CRITICHE AL PENSIERO DI SCHUMPETER
Anche in questo caso, come per Weber, si può rimproverare a S. la totale mancanza di
considerazione e di fiducia nella popolazione media che come detto è un attore solo marginale
della vita politica del paese (questo rende il suo modello ben poco democratico). Le masse sono
per S. disinteressate poiché la loro attenzione è rivolta alle problematiche pratiche di tutti i
giorni. Ma allora, si potrebbe obiettare, oggetto della politica non è regolare la vita di ogni
giorno, le cose anche più semplici che interessano la comunità? E ancora, il cittadino sceglie solo
perché persuaso dalla pubblicità del leader? Non è informato anche da valori, credenze, ecc.? in
fine, la critica più forte è quella che riguarda la “partecipazione limitata” o “non partecipazione”
per cui non tutti i cittadini avrebbero le risorse materiali e intellettuali per candidarsi e competere
(libertà di eleggere ed essere eletti). Il modello empirico di S. poi non riesce a spiegare
empiricamente tutti gli aspetti della vita democratica di un paese, quindi appare limitato in
questo.
Per S l’azione dei leader politici è legittimata dal voto popolare, anche se, si osserva, esistono
vari tipi di consenso e l’approvazione con il voto può avere varie sfaccettature: non è detto che la
votazione espressa sia sinonimo di legittimità. È proprio S a dire che la gente è manipolabile
dagli esperti dell’arena politica.
I TEORICI PLURALISTI
Tra le critiche mosse all’elitismo competitivo di Weber e Schumpeter c’era l’eccessiva rigidità
del modello per cui tra leader politici e popolo si creava un vuoto che si colmava solo nel
momento delle elezioni ma che poi vedeva i cittadini totalmente disinteressati. Come se una
loro compito fosse esaurito. Su questa critica e sull’ispirazione di
volta scelti i rappresentanti, il
pensatori americani, tra cui ricordiamo Truman, MADISON (i pluralisti partono condividendo le
premesse di Madison per cui esistono varie fazioni che perseguono propri interessi politici la cui
libertà deve essere tutelata da parte dello stato onde evitare di scivolare nella tirannia, ma lungi
dall’attentare alla democraticità, come sosteneva Madison, queste fazioni sono fonte strutturale
di stabilità e espressione principale di democrazia) si collocano i cosiddetti Democratici
PLURALISTI (studiano la distribuzione del potere nelle democrazie occidentali). Tra i massimi
3
esponenti di questa corrente di pensatori vi senza dubbio Robert DAHL . I pluralisti
individuavano tra politici e popolo una serie di categorie, gruppi, associazioni portatori di
interessi diversi ma in qualche modo raggruppati. La presenza di questi interessi alternativi è
I pluralisti partono dall’assunto Schumpeteriano
in sé sinonimo di confronto e di democrazia.
che le decisioni per il paese siano prese da un élite e dalla convinzione Weberiana che i centri di
potere siano molteplici. Muovendo da qui, però, riconoscono la presenza di partiti, gruppi
3 Dahl critica l’idea secondo
Considerato uno dei politologi americani più autorevoli della scuola pluralista. Peraltro
la quale la democrazia sia nata in Grecia, collocandone invece la fucina nell’Europa del Nord (Scandinavia). Inoltre
chiama i paesi occidentali POLIARCHIE non riconoscendoli come democrazie. 11
religiosi, associazioni ecc. (GRUPPI DI INTERESSE o GRUPPI DI PRESSIONE) che si fanno
portavoce di interessi di gruppi di persone accomunate tra loro per il conseguimento degli stessi
Il potere, infatti, per i pluralisti è FLUIDO e transita da un centro all’altro
interessi. (non è
cumulabile in un unico centro proprio per via delle varie pressioni che se lo contendono) secondo
un continuo processo di “contrattazione” che livella le esigenze, regola il meccanismo
portandolo all’equilibrio, così come accade con la concorrenza nel libero mercato. La direzione
definitiva della linea politica, pertanto, è la risultante della combinazione e del compromesso di
tutte le spinte che vengono dai vari gruppi che, tra l’altro, impediscono svolte autoritarie. Il fatto
che non tutti i cittadini decidano di prendere parte a questi gruppi di pressione, è una scelta
compiuta in libertà e che, dunque, non inficia la democraticità del modello.
Nel suo famoso studio sulla politica in alcune città occidentali, “who egli sottolinea
governs?”,
che il potere è DISAGGREGATO E NON CUMULATIVO: esso è condiviso fa numerosi gruppi
della società che rappresentano interessi divergenti. Nel suo sistema la minoranza è ugualmente
se non più importante della maggioranza poiché portando i suoi interessi, evita che si derivi nel
dominio della maggioranza (come già temevano alcuni liberali come Mill).
Il limite di questo modello è il suo empirismo (definiscono il loro modello come una teoria
democratica empirica con finalità descrittive) nel senso che limitandosi a osservare e muovere
dal reale, non lascia spazio a possibili discussioni teoriche su altre forme di organizzazioni
migliori. Altre critiche riguardano il fatto che non partecipino tutti i cittadini ai gruppi di
interesse è si una scelta, ma laddove siano intere categorie a non partecipare (i più poveri, quelli
di colore ecc.) allora ci potrebbe essere un problema.
