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Le sue creazioni molto appariscenti, oltre ai molti elogi, si sono guadagnati anche molte critiche. Egli amava
farsi fotografare insieme ad uno stuolo di mannequin, alla maniera di Dior.
madre di Laura, per l’esportazione di una linea di
Nel 1957, il sarto firmò un accordo con Delia Biagiotti,
Lavorò anche per l’imperatrice Soraya, per cui nel 1953 realizzò
moda pronta firmata da lui: Miss Schuberth.
una collezione di 30 abiti dal titolo Rosa Imperiale. Alla sua morte nel 1972, le figlie di Schuberth donarono
l’intero archivio paterno all’Università di Parma.
Roberto Capucci: lo scultore della seta
Al pari di Balenciaga, Roberto Capucci appartiene a quella categoria artistica dei grandi sarti architetti, di cui
senz’altro uno dei maggiori rappresentanti.
può essere considerato
Egli nacque a Roma in famiglia borghese e dopo gli studi artistici, aprì il suo primo atelier a vent’anni. Il suo
debutto internazionale avvenne nel 1951, quando anche se non ufficialmente vista la sua giovane età,
partecipò alla sfilata fiorentina organizzata da Giorgini e in seguito partecipò anche ad altre sue sfilate.
L’interesse per a sperimentazione, le geometrie e i volumi architettonici, fili conduttori del suo stile, emerge
fin dalle sue prime creazioni, come dal celebre abito Nove Gonne (1956), ispirato ai cerchi concentrici
prodotti da un sasso lanciato in acqua. Nel 1958, Capucci lanciò la sua prima linea “a scatola”, basata sui
volumi scultorei e astratti, che gli valse l’Oscar della moda istituito dal department store Filene’s di Boston.
Si trattava di una sorta di antitesi al new look di Dior, che esaltava una silhouette femminile strizzata e retrò.
Nei primi anni ’60, l’attività del sarto si è molto concentrata sulla sperimentazione con le fibre sintetiche e
high tech. Da questa ricerca, tra il 1965 e il 1966, nacquero gli abiti ricamati con elementi ricavati da rosari
fosforescenti e quelli avveniristici, interamente rivestiti di plastica trasparente, ornati di plexiglass. Nel 1968,
chiuso l’atelier parigino, Capucci continuò la sperimentazione con materiali inconsueti come la
dopo aver
paglia, la corda, la rafia e i sassi. La necessità di una maggiore autonomia e il gusto per la ricerca lo
sollecitarono a prendere le distanze dalle strutture istituzionali della moda. Da allora, dopo aver
deliberatamente scelto di non presentare regolarmente le sue collezioni, si dedicò a tempo pieno alla ricerca
artistica, organizzando sfilate, secondo i suoi ritmi, in diverse città del mondo.
Dagli anni ’80, le sue creazioni sempre più scultoree e sperimentali, con forme inusuali fatte di
sovrapposizioni, di petali, ventagli, di trionfi barocchi, sembrano prescindere dal tempo e dalle mode, pur
essendo molto moderne.
soprannominate “le capuccine”, si ricordano attrici come Marylin Monroe ma anche donne
Tra le sue clienti,
di scienza come Rita Levi Montalcini.
Nel 1995, in occasione del centenario della Biennale di Venezia, Capucci è stato uno dei primi 20 artisti
invitati nella sezione italiana, a cui ha partecipato con 12 abiti scultura, appositamente creati ispirati ai
minerali. –
CAPITOLO 7 Le signore dello stile italiano
Uno dei prodotti italiani più richiesti è lo “snob appeal”. A contribuire a questa nuova popolarità per le cose
italiane sono la moda elegante, e l’arredamento che dichiarano lo status in maniera silenziosa, ma effettiva.
Una peculiarità della moda romana nell’immediato secondo dopoguerra è data dallo stretto legame che venne
a costituirsi tra moda e nobiltà. Nell’Italia risorta dalle macerie, decisero infatti di dedicarsi alla moda molte
nobildonne. Tutto ciò fu molto enfatizzato dalla stampa dell’epoca, che aveva come giornalista di punta Irene
Brin, maestra di un giornalismo frivolo e colto e che, con il suo stile preciso, asciutto e spiritoso ha segnato
la cronaca di moda e di costume dagli anni Trenta agli anni Sessanta e ha inventato un nuovo tipo di
giornalismo che avrebbe avuto ammiratori e seguaci.
Gabriella di Robilant ha tra le nobildonne della moda italiana un ruolo di pioniera, fondando nel 1932 la
Fin dai primi anni ‘3° inizia a dedicarsi alla moda, facendo realizzare da sartine
griffe Gabriellasport.
veneziane abiti semplici, pratici e sportivi che traevano ispirazione dalle lezioni di Chanel e Patou. Si trattava
di un genere di moda molto distante dagli abiti haute couture proposti dalle sartorie tradizionali. Nel 1931,
venne invitata a Milano a presentare i suoi modelli ed ebbe grande successo, tanto che decise di stabilirsi nel
capoluogo lombardo, fondando l’atelier Gabirellasport. Grande successo lo ebbe anche negli Stati Uniti,
dove andò a presentare i suoi modelli. Quando Gabriella si trasferì a Roma, rilevò la sede romana della
celebre sartoria Ventura, fornitrice ufficiale di Casa Savoia, dove lavorava anche Madame Anna che
L’attività di Gabriella di Robilant continuò
continuò ad esercitare il suo mestiere nella nuova casa di moda.
per tutta la durata della guerra anche quando Madame Anna sospese il suo lavoro perseguitata dalle leggi
raziali. Dopo il conflitto l’atelier conobbe uno dei suoi momenti più felici. Quando a causa delle sue seconde
nozze si trasferì a Palermo, le sorti dell’atelier rimasero quasi esclusivamente nelle mani di Madame Anna,
che pur essendo abilissima nell’esercitare il suo mestiere, non prestava alcuna attenzione alle spese. Sull’orlo
del fallimento, Gabriella la licenziò e tentò di continuare a dirigere da sola l’atelier, ma infine, stanca di fare
la spola tra Roma e la Sicilia, chiuse la sua casa di moda.
