA

c’è un museo per la Shoa e non uno sulla schiavitù. Aprire un museo sulla memoria

5 giovedì 7 gennaio 2016

della schiavitù significherebbe ammettere che il male era qui, negli USA. Gli americani

preferiscono invece pensare al male altrui. La storia americana è solo positività, grandi

leader, grande progresso. Non si vuole ricordare altro.

IL PROBLEMA NON STA NEL FATTO CHE RICORDIAMO GRAZIE ALLE

FOTOGRAFIE, MA CHE RICORDIAMO SOLO QUELLE. IL RICORDO ATTRAVERSO

FOTOGRAFIE ECLISSA ALTRE FORME DI COMPRENSIONE E DI RICORDO.

Sempre più spesso, ricordare non significa richiamare alla mente una storia, bensì

essere in grado di evocare un’immagine.

Ma una foto di guerra non può spiegarci TUTTO. Ci dice che la guerra è un inferno, che

un soldato è in grado di calciare la testa di una donna come un pallone, ma finisce li. A

cosa serve mostrare tali immagini? Ad affliggerci? A compiangere? Ci insegnano

davvero qualcosa? O confermano solo ciò che già sappiamo?

La fotografia di guerra è un punto di vista, che può benissimo mettere in ombra ciò che

non si vuole ci sia mostrato.

CAP 6

Cosa significa guardare foto di grande crudeltà?

Quando c’è un brutto incidente stradale il traffico rallenta perché tutti vogliono vedere

cosa è successo ai malcapitati. L’ ”attrazione” morbosa per simili spettacoli non è rara.

Socrate stesso spiega come l’uomo può arrendersi, seppur con riluttanza, a piaceri

ripugnanti come la vista di un gruppo di cadaveri. L’appetito per spettacoli di

degradazione, sofferenza e mutilazione è ovvio anche per Platone.

Nell’età moderna il raccapricciante è ancora più diffuso.

Le immagini di atrocità possono rispondere a bisogni diversi:

1) corazzano contro la debolezza,

2) rendono ancora più insensibili,

3) fanno accettare l’irrimediabile

4) fanno venir voglia di porre un rimedio

5) fanno sentire impotenti

ma è sempre presente la fascinazione voyeristica del poter dire “non sta accadendo a

me”.

Il livello di sadismo e violenza accettato nella cultura di massa è in continua ascesa con

film, fumetti, videogiochi… La violenza indiscriminata è considerata spesso divertente,

più che scioccante.

Si diventa insensibili anche alla visione di una guerra se si pensa che essa non possa

essere fermata. Se pensiamo di non poter fare nulla, diventiamo cinici, ci annoiamo. è la

passività che spegne i sentimenti. L’apatia è in realtà rabbia o delusione che però non

riusciamo a tradurre in azione.

6 giovedì 7 gennaio 2016

CAP 7

Due idee diffuse sull’impatto della fotografia:

- attenzione del pubblico manovrata dai - in un mondo ipersaturo di immagini, diminuisce

media e quindi dalle immagini l’impatto di quelle che dovrebbero aver importanza:

Se ci sono foto, una guerra diventa “reale”. diventiamo insensibili.

Le fotografie individuano catastrofi o crisi a

cui prestare attenzione per dar forma alle

nostre preoccupazioni e alle nostre analisi.

Prendiamo l’esempio della televisione:

le immagini tv sono imm. di cui, prima o poi, ci si stanca. Si può poi privare un’imm. della

sua forza in base al modo in cui viene utilizzata, dal luogo in cui viene vista e con la

frequenza con cui viene trasmessa.

La tv suscita e poi sazia il bisogno di immagini. La saturazione visiva fa si che

l’attenzione sia incostante e relativamente indifferente ai contenuti.

Il flusso di imm. impedisce di privilegiarne una. Si può cambiare canale, è normale

spazientirsi o annoiarsi e semplicemente schiacciare il telecomando.

Impegnarsi in una più profonda riflessione richiederebbe maggiore attenzione.

Vita moderna: dieta a base di orrori dai quali veniamo corrotti e ai quali gradualmente ci

abituiamo.

Per Baudelaire, e ancora la foto non esisteva, i giornali erano un “tessuto di orrori”. Oggi

è uguale.

La tv però ci sta togliendo la forza di reagire alle atrocità. Viviamo nella “società dello

spettacolo” dove qualunque situazione deve venir trasformata in spettacolo per

diventare reale (cioè interessante) ai nostri occhi. Gli individui stessi aspirano a

diventare immagini: celebrità. La realtà ha abdicato,

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Publisher
A.A. 2015-2016
8 pagine
2 download
SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-ART/03 Storia dell'arte contemporanea

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher gipettina007 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Analisi dei movimenti artistici e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Libera Università di Lingue e Comunicazione (IULM) o del prof Boccali Renato.