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EFFETTI DELLA GLOBALIZZAZIONE:

Questo processo di rapida integrazione dell'economia internazionale ha avuto effetti controversi.

L'arrivo nei paesi sviluppati di manufatti provenienti dai paesi più poveri a prezzi inferiori, ha

forzato un'intensa riconversione che ha provocato la scomparsa di interi settori industriali con

pesanti conseguenze umane. La concorrenza di questi paesi poveri costituisce un autentico

dumping sociale, in quanto è basata sulla manodopera mal pagata e che non ha alcuna protezione

sociale. I paesi in via di sviluppo accusano i paesi ricchi per la protezione accordata al proprio

settore agricolo e subiscono l'egemonia delle multinazionali occidentali in molti mercati di prodotti

e servizi. Malgrado tutte le ingiustizie e gli squilibri che l'integrazione commerciale internazionale

ha comportato, la verità è che lo straordinario miglioramento delle condizioni di vita di milioni di

persone in questi ultimi anni sarebbe inconcepibile senza la grande crescita che ha avuto il

commercio internazionale di beni e servizi. Spetta ai governi agire per alleviare gli effetti dannosi

del libero funzionamento dell'economia e bisogna farlo senza ridurre l'efficienza e il dinamismo dei

mercati. L'incremento degli scambi internazionali di beni e servizi non si è verificato in modo

equilibrato, ma gli squilibri sono aumentati rapidamente. L'elemento fondamentale del

cambiamento è stato l'enorme incremento del deficit della bilancia delle partite correnti degli

USA (le esportazioni non danno un pareggio di bilancio con le importazioni). D'altra parte troviamo

l'incremento dell'attivo commerciale dei paesi in rapida industrializzazione, in particolare

asiatici. Le grandi quantità di dollari che affluiscono verso i paesi in attivo vengono destinate

all'acquisto di valori finanziari nordamericani, essenzialmente buoni del Tesoro e obbligazioni di

enti parastatali, come le grandi compagnie di credito ipotecario.

INSTABILIT

À MONETARIA INTERNAZIONALE:

La caduta del regime di cambi fissi apre ad un periodo di instabilità: molti governi dovettero

lasciare che le loro monete fossero scambiate liberamente sul mercato ma l'instabilità dei cambi che

questo implicava presentava grandi inconvenienti. I più colpiti erano i paesi più piccoli, molto più

vulnerabili di fronte alle oscillazioni dei mercati. Si tenta di porvi rimedio assumendo impegni

vincolanti per il mantenimento dei tassi di cambio al fine di scoraggiare la speculazione.

Paesi del Sud America e dell'Asia decisero di risolvere il problema individualmente con l'adozione

di riforme legali che rendessero difficile la svalutazione. La forma collettiva venne seguita dai paesi

della Comunità Economica Europea con la creazione nel 1979 del Sistema Monetario Europeo

(SME), meccanismo di supporto reciproco. Il risultato fu piuttosto mediocre in quanto il volume dei

capitali investiti a breve termine per motivi speculativi era troppo grande perché un paese potesse

difendere la sua moneta. Ci furono quattro momenti importanti di crisi di svalutazione forzata:

• CRISI DELLO SME (1992):

Inizia con il rifiuto della ratifica del Trattato di Maastricht da parte della Danimarca che creò

dubbi sul futuro dell'unione monetaria. Una serie di attacchi speculativi si succedettero per un anno

fino a forzare l'uscita di questi paesi dal Sistema. Per proseguire nell'unione, l'unica soluzione era

stabilire la moneta comune, ma Regno Unito, Svezia e Danimarca ne restarono fuori. L'1 gennaio

1999 diventarono operativi i tassi di cambio irreversibili tra le monete partecipanti, l' 1 gennaio

2000 furono sostituite dall'euro, che ha portato stabilità interna e un impulso straordinario al

processo di integrazione economica.

• CRISI DELLA TEQUILA:

Fu il primo crollo finanziario prodotto dalla nuova globalizzazione con effetti su un paese

emergente. L'origine va cercata negli intensi flussi di capitali esteri diretti in Messico a partire dal

1990. Erano attirati dagli elevati tassi di interesse e dalle garanzie che offriva il governo di Carlos

Salinas sul mantenimento del tasso di cambio. Le pressioni inflazionistiche che provocavano queste

entrate di capitali incrementavano il deficit e la spesa pubblica. Il paese quando dovette rimborsare i

crediti ricevuti, ci fu una massiccia fuga di capitali che obbligò alla fluttuazione del tasso di

cambio del peso e alla sua immediata svalutazione. Il Tesoro degli Stati Uniti organizzò

un'operazione di salvataggio che permise di rimettere in equilibrio i conti con l'estero.

• CRISI ASIATICA (1997):

La maggioranza dei paesi asiatici che stavano sperimentando tassi di crescita molto elevati avevano

adottato sistemi di cambio fissi per assicurarsi il regolare accesso tanto ai mercati di esportazione

come ai mercati di capitali. Lo loro crescita dipendeva da investimenti esteri. L'inflazione interna

tendeva a rincarare i costi di produzione, ma risultavano ancora competitivi. Però dal 1996 con la

crescente concorrenza dei prodotti cinesi e dal rialzo del dollaro, venero colpiti direttamente questi

paesi e la loro capacità di esportazione. Il ritiro degli investitori stranieri fece precipitare la crisi e

dovette intervenire il Fondo Monetario Internazionale per evitare il crollo della zona.

