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CEE.
Ci furono due importanti riforme che cambiarono radicalmente la PAC, la riforma Macsharry, e la
riforma Fischeler. Con queste due riforme si abbandonò quasi completamente la PAC e si
abbondonò l’approccio di sostenere i prezzi di mercato a favore di sostegni diretti ai redditi degli
agricoltori.
Nel 1974 al fine di affrontare la crisi petrolifera e l’abbandono dei cambi fissi venne creato il fondo
europeo per lo sviluppo regionale (Fesr), che aveva l’obiettivo, di aiutare le regioni meno sviluppate
e le regioni in difficoltà finanziaria. Ci furono anche successive riforme sempre orientate ad aiutare
le aree e le regioni meno sviluppate. E con queste riforme i fondi non venivano più allocati su base
nazionale, ma su base regionale.
Nel 1989 venne varata la Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori.
Il sistema monetario europeo:
Nel 1972, in seguito alla decisione degli USA, di sospendere la convertibilità del dollaro, venne varato
il cosiddetto Serpente monetario, un sistema che manteneva i tassi di cambio strettamente collegati
tra i vari paesi. Ma il serpente monetario durò ben poco, nonostante ciò, fu alla base della creazione
di una politica monetaria comune.
Nel 1978 venne creato lo SME, sistema monetario europeo. Questo sistema si basava sulla fissazione
della parità di ciascuna moneta con una moneta di riferimento l’ECU, che faceva da paniere, l’ECU
si determinava attraverso la media ponderata del valore delle monete degli stati che componevano
l’ECU.
Nel complesso lo SME riuscì a ad aumentare la stabilità monetaria dei vari paesi e ridusse
l’inflazione. Negli anni 90 però ci fu una forte speculazione che portò all’uscita della lira e della
sterlina dallo SME. Oltre alla già citata politica agricola, ci furono importanti politiche industriali che
sostennero l’economia dei vari paesi, oltre all’obiettivo del mercato unico europeo, in cui risulta
fondamentale una armonizzazione della legislazione europea.
Il trattato di Maastricht e la nascita dell’euro:
Nel 1992 venne firmato il trattato di Maastricht, il quale istituiva l’Unione Europea e l’unione
monetaria europea. Inoltre, venne istituita la cittadinanza dell’Unione Europea, per cui è cittadino
europeo chiunque abbia la cittadinanza di uno degli stati membri UE.
Verrà poi creata la BCE, banca centrale europea, e di conseguenza l’euro, per entrare vennero
stabiliti i criteri di convergenza delle economie, e l’euro entrerà effettivamente in vigore il 1° gennaio
del 2002.
Un'altra importante riforma fu quella relativa all’unione bancaria degli stati UE. L’euro dovette
affrontare diverse crisi, tra cui quella relativa alla crisi del 2008, e poi una successiva relativa alla
crisi della Grecia. L’ITALIA
All’inizio del Seicento l’Italia centro-settentrionale, nelle sue varie articolazioni
politiche, deteneva ancora un primato nella vita economica dell’Europa. Anche se l’agricoltura
restava l’attività fondamentale, i sistemi economici locali dell’Italia centro -settentrionale erano
caratterizzati da una forte vivacità delle attività manifatturiere e commerciali.
Soprattutto erano numerose le botteghe artigiane di tessitori di panni di lana e di prodotti in seta.
Le maggiori città (Genova, Milano, Firenze e Venezia) ospitavano inoltre significative attività di
interscambio commerciale, anche su vasto raggio, e case bancarie private dedite al commercio del
denaro, L’assetto economico-sociale del Centro-Nord dell’Italia non era certo privo di elementi di
debolezza all’inizio del XVII secolo.
Area ad economia matura, da secoli in posizione guida nel vecchio continente, questa parte
dell’Italia, era dotata di sistemi agricoli che a fatica producevano quanto era necessario per
garantire il sostentamento della popolazione.
La tenuta dell’economia locale si legava così alla vivacità delle attività commerciali e
manifatturiere. Gli anni successivi al 1620 furono indubbiamente caratterizzati da una crisi
generalizzata della vita economica della penisola italiana. Da centro dell a vita economica
continentale, queste regioni divennero aree marginali ed i loro sistemi economici si
caratterizzarono per un nuovo assetto, che è stato definito come equilibrio agricolo-commerciale.
Nel 1815 in tutte le regioni della penisola italiana l’attività prevalente era quella
agricola. In tale contesto il ceto dominante, a livello economico, era formato dai proprietari terrieri
e dai grandi commercianti di derrate agricole e di semilavorati. La prevalenza del settore primario
era accompagnata da un’estrema varietà delle
forme di gestione delle attività agricole e delle modalità di regolazione dei rapporti
contrattuali tra proprietari dei terreni e contadini.
Caratteristica comune di tutte le realtà della penisola, era la netta prevalenza della grande e della
grandissima proprietà. I detentori delle maggiori fortune agrarie erano, quasi sempre, dei semplici
percettori di rendita, preoccupati di salvaguardare il valore dei loro fondi, ma non sempre
disponibili al miglioramento degli stessi attraverso opere di bonifica e di miglioria.
