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Ciari replica che il termine “contenuto” è stantio, fa subito pensare alla mente umana come
contenitore e ci porta ad una filosofia in cui il pensiero era concepito come un passivo
rispecchiamento di dati. Al contrario, ogni attività conoscitiva implica un “fare”. Il contenuto interiore
di un individuo è il risultato del suo fare pratico e teorico: non si può possedere niente di più di
quanto noi stessi abbiamo prodotto.
Il problema tra contenuti e metodi si ripropone anche oggi con l’approccio alla formazione tramite
competenze. In questo approccio si riconosce che non serve ai ragazzi un sapere non utilizzabile a
livello esistenziale, ma le conoscenze fanno parte di un quadro più ampio che riguarda la
motivazione, le abilità apprese, il modo di affrontare i problemi nella realtà, le strategie messe in
atto per risolverli e lo spirito di ricerca per una crescita continua della propria esperienza.
Capitolo4: La contestazione degli anni Sessanta
Dalla seconda metà degli anni Cinquanta, lo studio dell’ambiente è una delle prime innovazioni del
MCE. Si sente il bisogno di rifiutare l’apprendimento di nozioni episodiche, presentate per materie
precostituite e scollegate dal vissuto del bambino. Nel MCE nasce l’idea dello studio dell’ambiente
che partendo dalla realtà più vicina del bambino si allarga al quartiere, alla città, alla campagna,
come espressione della natura e dei rapporti che con essa l’uomo ha instaurato nel corso dei
secoli, e così via. Il metodo naturalmente è la ricerca sul territorio con sopralluoghi, interviste ed
indagini.
La svolta degli anni Sessanta che influenzò il MCE trae origine dai risultati delle ricerche
psicologiche, pedagogiche e didattiche. Infatti, da parte di alcuni gruppi territoriali era stata avviata
un’indagine che avrebbe portato all’approfondimento epistemologico e al rinnovamento
metodologico delle discipline. Il MCE sarebbe stato in grado di integrare le nuove linee di ricerca
nel disegno unitario della pedagogica popolare o avrebbe rinnovato completamente la sua
impostazione metodologico-didattica? Pettini ed altri, che avevano impresso l’impronta originaria
all’associazione, percepivano che qualcosa si stesse sgretolando e che il Movimento rischiasse di
perdere le proprie peculiarità. La crisi doveva portare ad un momento di crescita dell’associazione
e puntare ad un nuovo equilibrio.
La morte di Freinet portò il MCE a riflettere sul significato delle tecniche. Laporta riconosceva il
valore delle tecniche per dell’organizzazione della classe, per lo sviluppo del senso di
appartenenza, d’iniziativa e di responsabilità di ogni bambino e per lo sviluppo delle capacità di
elaborazione e di realizzazione di un progetto collettivo. Quello che le tecniche non esplicitano è il
discorso epistemologico sulle discipline e sul loro insegnamento. Secondo Laporta, occorreva
costruire nuove tecniche e nuovi materiali più idonei alla formazione culturale dei bambini. Gli
obiettivi della ricerca erano quelli di produrre materiali capaci di dare concretezza ad operazioni
manuali ed intellettuali corrispondenti alle strutture mentali dei bambini e condurre dei concetti
chiave per ciascun ambito disciplinare. La Tornatore sosteneva la ricerca logico-matematica: l’uso
da parte del bambino dei simboli matematici ha implicazioni sull’educazione logica e linguistica. Le
abilità logico-matematiche risultano fondamentali per l’educazione del pensiero. Landi mostra la
possibilità di integrare le nuove proposte didattiche con l’impostazione originaria delle tecniche 8
Freinet, mantenendo però viva la caratteristica di base della didattica della scuola attiva: la
motivazione ad apprendere. Solo l’interesse poteva rendere lo studente artefice consapevole del
proprio sapere. Pettini ribadiva la valenza formativa delle tecniche e sosteneva l’organicità delle
tecniche. Certe tecniche educative introdotte marginalmente dagli insegnanti per migliorare la loro
didattica, sostiene Pettini, sono in realtà una profonda alterazione dei principi dell’attivismo. Una
ricerca di novità fine a se stessa scade nello scolasticismo. Il MCE non propone una serie di
tecniche isolate, ma un complesso metodologico unitario e coerente. Il punto di partenza è
l’esperienza del bambino, che è a fondamento di tutta l’attività ludica. E’ necessario favorire la
libera espressione, che per essere significativa ha bisogno di un contesto sociale a cui comunicare
ciò che si sta esprimendo. Tamagnini sentiva però che la svolta aveva portato il Movimento a
ritornare alla didattica delle materie di triste memoria, che in precedenza e con le tecniche Freinet
si era riuscito a superare e risolvere. L’esigenza di sviluppare l’aspetto cognitivo delle tecniche era
una riposta ai cambiamenti economici e alle spinte sociali e culturali che stavano trasformando il
nostro Paese. Se il proliferare dei gruppi di ricerca sulle discipline all’interno del Movimento creava
da un lato situazioni di scarsa comunicabilità, dall’altro presentava un’occasione di crescita da
cogliere.