• CRISI ARGENTINA (2001-02):

Anche in Argentina si adottò una rigida politica di tasso di cambio fisso. La decisione fu presa nel

1991 per porre fine a un periodo di alta inflazione. Era una politica limitata che causò l'aumento dei

prezzi e inoltre l'Argentina non era in grado di regolare il tasso di cambio per mantenere la

competitività. Un irrefrenabile deficit fiscale peggiorava la situazione: gli investitori esterni e

interni cominciarono a disinvestire. Subito si diffuse il panico e obbligò ad adottare misure di

blocco temporaneo dei depositi e di sospensione dei pagamenti all'estero. Il presidente argentino fu

costretto a dimettersi e ad andare in esilio. La moneta venne svalutata e si riuscì a normalizzare la

situazione, anche se numerosi investitori e depositanti hanno perso una parte importante dei loro

risparmi.

Queste crisi e altre di minore portata fanno capire la forte instabilità che ha sofferto il sistema

finanziario mondiale dalla scomparsa dei meccanismi stabiliti a Bretton Woods.

LE ECONOMIE AVANZATE A PARTIRE DAL 1973 – CAPITOLO XVI

STATI UNITI, EUROPA E GIAPPONE:

In questo periodo i paesi capitalistici avanzati sperimentarono una notevole riduzione del loro

ritmo di crescita economica. Sia l'intensità del rallentamento che la combinazione dei fattori che

possono spiegarlo risultano molto differenti in ogni zona. C'è una riduzione del divario fra gli USA

e gli altri paesi capitalistici: Stati Uniti e Regno Unito riduzione intorno a un punto percentuale;

Germania, Francia, Italia intorno a 3-4 punti; Giappone arrivò a 6,7 punti. È chiaro che i paesi che

nei decenni precedenti erano cresciuti grazie all'assorbimento delle innovazioni tecnologiche di

origine nordamericana e al trasferimento di manodopera agricola nei settori industriali o nei servizi

sono quelli che hanno sofferto il rallentamento in modo più intenso.

Mentre Francia e Italia, così come l'Europa occidentale nel suo insieme, hanno vissuto una

riduzione persistente del loro sviluppo dagli anni 1970, invece Stati Uniti, Gran Bretagna, Germania

e Giappone hanno registrato una certa ripresa anche se con tassi in diminuzione.

• STATI UNITI D'AMERICA:

Molti economisti e storici indicano come fattore determinante del rallentamento dell'economia nel

suo complesso un calo del tasso di crescita della produttività, che aveva cominciato a rallentare

in modo significativo già prima della crisi del petrolio. Gli specialisti di rilievo nell'analisi della

crescita economica a lungo termine, David e Abramovitz, hanno proposto un'ipotesi, la più

suggestiva, per interpretare la caduta del ritmo di incremento della produttività. Le grandi

innovazioni di portata generale (elettricità, motore a scoppio o informatizzazione) richiedono un

periodo relativamente lungo di utilizzo prima che siano visibili i loro contributi al miglioramento

della produttività.

Le ragioni sono molteplici:

– incertezza degli stessi innovatori per il carattere radicalmente diverso dei nuovi processi;

– elevato rischio di fallimento che qualsiasi applicazione comporta;

– scarsa flessibilità delle autorità o degli investitori esterni di fronte alle novità.

In questa situazione (dilemma della produttività perduta) l'apparente discrepanza tra il ritmo e la

portata delle innovazioni tecnologiche che constatiamo ogni giorno e il mantenimento di un

dinamismo della produttività globale minore id prima, si spiegherebbe con il ritardo dovuto al

cambio di paradigma tecnologico.

Nel decennio 1995-2004 gli Stati Uniti hanno recuperato il tasso di crescita della produttività

grazie alle tecnologie di informazione, la cui rapida adozione comporta un aumento della

produttività del lavoro ma anche del capitale, più macchine e migliori macchine. Questo recupero

non ha significato un autentico processo di rinnovamento dei meccanismi di crescita ma diversi

fattori contribuiranno alla caduta in una crisi finanziaria nel 2007:

– politica monetaria estremamente permissiva che ha finito per provocare il sovraindebitamento di

imprese e famiglie, con speciali ripercussioni sul mercato della casa;

– la deregolamentazione del settore finanziario (eliminazione dei limiti che lo Stato imponeva

all'operatività delle banche) ha permesso che gli effetti dell'eccesso di credito si siano moltiplicati

con l'introduzione di strumenti finanziari estremamente opachi.

Questi squilibri sono esplosi a partire dal 2007 con l'entrata in crisi di alcune delle grandi banche.

• EUROPA OCCIDENTALE:

Rallentamento particolarmente sensibile in Europa occidentale, dove al calo totale della

produttività si aggiunse l'esaurimento dei meccanismi di convergenza tecnologica che avevano

reso possibili gli elevati tassi di crescita economica degli anni precedenti.

L'evoluzione dell'economia europea a partire da quei momenti è stata caratterizzata da due processi

paralleli e intrecciati:

– necessità di adattarsi alla nuova situazione di rigidità e deficit di bilancio, insieme alla

globalizzazione;

– avanzamenti nel processo di integrazione economica fra i paesi del continente.

Nel 1973 la CEE contava solo sei paesi che avevano sottoscritto il trattato di Roma nel 1957, ma

nello stesso anno si aggiunsero Regno Unito, Danimarca e Irlanda (estensione geografica), che

contribuirono ad un aumento di popolazione e PIL che hanno convertito l'Europa in un in

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Publisher
A.A. 2015-2016
78 pagine
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SSD Scienze economiche e statistiche SECS-P/12 Storia economica

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher yaya94ila di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia economica e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università Cattolica del "Sacro Cuore" o del prof Besana Claudio.