Simonetta: “The Glamorous Countness”
Al termine del secondo conflitto mondiale, tra le nobildonne romane che scelsero di dedicarsi alla moda si
ricorda Simonetta dei duchi Colonna di Cesarò. Romana, nacque nel 1922 e fin dai primi esordi, le sue
creazioni riscossero molto successo, grazie a un piglio elegante e sportivo.
Nel 1948 indossò i suoi modelli per una speciale edizione di “Vogue” dedicata alle ragazze di Roma, che
riscosse grandissimo successo anche fra le donne americane in visita nella capitale. Anche per questa
ragione, in seguito iniziò ad intraprendere numerosi viaggi promozionali negli Stati Uniti in quanto i
department store americani di New York e di Chicago iniziarono a sommergerla di ordinazioni.
I giornali americani la consideravano la rappresentante più giovane e vitale della moda italiana del presente e
del futuro e i suoi abiti che furono tra i protagonisti della prima sfilata collettiva di moda italiana organizzata
da Giorgini a Firenze, divennero ambiti dal jet set internazionale.
Le collezioni di Simonetta, famose per le linee raffinate ed essenziali, venivano spesso esaltate dai singoli
dettagli come un tipo particolare di scollatura o un nodo ricorrente. Ciò nonostante in Simonetta è sempre
rimasto molto saldo il legame con la moda francese.
Nel 1957, Simonetta lanciò una linea di moda pronta e in quello stesso anno il New York Dress Institute la
inserì nella classifica delle dieci donne più eleganti al mondo, facendola così entrare a far parte della Hall of
Fame della moda.
Si seguito si trasferì con il marito a Parigi, dove aprì un atelier che dopo l’iniziale successo, non riuscì però a
decollare. Fino al 1973, anno del divorzio con il marito, Simonetta rimase nella capitale francese. dopo di ce,
anni ’80 si dedicò per lo più alla vita spirituale in India. Nel 2008, dopo aver
si ritirò dalla moda e negli
pubblicato la sua autobiografia, è stata celebrata dalla mostra Simonetta.
L’atelier Carosa venne aperto a Roma nel 1947 dalla principessa
Giovanna Caracciolo. Giovanna
Caracciolo Ginetti di Avellino e dalla contessa Barbara Rota. La seconda si ritirò dopo non molto, mentre
la prima continuò l’attività fino ai primi anni ’70. Nonostante i suoi modelli siano stati influenzati da un certo
propria formazione cultural legata da secoli alla moda d’Oltralpe, più
gusto sartoriale francese, dovuto alla
che da un vero e proprio stile, Carosa è stata negli anni ’50 una delle sartorie che ha maggiormente
contribuito alla formazione internazionale della moda italiana.
Carosa partecipò alla prima sfilata collettiva di moda italiana organizzata da Giorgini a Firenze e da allora
Giovanna Caracciolo iniziò a presentare le sue collezioni anche all’estero, grazie ad un’iniziativa dello stesso
Giorgini che la fece partecipare a diverse trasmissioni televisive per pubblicizzare la moda italiana, il cui
successo fu straordinario. Grazie al suo innato buon gusto e ad uno stile sobrio ed essenziale, tra gli anni ’50
e ’60, Giovanna Caracciolo fu a capo di una delle sartorie più frequentate dell’alta società. Quando, dopo il
1968, il destino dell’alta moda venne sempre più compromesso dall’ascesa del prêt-à-porter, Giovanna
Caracciolo si ritirò progressivamente dalla sua attività, finchè nel 1974 chiuse il suo atelier.
Un’altra grande
Irene Galitzine. rappresentante della moda blastonata è la principessa russa Irene Galitzine,
nata nel 1916 in Georgia e morta nel 2006. Dopo un periodi di apprendistato presso le Sorelle Fontana in
qualità di ufficio stampa, Irene aprì una sartoria dove faceva riprodurre modelli francesi. Il grande salto
presentò la sua prima collezione “italiana” sulla passerella della
avvenne quando, su consiglio del marito,
Nel 1959 ricevetta il Filene’s Talent Award, uno dei più importanti
Sala Bianca di Palazzo Pitti a Firenze.
della stampa americana come miglior creatrice dell’anno. Ma il vero successo arrivò nel
riconoscimenti
1960, quando lanciò un completo costituito da pantaloni e da casacche, con collo e polsi ricamati, in
allora fashion editor di “Harper’s Bazar”, rimase
shantung di seta dai colori sgargianti. Diana Vreeland,
entusiasta della nuova creazione, tant’è che la fece immortalare nei saloni di palazzo Doria in Piazza Navona
a Roma e poco dopo la pubblicò sul suo giornale, battezzandolo “pyjama palazzo”. La duttilità, la comodità e
la fluidità di questo nuovo indumento, conquistò anche regine e come Jacqueline Kennedy, e stelle del
facendolo trasformare nell’irrinunciabile divisa del jet set degli anni ’60. Da allora
cinema, come Liz Taylor,
la sua carriera scandita da un susseguirsi di importanti premi internazionali e nel 1966, il Fashion Group of
New York incluse il suo nome nella Hall of Fame. Nel 2012 il marchio continua a fare capo