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BEATA BEATRIX

Questo episodio ha come teatro la corte di Este e come protagonista una fanciulla bella e nobile il

sommo grado, Beatrice d'Este. Costei fu cantata nella lingua provenzale dei primi trovatori di cui

abbiamo notizia nel Veneto. Poi nel più bello dell'età si rifugiò nel 1220 in un monastero femminile

contro la volontà del fratello e morì nel 1226. La matrona viene celebrata per le sue virtù anche

mondane, nobiltà, generosità, facilità di eloquio; somma bellezza congiunta a castità e modestia,

sapienza congiunta a pudor mentis ma tutte queste virtù cedono di fronte all'ultima: l'umiltà che

trasforma l'altezza mondana in profondità cristiana, capovolgendo tutti i valori. Nell’epitaffio a lei

dedicato, i distici appaiono raggruppati secondo il senso e la sintassi di un preambolo funebre

contenente le indicazioni del nome, della vocazione religiosa, della paternità e della maternità. Il

padre fu Azzo VI d’Este e la madre Sofia di Savoia morta molti anni prima, nel 120. E’ ricordata

forse non a caso come figlia di un conte di Savoia. A cantare di Beatrice è anche il maggiore di

quei trovatori che frequentarono i castelli d’Este e di Calaone, il tolosano Aimeric de Peguilhan. Di

Beatrice si potrebbe dire ciò che è presente nello schema agiografico nel primo testo religioso

volgare, la sequenza di sant'Eulalia: Bello il corpo, più bella l'anima. Vi è un contrasto di testimoni

di segno posto in quanto la tematica erotica e quella religiosa sono evidentemente opposte. La

seconda fonte nella vicenda spirituale di Beatrice d'Este è l'antica vita composta da un testimone

contemporaneo, Alberto priore di Santo spirito di Verona. Sono riferiti con chiarezza fatti e nomi di

personaggi. Lo schema biografico accentua naturalmente il contrasto fra la vita mondana e quella

ascetica, ma senza che si possa parlare di conversione, perché Beatrice è memore della pietà e

della carità della madre Sofia di Savoia, morta nel 1202 quando lei era bambina, sembra per il pio

biografo attraversare la vita di corte.

Queste sono alcune immagini biografiche composte verosimilmente subito dopo la morte, e già

nella vita compare il nome predestinato beata beatrix. Dovete svilupparsi subito un culto locale

intorno alla figura di Beatrice, nel monastero di Gemmola, ma il culto fu approvato ufficialmente

solo nel 1763 da Papa Clemente XIII.

Beatrice è un nome diffusissimo nella storia dell’onomastica femminile del ‘200, è un nome

augurativo di tradizione storica imperiale che in principio è patrimonio dell’aristocrazia, ma diviene

presto anche di dominio borghese.

Nei primi del 200 i colli euganei sono stati teatro di due Esperienze simultanee di cultura, una

mondana e letteraria, l'arrivo della poesia cortese occitanica nella corte Estense, l'altra religiosa e

monastica che vede risorgere vecchie comunità, altre nascere spontaneamente, in anni di decisivo

rinnovamento economico e politico, culturale e religioso: fra due false crociate con falsi scopi

religiosi, la quarta crociata e la crociata degli albigesi, nelle quali il politico e l'economico

schiacciano spietatamente il religioso. Vi è l'affermarsi di una nuova religiosità con la prodigiosa

diffusione degli ordini mendicanti e della predicazione itinerante. Quello che succede nel

microcosmo di Padova è in perfetta sintonia con quello che accade altrove, sul piano della cultura

laica come su quello della cultura religiosa. Più tardi, anche come riflesso dell'esperienza della

quarta crociata della simbiosi Franco veneziana da oriente, il francese si affermerà nella cultura

cittadina dapprima come lingua di narrazione storica e romanzesca in prosa, poi fra il ‘200 e il ‘300

come lingua epica. Certo è che il primo centro di attrazione e di raccolta nel Veneto per trovatori e

giullari vaganti d'oltralpe fu la corte Estense, dove vennero Aimeric de Peguilhan, Peire Raimon,

Guilhem de la Tora cui si unisce presto anche la voce di un trovatore italiano.

Fra questi poeti le due personalità di spicco anche nei riguardi della lode e dell'idealizzazione

poetica di Beatrice d'Este, sono Aimeric e il magistrato bolognese Lambertino Buvalelli, di

quest’ultimo abbiamo un piccolo e compatto canzoniere che sembra tutto tributario di Beatrice che

è qui l’ oggetto di un amore devoto che sembra autosufficiente, persuaso del perfezionamento

interiore che ne deriva.

Aimeric è un professionista e cortigiano, finissimo anche nella vena politico diplomatica.

Lambertino è un alto funzionario comunale dilettante di poesia, un neofita, ed è una condizione

sociale nuova del trobar, tipicamente italiana, simile a quella di molti siciliani, poi toscani e

bolognesi che si risolse in lui nell'adesione candida al clima più rarefatto della tradizione cortese, ai

temi rudelliani della lode e dell'amore lontano e disinteressato.

Di Aimeric vi sono due planhs per la morte del marchese Azzo, accoppiato nella celebrazione nel

compianto con il conte veronese Bonifacio di San Bonifacio, essems (insieme, parola che ritorna

sul finire nelle stanze del componimento) sempre in morte come in vita.

