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1.5.L’ITALIA E IL RE SOLE
Mentre per Venezia la seconda metà del secolo fu un periodo di alta drammaticità, di gravi
sfide e di pesanti sacrifici di uomini e risorse, per il resto della penisola rappresentò invece
una fase di relativa tranquillità. Non vi furono cambiamenti di rilievo nella carta politica o
nella distribuzione del potere tra gli Stati italiani, se si eccettuano una congiura fallita,
istigata dal Duca di Savoia, contro l’oligarchia dominante di Genova, nel 1672, e
un’insurrezione popolare a Messina due anni dopo.
A dire il vero, anche in questo periodo privo di grandi eventi l’ingerenza straniera negli
affari italiani continuò: non sorprende che fosse opera della potenza maggiore e
maggiormente aggressiva dell’epoca, la Francia di Luigi XIV. Nel 1662 la pretese alquanto
stravaganti di immunità diplomatica e di extraterritorialità avanzate dall’ambasciatore di
Luigi a Roma portarono a uno scontro con la Santa Sede, a una minaccia di intervento
militare francese nello Stato Pontificio e all’invasione dell’enclave papale di Avignone. Un
compromesso tra il papato e il Re Sole fu finalmente raggiunto nel 1664 ed Avignone fu
evacuata, ma le tensioni riemersero pochi anni dopo sul problema del controllo regio sulle
nomine ecclesiastiche in Francia e della rivendicazione di autonomia della Chiesa
francese di fronte al pontefice romano.
Più gravido di conseguenze risultò, a lungo andare, l’acquisto da parte di Luigi XIV,
avvenuto nel 1679, della piazzaforte di Casale nel Monferrato dal duca di Mantova, che
era sull’orlo della bancarotta. Con Pinerolo già in mani francesi fin dal trattato di Cherasco
del 1631 , l’acquisizione di Casale non solo rendeva di fatto il Piemonte un satellite della
Francia, ma forniva altresì a Luigi XVI un avamposto d’inestimabile valore dal quale
poteva influenzare il corso degli affari italiani. In pratica nessuno poteva fare granché per
porre rimedio a questa situazione: Venezia doveva preoccuparsi dell’impero ottomano; il
papa era coinvolto in un’aspra contesa sui suoi diritti di giurisdizione sulla Chiesa
francese; il Piemonte-Savoia era pressoché alla mercé di Luigi XIV. E quando Genova
tentò di resistere alle pretese del re di Francia, pagò per il suo coraggio un prezzo terribile.
Accadde nel 1683: Luigi, di nuovo in guerra con la Spagna, chiese che nessuna nave
genovese, anche se privata e già sotto contratto, navigasse al servizio della Spagna.
Quando la coraggiosa repubblica si rifiutò di accondiscendere, la città fu brutalmente
cannoneggiata per cinque giorni dalla flotta francese. La Spagna non alzò un dito per
aiutarla.
La mano di Luigi XIV fu ugualmente pesante in Piemonte. Nel 1685, dopo aver privato i
protestanti francesi della libertà religiosa di cui avevano goduto per quasi un secolo e dopo
averli perseguitati, pretese da Vittorio Amedeo II, giovane e indifeso duca di Savoia, che
infliggesse lo stesso trattamento alla minoranza religiosa dei suoi possedimenti, i valdesi.
Per assicurarsi che il riluttante vicino obbedisse in pieno, nel 1686 Luigi inviò un esercito
al di là delle Alpi: assieme a forze locali portò devastazioni e morte nella comunità valdese
e costrinse alla fuga migliaia di persone. Solo nel 1690, dopo essersi unito alla grande
coalizione antifrancese (la lega di Augusta), Vittorio Amedeo invertì la sua politica e
permise ai valdesi di tornare alle loro case.
1.6.STABILITA’ ISTITUZIONALE
Nonostante tutte le guerre, tutti i tentativi di colpi di mano e gli interventi stranieri, nel 1700
la mappa politica dell’Italia era molto simile a quella di un secolo primo. Lo stesso può
dirsi, a grandi linee, della forma di governo dei singoli Stati italiani. Le dinastie indigene al
potere nel 1600 (i Savoia, Gonzaga, Medici, Este, Farnese) lo erano ancora nel 1700 e
continuavano a governare i loro piccoli possedimenti come monarchi (teoricamente)
assoluti. Quanto alle repubbliche di Venezia, Genova e Lucca, nel 1700 la loro tradizionale
struttura oligarchica era ancora fondamentalmente intatta, nel senso che, come prima,
un’aristocrazia o un patriziato cittadino monopolizzavano tutte le cariche di governo
importanti. Ugualmente invariati, da un punto di vista strettamente istituzionale, erano lo
Stato Pontificio e i regni spagnoli di Napoli, Sicilia e Sardegna.
Questo schema complessivo di stabilità va tanto più sottolineato in quanto, nel corso del
XVII secolo, il paese fu toccato ripetutamente dalla guerra, ma anche da eventi e forze che
avrebbero potuto avere effetti profondamente destabilizzanti: tre grosse carestie (1628-29,
1648-50, 1690-700); due devastanti incursioni della peste bubbonica (1630 nel Centro-
Nord, 1656 nel Sud) che provocarono entrambe decessi nell’ordine del 30-40%; un
crescente onere viscale che, in alcune regioni, si rivelò rovinoso; il tracollo delle economie
cittadine; infine, varie sollevazioni popolari di grosse dimensioni.
Certo, la preoccupazione prioritaria tra i sovrani italiani, con la notevole eccezione di Carlo
Emanuele I e forse di Urbano VIII, fu la conservazione di quanto avevano ereditato dagli
avi e, se ce ne fosse stato bisogno, l’alleanza con altri in modo da opporsi a chiunque
avesse tentato di modificare lo status quo.