Quasi in ogni contesto era così prevalente la piccola conduzione, con le singole unità poderali
affidate al lavoro di una famiglia contadina, che coltivava i terreni, ricavando quanto era
necessario per vivere e per pagare un affitto, quasi sempre assai on eroso, ai proprietari. Debole
restava il tessuto manifatturiero. Fabbriche vere e proprie erano presenti solo in alcuni contesti, si
trattava per lo più di esperienze pionieristiche, spesso legate alla presenza di imprenditori o di
tecnici stranieri, svizzeri soprattutto.
Le attività commerciali più significative non erano rappresentate, salvo eccezioni, da interscambi
tra le diverse aree regionali della penisola, ma da transazioni di beni tra i diversi contesti locali e le
nazioni straniere. Dall’Italia partivano derrate alimentari (vino, olio, bestiame, formaggio grana),
semilavorati (sete grezze e filate) e materie prime (marmi, minerali); mentre dall’estero arrivavano
semilavorati (ferro), materie prime (carbone) e prodotti finiti (essenzialmente filati e tessuti). È
evidente come il sistema di fabbrica restasse un’eccezione nella penisola.
L’agricoltura rimase il settore portante della vita economica in ogni regione della penisola, senza
che il comparto fosse interessato da trasformazioni significative degli assetti agricoli ed agrari
vigenti. Nei diversi contesti locali non mancarono operatori che cercarono di diffondere pratiche
colturali più avanzate e forme più moderne di regolazione dei rapporti tra proprietà e conduzione.
Le proposte degli innovatori si scontrarono tuttavia con le resistenze del mondo contadino, povero
di risorse economiche e culturali, profondamente legato alle pratiche della tradizione, e con la
diffidenza dei possidenti, timorosi delle novità, specie di quelle che avrebbero dovuto interessare i
contratti agrari.
Con il 1859 ebbe inizio un’avventura diplomatica e militare che portò il piccolo Regno di Sardegna
ad unificare sotto la sua bandiera e la sua corona quasi tutta la penisola italiana. Nata dal genio
politico-diplomatico del Conte di Cavour, l’unificazione nazionale, esito solo in parte previsto di
un’azione preparata negli anni Cinquanta, fu possibile solo per l’aperto sostegno della Francia
prima e dell’Inghilterra poi. Nel ventennio postunitario l’agricoltura rimase il settore portante della
vita economica.
Certo il processo di industrializzazione stava ancora muovendo i primi passi, ma in alcuni contesti
regionali, Lombardia, Piemonte, Liguria e parte del Veneto, si coglievano i primi cenni di un
cambiamento di struttura. La vita economica della penisola, dopo la nascita del nuovo Regno, fu
necessariamente influenzata dal concreto operare di un nuovo attore istituzionale. In campo
commerciale, con l’unificazione nazionale venne adottata una politica doganale liberoscambista.
Nella mente dei governanti, e nella realtà del tempo, l’Italia era un paese agricolo che continuava
ad avere la necessità di esportare derrate alimentari e semilavorati e che, per raggiungere tali
obiettivi, doveva aprire i suoi mercati ai prodotti industriali dei paesi già industrializzati.
Il calcolo non era certo privo di una sua razionalità, ma il prezzo da pagare era un ulteriore rinvio
del processo di mutamento strutturale del sistema economico in senso industriale.
Negli anni Sessanta e Settanta, i governi della destra storica si impegnarono in un’intensa attività
di modernizzazione delle infrastrutture e del sistema dei trasporti. Somme ingenti vennero spese
per potenziare le reti stradali e per ampliare la capacità di carico dei maggiori porti della penisola.
Fu soprattutto la ferrovia ad assorbire ingenti risorse pubbliche. La ferroviarizzazione del paese
precedette l’industrializzazione della penisola.
Per quanto riguarda la politica monetaria va ricordata la mancata creazione di un unico istituto di
emissione della carta moneta operante in stretto rapporto con il Tesoro. Le leggi del 1862 e del
1874 sancirono la pluralità degli istituti di emissione (sei dopo il 1874) e non dotarono il governo di
adeguati strumenti di controllo della circolazione. Le conseguenze negative di una legislazione
inadeguata si sarebbero manifestate in modo drammatico nei primi anni Novanta, in una fase
caratterizzata da una grave crisi finanziaria e da un serie di scandali politici. In quel drammatico
frangente, peraltro, venne varata una nuova normativa, con la conseguente nascita della Banca
d’Italia.
Negli ultimi anni del 1800 ci fu una crescita delle produzioni industriali, in generale e in una misura
quale non si era mai realizzata prima. Fu una crescita che – va sottolineato – si verificò sia in
comparti che si considerano tradizionali per l'economia della penisola (tessile, con sviluppi
soprattutto nel cotoniero) sia in comparti che precedentemente avevano avuto un andamento
molto modesto, quasi irrilevante nel complesso delle attività secondarie (estrattivo, siderurgico,
meccanico, in parte chimico).
Questo importante sviluppo del settore secondario portò alla necessità di importate materie
prime, di cui l’Italia non ne era in possesso. La fine del 1800 si chiuse con una pesante crisi agricola
e gli operatori economici iniziarono a prendere atto del rapido venir meno delle condizioni sulle
quali si era retto fino alla fine del decennio '70 l'equilibrio agricolo -commerciale.
L’equilibrio agricolo-commerciale, che si era costruito nell'arco di circa due secoli (e che si
esprimeva nella convenienza ad assegnare all