Soprattutto il secondo testo è notevole per la finezza politica e per il ritratto morale del marchese

senza la cui liberalità i trovatori e giullari della sua corte, che dovevano essere molti sono ridotti

alla disperazione, sicché Aimeric ironicamente lancia la proposta di un suicidio collettivo di tipo

orientale. L'elogio delle virtù del marchese si presenta il quadro delle virtù cortesi, l'unione della

misura, il valore, la cortesia. (sen, largueza)

Un importante compianto per la morte del marchese Azzo VI c'è fornito da Boncompagno da

Signa. Si tratta di un modello epistolare comprendente missiva e responsiva, qui è Beatrice stessa

che scrive al Papa Innocenzo terzo piangendo sconsolatamente la morte del padre. La lettera

Porta Nuova luce sull'immagine biografica di lei e sulla vocazione religiosa, la cui prima

manifestazione viene anticipata alla crisi provocata dalla morte del padre. La lettera si apre

retoricamente con una interpretatio del nome Beatrix il cui significato è reso vano della realtà

presente, ma esprime poi in forma diretta e in un piano latino le voci del turbamento e anche del

sospetto, nell'evidente isolamento in cui si trova, per il comportamento dei milites (I cavalieri della

corte, fra i quali sarà compreso anche il fratellastro Aldobrandino) che le tenevano nascosta la

tomba del padre. Sicché ormai Beatrice brama la Gerusalemme celeste, e nella seconda parte

della lettera manifesta otto anni prima dell'effettiva risoluzione, vi sono fermi propositi di rinuncia al

mondo e alle nozze regali cui il padre la destinava. Ha bisogno per decidere del conforto e del

patrocinio del Papa, che solo può aiutarla, mentre lamenta di non essere stata neppure nominata

nella lettera di condoglianze che gli aveva inviato al Fratello. Il Papa risponde con parole

consolatorie, riprendendo uno a uno a tutti i diversi punti della lettera di Beatrice, spiegando la

sottrazione della vista del sepolcro paterno come un proposito della corte di non aumentare il

dolore filiale, assicurando che il padre è stato accolto nella gloria del Paradiso e consigliando infine

di non precipitare l'attuazione di un proposito concepito con l'animo sconvolto dal dolore. La

vocazione andava confermata, come poi fu, con una riflessione lungamente e serenamente

maturata. Si pone subito la domanda se questa corrispondenza sia un'invenzione o se possa

riporti invece su originali documenti trascritti e raccolti direttamente o indirettamente. Si deve

rilevare che la lettera di Beatrice è collocata da Boncompagno all'inizio di una sequenza di modelli

epistolari che hanno come protagoniste, mittenti o destinatarie, figure femminili contemporanee

famose ed esemplari.

Per quanto riguarda gli omaggi poetici rivolti assiduamente da Aimeric a Beatrice d'Este, pur nella

variata ripetitività, hanno in complesso qualcosa di assai diverso dal compimento galante e

dall'omaggio dovuto a una castellana, che non è più generalmente oggetto di reale desiderio e di

amore ma semmai solo di discreto e garbato corteggiamento. Per quanto riguarda la lode scritta

dal Buvalelli la donna amata è collocata su un piedistallo lontano e inaccessibile, non ricambia

l'amore, anzi sembra ignorarlo e come concezione massima pare aver accettato l’adoratore quale

suo cavaliere.

SANT’ANTONIO E SAN FRANCESCO

I sermones di Antonio sono presumibilmente composti negli anni immediatamente successivi alla

morte di Francesco e non si incontra nei sermoni nessuna menzione né di Francesco né degli

ordini mendicanti. Il linguaggio di Antonio è ricco, vario, musicale.

Nella concezione del sapere e della parola che lo comunica agli altri attraverso la predicazione,

Francesco ha portato una semplificazione rivoluzionaria e salva l'essenziale. La parola è

testimonianza della vita, ed è la stessa per tutti, è utile ed umile, preziosa e casta come l'acqua.

Non c'è differenza di stile né in rapporto alla materia né in rapporto ai destinatari. Lo stile umile è

anche grande e sublime. Le creature, non le parole umane, portano significazione dell'altissimo e

le parole valgono solo in quanto aderiscono alle creature. Tommaso da Spalato Che lo senti

parlare a Bologna nel 1222, fu colpito dal fatto che non parlasse come uno che predica ma come

uno che parla con la gente di argomenti di attualità, per indurla al perdono e alla pace, è una

testimonianza meravigliata e ci fa comprendere come questo sia qualcosa di assolutamente

nuovo. Parlava per immagini e riferimenti noti a tutti, servendosi anche di temi della cultura laica,

delle canzoni di gesta e dei romanzi cortesi, Rolando e Olivieri, Artù e la tavola rotonda, temi di cui

invece non c'è traccia nei sermoni di Antonio.

In Francesco le creature non sono figure di Dio, significano direttamente Dio, perché il verbo

incarnato ha sperimentato anche quelle, le ha riportate nella luce, ne ha fatte creature. La parola

umana significa soltanto secondariamente e ambiguamente le creature, è quello che noi diremmo

una sovrastruttura. la significazione della realtà è una sola, non è plurima.

Il linguaggio umano deve perciò ricercare la precisione, la castità e la brevità di quello divino,

adeguarsi a quello di Dio e delle creature. Francesco aveva respinto la parola come ornamento,

aveva affermato la parola semplice casta.

Rileggendo il prologo dei sermoni di Antonio, egli parla delle concessioni che ha dovuto fare la

moda de

Dettagli
Publisher
A.A. 2015-2016
33 pagine
SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-FIL-LET/12 Linguistica italiana

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Manu8881 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia della lingua italiana e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Udine o del prof Formentin Vittorio.