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4.LE RESTRIZIONI DELLO SPAZIO FISICO E SOCIALE
Il modello amministrativo della Francia – costituito inizialmente dalle grandi riforme del decennio
rivoluzionario incorporatevi dal Console Bonaparte ed ampliato successivamente – forniva il punto
di riferimento obbligato per tutta l’Europa continentale. Anche potenze ostili, come la Prussia,
seguivano con grande attenzione gli esperimenti napoleonici di costruzione dello Stato.
Fuori delle frontiere francesi si prendeva cauta nota delle difficoltà. Melzi godeva di un grado di
autonomia senza pari, in parte perché l’attenzione di Napoleone verso la Repubblica italiana era
posta in sottordine dalle assorbenti preoccupazioni per la sistemazione della Francia nel periodo
più produttivo del Consolato.
Tuttavia ai prefetti e agli alleati, con sempre maggiori pressioni si imponeva il sistema francese
come modello che non tollerava modifiche o ritardi, salvo in caso di esigenze politiche (il che di
solito significava militari).
Il cambiamento nello stile e nelle pressioni, già marcato nel 1808, divenne totale verso il 1810. Il
tempo concesso agli amministratori e ai prefetti per imporre le leggi e le procedure francesi nei
nuovi dipartimenti in Toscana, a Roma, in Olanda e nei dipartimenti baltici si ridusse a pochi mesi.
I rappresentanti e gli stretti collaboratori di Napoleone esprimevano la sua convinzione che la
Francia offriva agli altri Stati la possibilità di godere i benefici del suo successo nella creazione del
modello per il futuro senza soffrire i dolori del parto rivoluzionario. In realtà solo gli Stati alleati,
come la Baviera e il Baden, riuscirono a resistere efficacemente alla pressione e a filtrare il
modello francese, scegliendone e adattandone quegli elementi che sembravano più adatti alle
esigenze locali, malgrado i tentativi di Napoleone di convincere gli stati membri della
Confederazione renana ad accettare il codice civile e una costituzione di tipo francese.
L’anno cruciale fu il 1810, nel quale Napoleone tentò di rafforzare e centralizzare il controllo interno
attraverso le indagini statistiche sull’economia, la creazione dell’università imperiale e i nuovi
decreti del sistema continentale. Non stupisce che il rovescio della medaglia fosse l’intolleranza di
qualsiasi deviazione dal sistema francese. Nello stesso 1812 la certezza di Napoleone di
possedere la ricetta amministrativa di un governo stabile era così profonda che via via che la
Grande Armée avanzava nella Polonia russa egli cercava immediatamente di organizzare il
territorio in dipartimenti.
Tutti gli amministratori incaricati di introdurre il sistema francese erano d’accordo sulla necessità di
un approccio graduale nei territori. Intanto, la repressione militare dei briganti e le ispezioni
governative personali servivano da misure preparatorie. Napoleone era d’accordo con Giuseppe
che la soppressione immediata degli ordini mendicanti era pericolosa e ammise che l’introduzione
del sistema metrico richiedesse del tempo. Più ancora della gradualità, oggetto centrale della
discussione divenne l’adattamento del modello francese alle peculiarità storiche, sociali e
istituzionali di ogni Stato. Napoleone non negava l’esistenza di tali caratteristiche, solo contestava
il metodo con cui si affrontavano. Con sempre maggior vigore rimproverava ai suoi parenti e ai
suoi rappresentanti la loro voglia di essere concilianti con le popolazioni locali. Napoleone usò le
sue esperienze per concludere che, come l’esecuzione di una serie prestabilita di operazioni
militari era la chiave della conquista, così esistevano procedure uniformi per consolidare i nuovi
regimi, comprese dure repressioni delle inevitabili insurrezioni.
Da parte loro, i suoi contraddittori non negavano che la via francese verso la modernità fosse la
migliore ed anzi l’unica, o per lo meno quella inevitabile. Condividevano la sua convinzione che si
potesse capire e controllare i meccanismi secondo cui operava la società: si trattava solo di
individuare i capi e di assicurarsene il consenso. I punti sui quali non erano d’accordo con lui erano
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la valutazione dei pericoli dello scontento e la convinzione che qualche concessione alle
suscettibilità nazionali sarebbe risultata più efficace per consolidare il loro governo.
Ma il sogno impossibile di un sistema amministrativo uniforme probabilmente costrinse i governanti
degli Stati satelliti ad affermare con più forza di quanto ci si potesse aspettare la propria
identificazione con i loro popoli.
Solo gli Stati alleati, come la Baviera, riuscirono ad avere un approccio più graduale e controllato,
sperimentando le riforme attraverso la loro applicazione in località specifiche, modificando alcuni
articoli di fede del sistema francese (per esempio regolarono le corporazioni, anziché abolirle),
rinunciando quietamente a ciò che consideravano irrealizzabile, come il sistema legale e
giudiziario francese.
Non c’è dubbio che la resistenza ad adottare il modello amministrativo francese fosse inasprita dal
suo essere associato all’invadente presenza dei Francesi.