Come abbiamo visto, negli anni Sessanta, si operò una svolta nel MCE: all’interno del Movimento
divennero prevalenti delle linee di ricerca e di sperimentazione legate alle discipline, spostando il
focus della tradizione della pedagogia popolare, basata sulle “tecniche di vita” di Freinet, alle
innovazioni provenienti dal mondo anglosassone, come i blocchi logici di Dienes e lo SCIS: i vari
argomenti venivano trattati seguendo la graduale costruzione della trama concettuale,
sperimentando i valori della democrazia attraverso una vivace e critica partecipazione alla vita
intellettuale e sociale della classe e offrendo le prospettive culturali più aggiornate. Pettini, pur
riconoscendo la validità delle nuove ricerche didattiche, richiamò l’attenzione sul valore
pedagogico delle tecniche, evidenziando il rischio di perdere di vista l’unitarietà del processo
educativo. La valenza educativa di un’attività non dipende dall’attività in sé o dal materiale, ma
dalla relazione che si stabilisce tra l’attività e il soggetto che la compie. Alla base dell’agire
educativo ci deve essere la motivazione. Un’attività è motivata quando il suo significato è chiaro
per l’individuo che la compie ed è lontana dall’autoritarismo.
La capacità di ascolto e di mediazione tra differenti posizioni che distingueva Pettini fu messa a
dura prova dalla contestazione del Sessantotto, quando si aprì una frattura tra i fondatori del
Movimento e i giovani militanti. La generazione dei giovani intese politicizzare il Movimento nelle
strutture e negli orientamenti, in modo che lo sconvolse dalle fondamenta. Lo sconvolgimento
interno fu provocato da problemi di metodo perché sorsero aspetti d’intolleranza e di arroganza.
Laporta, la Tornatore, Tamagnini e altri esponenti del MCE che avevano difeso la laicità del
Movimento, si dimisero. Al posto della cooperazione c’erano freddezza, ostilità ed arroganza. Il
dialogo è scomparso, prevalgono gli slogan. Tamagnini prevedeva anche che il MCE accentuasse
il carattere di organizzatore di lotta politica affiancato al Movimento studentesco. La ricerca
pedagogico-didattica passerà sempre più in secondo piano.
Il problema scolastico andava affrontato in tutte le dimensioni, da quella didattica a quella
organizzativa, e collegato alla società nel suo complesso. Il primo passo era quello di prendere
coscienza il ruolo dell’insegnante nella scuola e acquisire un livello più alto di consapevolezza di
essere insegnanti. Riguardo alle direzioni di marcia del Movimento, s’intendeva proseguire
nell’elaborazione di una pedagogia effettivamente democratica cercando di:
- organizzare dei corsi che curino la formazione degli insegnati dal punto di vista tecnico, sociale
e culturale e proseguire nella progettazione di materiali e di strumenti didattici;
- combattere l’isolamento degli insegnanti promuovendo, all’interno delle scuole e delle città,
assemblee che potessero avere un peso decisionale sempre più rilevante sui principali problemi
scolastici: si tratta di creare una cultura politica negli insegnanti per farli diventare protagonisti
del cambiamento;
- affrontare il tema della valutazione, della selezione e dei modelli culturali che l’insegnante è
indotto a trasmettere;
- stabilire alleanze con altre forze che contestano le attuali strutture scolastiche e sociali.
La pedagogia popolare e democratica doveva dare ai ragazzi gli studenti validi per analizzare se
stessi e la realtà naturale e sociali che li circondava e la capacità di opporsi e reagire ai
condizionamenti dell’ambiente. Le tecniche sono valide in base alle finalità che si si pone. Ogni 9
tecnica è da sottoporre ad un esame critico in relazione agli obiettivi a cui dovrebbe tendere. Le
tecniche già sperimentate si ritennero valide. I mass media erano considerati un problema perché
definiti come mezzi di persuasione di massa. Per proteggersi da essi, i ragazzi dovevano
appropriarsi di strumenti di analisi indispensabili ad interpretare criticamente il linguaggio della TV,
dei fumetti, del cinema e dei giornali: nessuna comunicazione è obiettiva, ma è sempre
condizionata dal punto di vista e dalle motivazioni dell’autore. Per quanto riguarda la conoscenza
scientifica, i ragazzi dovevano essere consapevoli che la scienza non è uno strumento privo di
presupposti ideologici, ma s’inserisce sempre in un determinato contesto sociale e politico. Per
perseguire tali finalità occorre superare ogni barriera tra le discipline, è necessario che i curricoli
siano fusi e integrati e che il loro svolgimento sia fuso con le attività dalla vita della classe. I gruppi
di lavoro e gli stage non devono più essere di tipo esclusivamente tecnico e specialistico, ma gli
stessi insegnanti devono acquisire le capacità critiche nei confronti della realtà che li circonda se si
vuole poi svilupparle nei ragazzi.
Furono così stravolti i principi su cui si fondava il Movimento: l’ideologia prese il sopravvento sullo
spirito laico che acceca fino allora ispirato l’elaborazione teorica e pratica dell’associazione.
Secondo Pettini, era necessario definire la fisionomia e la posizione del MCE oggi ed impostare gli
strumenti organizzativi e ideologici per il proprio lavoro. Secondo Pettini, c’erano due scelte: o
proseguire il lavoro didattico d’avanguardia già avviato in alcuni settori, o sviluppare la forte spinta
anti-autoritaria di natura sociale e politica che