Robert Dahl concorda con Marx nel ritenere il CAPITALISMO CORPORATIVO causa di
dei mezzi di produzione e l’accumulo di risorse e di
disuguaglianze e di disordini. La proprietà
ricchezza in maniera smodata, infatti, creano una concentrazione di potere in pochi centri,
generando forti differenze nell’ambito della società e facendo venir meno quella sana
competizione che porta equilibrio. Un altro pluralista, LINDBLOM sostiene che lo stato sia
spinto dal mercato a favorire le grandi corporazioni, i grossi centri di potere in grado di esercitare
una forte influenza politica, rischiando così di mettere in pericolo l’essenza stessa della
democrazia. Non sarebbe più il popolo a decidere ma le grosse corporazioni a influenzare le
scelte politiche. Addirittura MILIBAND (neo marxista) negli USA afferma intorno agli anni 70
(1970) che il connubio tra potere politico e potere economico è inevitabile. La classe dominante,
quella che possiede la ricchezza, è anche quella che decide, è anche la classe politica per cui le
istituzioni si riducono a un mero strumento da utilizzare per mantenere lo status quo.
Critico nei confronti di questi pensatori neo marxisti è Claus OFFE il quale ritiene che lo stato
non sia uno stato capitalistico (come affermava Poulantzas), né uno stato nella società
capitalistica (come affermava Miliband). È semmai legato al capitale, cioè alla ricchezza
nell’ambito dello stato, che è fonte della sua stessa sussistenza visto che
prodotta e accumulata
sulla ricchezza gravano le imposte fiscali. In questa ottica lo stato deve garantire al capitalista il
profitto e la proprietà/controllo dei mezzi di produzione perché dalla sua ricchezza dipenderà il
benessere dello stato stesso. Allo stesso tempo, dice OFFE, i politici hanno anche bisogno del
consenso del popolo per essere eletti e per governare. E questo consenso è conseguenza di un
comportamento imparziale. Proprio qui nasce la contraddizione nel ruolo dello stato: favorire
gruppi particolari di ricchezza e dimostrarsi imparziale. La soluzione secondo Offe? La
concertazione segreta tra stato e corporazioni, mediante la quale appunto lo stato favorisce
determinati gruppi di pressione.
XX secolo poi, però, anche i lavoratori si organizzano e si riuniscono con l’intento di veder
Nel
tutelati i loro interessi. Il corporativismo da strumento di pressione politica in mano alla classe
Schmitter, “sistema di rappresentanza d’interessi”. Lo
dominante diventa, usando le parole dello
stato diventa da attore principale a cornice all’interno della quale si consuma la competizione tra
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le corporazioni, industriali contro sindacati. La partecipazione alla vita politica del paese è si
allargata, ma sempre corporativa: il cittadino in quanto tale non è coinvolto direttamente.
LA POLARIZZAZIONE DEGLI IDEALI POLITICI
Alcuni studiosi interpretano il periodo relativamente calmo e di crescita economica del post 2
un po’ scemando quelle ideologie che avevano caratterizzato
GM come un epoca in cui vanno
l’epoca precedente. LIPSET nel suo lavoro “la fine dell’ideologia” sostiene appunto che sia
terminata l’epoca degli ideali socialisti, della lotta di classe ispirata al marxismo leninismo.
Questa visione è stata però respinta da un grande intellettuale di quegli anni, famoso per la sua
opera “SOCIETÀ A UNA DIMENSIONE”, ovvero MARCUSE (politico e sociologo tedesco
naturalizzato americano). Per Marcuse sono 3 i fattori di stabilità e di riduzione del conflitto:
1. la moltiplicazione dei centri di potere;
2. la regolarizzazione della concorrenza;
3. la guerra fredda e lo spostamento degli interessi nazionali.
Proprio la combinazione di questi 3 fattori ha portato la società occiedentale, secondo il
all’eliminazione della componente morale e politica in
sociologo, ad una spoliticizzazione,
favore della sola logica produttiva. Il tutto agevolato da una campagna mediatica dei mass media
che hanno “confezionato” l’immagine di una realtà falsata. Anche per Marcuse sono le logiche
produttive a indirizzare le linee politiche nazionali. Alla fine degli anni 60-70 però, si verifica
quella che viene definita “crisi della democrazia”. Succede cioè che lo stato democratico liberale
occidentale va in CRISI. Gli approcci teorici che si sviluppano in questa fase (in netto contrasto
con le teorie sulla stabilità del sistema nate subito dopo la 2 GM) proprio per spiegare quale
fosse la natura della crisi e quali le sue cause, possono essere raggruppati in due filoni differenti
anche se tra loro convergenti:
all’approccio pluralista:
teorie che nascono in seno TEORIA DEL GOVERNO
SOVRACCARICO (tra i principali autori Brittan, King, Rose);
teorie che nascono in seno all’approccio marxista: TEORIA DELLA CRISI DI
LEGITTIMAZIONE (Habermas, Offe) .
TEORIA DEL GOVERNO SOVRACCARICO
Il boom economico del post guerra (alimentato da una politica economica di tipo keynesiano: lo
stato deve avere un ruolo attivo e interviene con la spesa pubblica per incrementare la domanda
aggregata) porta con sé crescita, sviluppo, maggiore ricchezza che fanno nascere nella
popolazione nuove aspettative, il desiderio di nuovi servizi ecc. ciò si trasforma ovviamente in
una sempre maggiore pre
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