Ben lontani dall’incoraggiare tali interessate affermazioni, gli amministratori e i governanti dei nuovi
regimi anzi facevano resistenza alle raccomandazioni e alle pressioni sia di Parigi che locali per la
nomina di Francesi. Napoli era un’eccezione, essendo considerata come potenzialmente ricco e
legittimo bottino, ma anche qui Giuseppe e Murat erano fortemente a favore dell’impiego di locali:
la costituzione del 1808 specificava che tutte le cariche dovevano essere riservate a sudditi
napoletani. Già Melzi aveva rifiutato di cedere alle pressioni francesi sia provenienti da Parigi che
dai comandanti militari. In Germania e in Olanda, Beugnot, Siméon e Lebrun insistevano sulla
necessità di riservare i posti alle élites locali per non creare disoccupazione e scontento.
Napoleone accettò che solo Polacchi potessero avere incarichi nel granducato di Varsavia.
La corruzione era diffusa fra i funzionari di dogana ad ogni frontiera, in particolare dove il
contrabbando era un’attività a tempo pieno come a Strasburgo o ad Amburgo. I capi militari
continuavano ad abusare della loro posizione a proprio vantaggio.
5.LE CONTRADDIZIONI DELL’INTEGRAZIONE
È chiaro che nell’organizzazione dello Stato Napoleone si mantenne fermamente su alcune idee
fondamentali, per lo più derivate dalla critica prerivoluzionaria dell’ancien regime: uguaglianza dei
cittadini davanti alla legge, controllo e trasparenza nelle finanze pubbliche, diritto di proprietà
assoluta, protezione legale dell’iniziativa individuale, secolarizzazione dello Stato, partecipazione
alla cosa pubblica aperta a tutte le elites, definite in base alla ricchezza, all’istruzione e al
comportamento.
Il concetto di sovranità popolare era abbandonato del tutto, mentre si resuscitava la
rappresentanza organica sotto nomi diversi. Dalla prima costituzione (il modello di Brumario
dell’Anno VIII) all’ultima (quella del granducato di Francoforte del 1810), la rappresentanza si era
ristretta a specifiche categorie della popolazione, le cui procedure di selezione erano tenute
distinte e separate come quelle dei vecchi Stati Generali. i proprietari terrieri erano sempre
presenti e spesso avevano una quota più larga di rappresentanza: in termini di ricchezza la
categoria era definita in modo vago, così da includervi proprietari relativamente modesti. Altra
categoria sempre presente era quella dei manifatturieri e dei mercanti. Nella Repubblica italiana fu
creato un ulteriore collegio elettorale dei dotti, presumibilmente per la fama degli intellettuali nella
tradizione riformatrice lombarda e delle università. Nelle costituzioni spagnola, napoletana e
polacca furono creati collegi riservati alla nobiltà e al clero, di cui in tal modo si riconosceva il
tradizionale potere.
In termini di democrazia parlamentare, la limitazione dei poteri e le ristrette e contorte procedure
elettorali – che peraltro in alcuni casi (Spagna, Baviera, Berg) non furono mai neanche messe in
pratica – ridussero a pura apparenza la rappresentanza napoleonica. Soltanto a Varsavia,
acutamente cosciente della sua recente tradizione parlamentare, la Dieta formulò all’esecutivo
critiche vivaci e in certe occasioni anche efficaci. Le costituzioni furono in realtà redatte sia come
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base per la creazione di uno Stato del tutto nuovo (Repubblica italiana, Vestfalia), nel quale la
rappresentanza della nuova entità nazionale era un complemento degli sforzi amministrativi tesi a
superare le tendenze regionalistiche e i particolarismi, sia come mezzo per dare legittimazione al
nuovo potere politico attraverso la partecipazione di gruppi sociali potenti e potenzialmente
pericolosi (Varsavia, Spagna, Napoli).
Napoleone dettò personalmente la minuta della costituzione del granducato di Varsavia prima di
assegnare il nuovo Stato al re di Sassonia. La costituzione polacca del 1807 fu il modello per il
nuovo regno di Vestfalia, fu imitata strettamente dalla Baviera e costituì la base di discussione per
la rappresentanza a Berg. La costituzione spagnola del 1808 fu controllata personalmente da
Napoleone a Baiona, in maniera assai simile al patronato che aveva esercitato sulla costituzione
italiana del 1801 a Lione: in ambedue i casi il suo scopo era quello di rendere corresponsabili i
principali notabili e legittimare così la riorganizzazione dello Stato.
Data l’ambizione di Napoleone di dimostrare, proprio con il regno di Vestfalia, la possibilità di
creare uno Stato modello, non è sorprendente il suo insistere sui mezzi tesi ad assicurarsi
l’appoggio sociale delle popolazioni.
Le conquiste sociali fondamentali della Rivoluzione, entusiasticamente incorporate nel modello
napoleonico – l’abolizione del feudalesimo, il libero esercizio di attività individuale e la libera
circolazione dei beni, il diritto di proprietà assoluta – furono introdotte nel modo più efficace nei
territori soggetti direttamente e per un periodo prolungato al governo francese.
Altrove, specie in Germania, i nuovi governanti, o quelli riformatori, preferirono il compromesso. In
Vestfalia e Berg, come in Baviera, a Francoforte e in Asia, furono aboliti soltanto gli obblighi di
servitù personali, mentre i tributi dovuti ai signori dovevano essere riscattati dai contadini. Le
distinzioni spesso erano piuttosto vaghe, e i tribunali locali appoggiavano i signori. Il risultato fu
quello di scontentare i feudatari senza ottenere l’appoggio dei contadini.
Le esigenze strategiche della politica internazionale e della guerra lavoravano contro l’effettiva
abolizione del feudalesimo, mirando così uno dei pilastri sociali al centro della