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Estratto del documento

Francia e dei suoi alleati aveva aperto infatti nuovi sbocchi ai prodotti inglesi in oriente e in America

latina, mentre un efficace contrabbando, che si giovava della complicità di funzionari e doganieri

corrotti, riusciva per diverse vie ad eludere il blocco. Napoleone rafforzò la repressione ordinando

che tutte le merci inglesi sequestrate venissero bruciate.

Fra il 1810-11 una crisi finanziaria ed industriale, aggravata da un raccolto agricolo assai scarso,

determinò in Francia una depressione economica che portò in varie regioni disoccupazione,

miseria, carestia. Anche l’Inghilterra nel 1811 fu colpita da una grave recessione: drastica caduta

delle esportazioni, crollo della produzione industriale, riduzione dei salari, rivolte operaie che

sfociarono della distruzione delle macchine (luddismo).

Di fronte alla crisi del 1811 Inghilterra e Francia divennero entrambe più accomodanti, trovando nel

sistema delle licenze un comodo mezzo per superare le rispettive difficoltà congiunturali. Un colpo

decisivo alla solidità del sistema venne poi dalla Russia, che decise nel dicembre 1810 di aprire i

suoi porti alle navi neutrali e di tassare le merci francesi.

Penalizzata dal blocco, la Russia era altresì colpita nei suoi interessi dalla rinascita della Polonia e

dalla crescente presenza francese nel Baltico. Quando Alessandro I gli chiese di evacuare la

Pomerania e la Prussia orientale, egli passò immediatamente all’azione. Sulla carta la Russia

disponeva di forze molto inferiori a quelle francesi. Al suo fianco c’era solo la Svezia. Temendo di

essere annientati in uno scontro in campo aperto, i generali russi preferirono ritirarsi lasciando

terra bruciata dietro di sé. Napoleone riuscì a Borodino ad aprirsi la strada per Mosca, dove entrò il

14 settembre 1812, ma alla testa di un esercito decimato dalle perdite, dalle diserzioni, dalle

difficoltà di approvvigionamento. La situazione era senza via d’uscita: lo zar infatti rifiutava

ostinatamente ogni trattativa, mentre la lentezza delle comunicazioni e l’enorme distanza dalla

Francia rendevano sempre più precarie le condizioni dell’esercito. Così alla metà di ottobre

l’imperatore ordinò di lasciare Mosca e di prendere la via del ritorno. Nel gelo del terribile inverno

russo la ritirata si trasformò in una tragica odissea, nella quale moltissimi perirono per la fame e

per il freddo (l’armata perse circa 380.000 uomini fra morti, prigionieri e disertori). A Parigi intanto il

23 ottobre il generale Malet promuoveva un tentativo di colpo di Stato spargendo la voce della

morte dell’imperatore e della formazione di un governo provvisorio. Il tentativo fu sventato e Malet

fu fucilato con due generali suoi complici. La vicenda dimostrò soprattutto quanto fragile fossero le

basi dinastiche del regime. Fu evidente allora che tutto l’edificio si reggeva sulle vittorie di

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Napoleone e sarebbe inevitabilmente crollato con una sua sconfitta. Napoleone lasciava i resti del

suo esercito per rientrare precipitosamente a Parigi.

La prima conseguenza del disastro russo fu l’insurrezione della Germania. Federico Guglielmo III

era in verità piuttosto esitante, ma di fronte al fremito di esaltazione nazionale che percorreva il

paese decise di entrare in guerra accanto alla Russia. Napoleone rispose con energia

raccogliendo 300.000 uomini e predisponendo un audace piano di guerra. Nell’intento di ingraziarsi

l’Austria, egli decretò il 5 febbraio 1813 la reggenza in favore di Maria Luisa. Manovrando con

abilità Napoleone dapprima a Lutzen e poi a Bautzen costrinse prussiani e russi a ripiegare. Il 4

giugno fu stabilito un armistizio di due mesi. Napoleone sperava naturalmente che l’Austria non

abbandonasse la posizione di neutralità armata che aveva assunto fin dall’aprile e a tal fine ebbe il

26 giugno a Dresda un ultimo drammatico colloquio con Metternich.