Il clima religioso della Controriforma, con il suo ribattere sulla tradizione e sulla stabilità,
può aver avuto un ruolo in tutto ciò, ma indubbiamente più rilevante a questo proposito era
la chiara, realistica consapevolezza che ogni tentativo di modificare gli equilibri politici tra
gli Stati italiani avrebbe avuto come unico risultato il disastro per tutti, come era accaduto
nel secolo precedente al tempo delle guerre d’Italia, a meno che, forse, l’ipotetico
aggressore non potesse avere l’appoggio di una delle due grandi potenze europee,
Spagna o Francia.
Una stabilità di lungo periodo caratterizzò anche l’economia e la struttura sociale. Il quadro
istituzionale messo in atto nel 500 operò tutti gli sforzi centralizzatori dei governi
cinquecenteschi non avevano cancellato la composita struttura dei rispettivi Stati. Tale
struttura rifletteva (soprattutto nell’Italia settentrionale e centrale)il lungo processo
attraverso il quale i vari Stati regionali erano stati edificati con il graduale assorbimento di
città-Stato indipendenti, enclaves feudali, libere comunità rurali nel dominio di un signore.
Il processo aveva contemplato, oltre alla mera conquista militare, una buona dose di
negoziazione, che conduceva a termini di resa chiaramente definiti (patti di dedizione) i
quali rappresentavano un compromesso tra il conquistatore (il signore) e i conquistati (le
comunità) e si concludevano col riconoscimento da parte del primo dell’identità
istituzionale, delle tradizioni giuridiche e dell’autonomia amministrativa dei secondi. Anche
laddove, come nel caso nel Regno di Napoli e dello Stato di Milano, un territorio era stato
assoggettato al dominio di una potenza esterna, come la Spagna, che presumibilmente
aveva la forza militare per sgombrare la via da ogni ostacolo sul cammino della
centralizzazione, era concesso alle tradizioni giuridiche esistenti, alle strutture istituzionali,
e a una consistente porzione di autogoverno di sopravvivere. I monarchi spagnoli da Carlo
V in poi si impegnarono a rispettare e conservare l’identità e l’autonomia dei loro
possedimenti italiani e, in un deliberato sforzo di guadagnarsi la fedeltà e la cooperazione
dei loro sudditi italiani, lasciarono l’amministrazione quotidiana del paese alle élites locali,
e trattarono ogni componente dei loro domini come un’entità distinta, ognuna con una
serie di particolari privilegi e obblighi.
Sotto la pressione della necessità in un certo numero di Stati italiani vennero introdotti
alcuni mutamenti, nonostante la dura opposizione di diversi centri di potere, privilegio e
influenza: in particolare delle nuove misure tese a tenere a freno l’anarchia della nobiltà
feudale e il flagello del banditismo.
Qualsiasi piano per costituire una lega di Stati italiani allo scopo di liberare la penisola
dalla dominazione straniera era destinato a rimanere il pio sogno di un pugno di visionari.
CAPITOLO 2 – L’ECONOMIA
I cinquanta anni di pace pressoché ininterrotta di cui il paese godette dopo che il trattato di
Cateau-Cambrésis del 1559 ebbe definitivamente sancito l’egemonia spagnola sulla
penisola furono anche anni di vigorosa espansione economica.
Mentre la popolazione, e in particolare quella delle città, fu in continua crescita e intorno al
1600 raggiunse livelli senza precedenti, il progresso economico si svolse lungo un ampio
fronte. In risposta a un aumento della domanda di beni alimentari dovuto alla crescita
demografica, e che si manifestava nel rialzo dei prezzi agricoli, si provvedeva in tutta la
penisola a rendere coltivabili ampie zone di terre incolte o paludose e boschive.
Non può sorprendere che, con il resto dell’economia, prosperassero anche i commerci e le
attività bancarie. Dal 1570 circa il piccolo borgo di Livorno fu trasformato dai granduchi di
Toscana in un importante porto internazionale. Seppur meno spettacolare, la crescita del
traffico marittimo a Venezia fu anch’essa assai rilevante, a giudicare dalle navi in arrivo. La
sua antica rivale, Genova, non se la passava altrettanto bene come porto commerciale ma
la sua popolazione poteva rallegrarsi di non essere seconda a nessuno in quanto a
finanza internazionale.
Gli ottimi risultati ottenuti dall’economia italiana nella seconda metà del 500 non furono
tuttavia privi di costi e lasciarono sul campo delle vittime. Se infatti al rialzo dei prezzi
agricoli e del valore dei terreni va attribuito l’afflusso di capitali consistenti in agricoltura,
sotto forma di acquisti di terra e di grandi opere di bonifica e di irrigazione, in particolare
nella Pianura Padana, alcune regioni imboccarono la scorciatoia dello sfruttamento troppo
intensivo dei terreni e si trovarono poi di fronte a seri problemi di esaurimento del suolo.
Anche nel settore industriale vi furono, oltre ai vincitori, degli sconfitti. Lo straordinario
successo dell’industria tessile veneziana, ad esempio, avvenne in parte a spese della
rivale fiorentina. Tra gli sconfitti di quel periodo bisogna annoverare anche l’industria dei
noli marittimi e la cantieristica. Alla fine del Medioevo e anche nei primi decenni del 500
Genova e Venezia avevano vantato le due più gradi flotte mercantili del Mediterraneo.
Nella seconda metà del 500 , invece, l’industria delle costruzioni navali decadde
rapidamente in entrambe le città.
2.1.L’AGRICOLTURA: RECESSIONI E RECUPERO
Nell’agricoltura le c