Nell’occasione l’Inghilterra si ripropose come fulcro delle coalizioni antifrancesi e, promettendo il

proprio sostegno per superare la crisi finanziaria austriaca, ebbe un ruolo decisivo nello spingere il

governo di Vienna alla guerra. Nonostante il legame dinastico stabilito con Napoleone, l’11 agosto

l’Austria decideva di schierarsi al fianco della Prussia, della Russia, della Svezia e dell’Inghilterra

nella sesta coalizione. Le sorti della guerra ne furono completamente rovesciate. Costretto a

combattere su più fronti, l’esercito francese non diede le brillanti prove di un tempo. Napoleone

nella battaglia di Dresda (26-28 agosto 1813) riuscì a fermare l’esercito austriaco. Le altre armate

però dovettero ripiegare. Infine a Lipsia, fra il 16 e il 9 ottobre, le truppe della coalizione, che

contavano 320.000 uomini, ottennero nella battaglia delle nazioni un a vittoria decisiva sull’armata

francese, formata da 160.000 uomini, costringendola ad una precipitosa e disastrosa ritirata.

Mentre Napoleone rientrava a Saint-Cloud il 9 novembre, il suo Impero cominciava a sfaldarsi. La

Germania napoleonica ormai non esisteva più. In Olanda un’insurrezione nazionale costrinse le

truppe francesi ad evacuare il paese. Di fronte ai successi degli insorti spagnoli lo stesso

Napoleone propose a Ferdinando VII di Borbone di ritornare sul trono. Fra i membri della famiglia

imperiale si diffondeva l’inquietudine. Gioacchino Murat, re di Napoli, che aveva da tempo

allacciato trattative con Vienna per salvare il suo regno in caso di sconfitta del cognato, accettò

dopo Lipsia di contribuire alla lotta antifrancese nella penisola. Mentre egli occupava Roma e si

spingeva con le sue truppe fino ad Ancona e Bologna, l’esercito austriaco, aiutato dagli insorti

tirolesi, attraversava le Alpi e costringeva i francesi ad arretrare verso la Lombardia. Il 21 gennaio

1814 Napoleone liberò il papa, che poté rientrare a Roma il 24 marzo.

Il 4 dicembre un proclama dei coalizzati invitava i francesi a separare la loro sorte da quella

dell’avventuriero che aveva sconvolto l’Europa. Napoleone si preparò ad organizzare la resistenza,

ma questa volta la nazione, provata, non rispose all’appello. Il Corpo legislativo, facendosi

portavoce della pubblica opinione, votò una mozione che impegnava l’imperatore a continuare la

guerra solo per l’indipendenza della nazione francese e per l’integrità del suo territorio. Napoleone

rifiutò di prenderne atto, vietò la stampa della risoluzione e aggiornò il Corpo legislativo.

Pur disponendo le forze di gran lunga inferiori, Napoleone si difese con grande abilità, dando vita

forse, sul piano strategico, alla sua più brillante campagna. Di fronte a questa ostinata resistenza,

le potenze alleate misero da parte i dissidi che le avevano divise e si ricompattarono sul

programma, sostenuto dal ministro inglese Catlereagh, di una lotta ad oltranza contro l’imperatore:

nacque così il patto di Chaumont (9 marzo 1814) che legava Austria, Russia, Prussia e l’Inghilterra

per 20 anni contro la Francia e le impegnava a non concludere una pace separata. D’altra parte

intono a Napoleone si facevano strada ormai il tradimento e le diserzione. Il 29 marzo l’imperatore

e il re di Roma abbandonavano Parigi. Il 31 le truppe delle potenze coalizzate, precedute dallo zar

e dal re di Prussia, entravano nella capitale. I vincitori invitarono i parigini a pronunciarsi sul

governo da dare alla Francia e chiesero al Senato di designare un governo provvisorio. Il 2 aprile il

Senato proclamò decaduto Napoleone e poi redasse in tutta fretta una nuova costituzione,

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chiamando al trono il legittimo pretendente Luigi XVIII di Borbone, fratello di Luigi XVI, il re

ghigliottinato nel 1793.

Intanto Napoleone, ritiratosi a Fontainebleau, pensava ancora a resistere con i 60.000 uomini che

gli restavano, ma fu indotto dai suoi marescialli ad abdicare il 4 in favore del figlio. Le trattative con

lo zar non ebbero per altro alcun esito: quando fu chiaro che i capi dell’esercito non seguivano più

Napoleone, Alessandro gli impose di abdicare senza condizioni. Il trattato di Fontainebleau dell’11

aprile gli garantì la sovranità dell’isola d’Elba e una pensione di 2 milioni ogni anno da parte del

governo francese, e assicurò alla moglie ed al figlio il ducato di Parma.

Giunto nell’isola egli avviò immediatamente un piano di riorganizzazione dell’amministrazione e dei

servizi, ma, mentre fingeva di adattarsi alla sua nuova condizione, teneva continui contatti con la

Francia, dove la situazione politica evolveva in un senso tutt’altro che favorevole alla restaurata

monarchia borbonica.

La carta senatoriale del 6 aprile si richiamava esplicitamente alla costituzione del 1792 e mirava a

stabilire una monarchia parlamentare il cui il potere di Luigi XVIII, chiamato liberamente dalla

nazione, era temperato dalla presenza in un Corpo legislativo, composto di rappresentanti del

popolo, e di una Camera alta di senatori ereditari nominati dal re. Luigi XVIII comprendeva per

altro che occorreva favorire una pacificazione nazionale, e decise perciò di concedere una carta

ispirata al modello inglese, che prevedeva, accanto ad una Camera dei pari, una Camera dei

deputati eletta a suffragio censitario ristrettissimo, e garantiva le principali conquiste della

rivoluzione (eguaglianza davanti alla legge, abolizione del regime feudale, libertà di coscienza,

vendita dei beni nazionali). D’altra parte se la borghesia fu delusa da un re che non le diede

nessuno spazio sul piano politico e l’esercito fu irritato dai favori concessi ai legittimisti, la nazione

era spaventata dai programmi degli ultrareazionari, che vagheggiavano un radicale ritorno

all’antico regime.

Quando un emissario bonapartista gli riferì del malcontento suscitato della nazione dal ritorno dei

Borboni, Napoleone ruppe gli indulgi e prese il mare, giungendo senza incontrare ostacoli nel golfo

di Jouan il 1 marzo 1815. Il 20 Napoleone entrava trionfalmente nella capitale e si insediava alle

Tuileries, mentre Luigi XVIII decise di fuggire in Belgio. Cominciava l’avventura del Cento giorni.

La prodigiosa rinascita dell’aquila imperiale era stata resa possibile dall’appoggio di operai e

contadini, mentre i notabili e la borghesia imprenditoriale mantennero una posizione di difficile

attesa. Deciso a restare fino in fondo la spada della sola rivoluzione borghese, egli tentò di

conciliarsi il favore dei notabili accordandosi con l’opposizione liberale. Apparve però subito

evidente la profonda distanza che separava i progetti dei liberali e le aspettative della nazione dalle

reali intenzioni di Napoleone.

Ma nell’insieme l’Atto addizionale non conseguì gli scopi che si era prefissato: la concessione di

una rappresentanza speciale al mondo del lavoro de della pr

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A.A. 2015-2016
28 pagine
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SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-STO/02 Storia moderna

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Kristina_gv di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia moderna e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Milano o del prof Levati Stefano.