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Capitolo4: La grande trasformazione
Il boom economico in Italia (1954-1964) vede un aumento di quasi del 50% del reddito nazionale
netto dal 1954 al 1964, gli occupati in agricoltura scendono da 8 a 5 milioni. Nel settore industriale
gli occupati passano dal 32% al 40% e nei servizi dal 28% al 35%, mentre la produttività delle
industrie aumenta dell'84%. L'Italia supera in produttività Svizzera, Olanda e Belgio e colma in
parte lo storico divario con Inghilterra, Francia e Germania. Si producono enormi quantità di
autoveicoli, motoveicoli, frigoriferi e televisori. Nonostante il miracolo economico, l'emigrazione
all'estero aumenta: all'emigrazione transoceanica si sostituisce quella europea, dove la Germania
diventa la meta principale al posto della Svizzera. È però la migrazione interna quella più
imponente, fatta anzitutto di spostamenti dalle campagne povere dell'Italia settentrionale e centrale
e dal Mezzogiorno. In quegli anni Danilo Dolci intitolava Spreco un volume che proponeva alcune
indagini da lui promosse in Sicilia, sottolineando non solo e non tanto il grandissimo quadro di
miseria che quelle pagine mettevano crudelmente in luce quanto qualcosa di più profondo: su 100
proprietari terrieri su cui incombono pericoli di frane, ben 92 non conoscono le leggi per la bonifica
montana e 20 sono convintissimi che le frane possano essere evitate solo per intercessione divina
o magica. In questo spaventoso contesto gli Enti pubblici operanti al sud, come l'Ente di riforma
agraria e la Cassa per il Mezzogiorno, pur rappresentando teoricamente la presenza dello stato, 5
non riesce ad offrire altro che una gestione clientelare e una diffusa corruttela che hanno effetti
devastanti e a lungo termine.
Nelle campagne, come si è detto, vi sono 3 milioni di occupati in meno tra il 1954 e il 1964,
destinati a diventare 4 se si considera il periodo tra il 1951 e il 1965. Iniziando dalle aree più
povere della collina e della montagna, i flussi coinvolgono rapidamente anche le aree
dell'agricoltura avanzata, segnando la fine dei diversi mondi rurali che compongono il paese. C'è
un mutato rapporto fra intervento statale e produzione agricola. Fra il 1951 e il 1960 gli investimenti
in agricoltura raddoppiano e l'intervento dello stato, diretto o indiretto, riguarda nel 1963 ormai il
73% di essi. Dunque, quasi tutte le decisioni in campo agricolo devono misurarsi con le scelte e gli
orientamenti delle politiche pubbliche, con un’intrusione dello stato nella società rurale. Il
permanere dell’arretratezza si scontra con l’irrompere, da parte dei centri urbani, di nuovi modi di
lavorare e di vivere. Si affermano nuove esigenze e il mondo offre sempre meno possibilità di
sopravvivenza e di speranze di riscatto perché la diversità è connotata da condizioni umilianti e da
un senso di discriminazione civile. E’ diventato ormai frequente trovare poderi vuoti e abbandonati
specialmente nelle zone prive delle più elementari necessità per vivere. Ovunque i più giovani
sono i primi a partire, ma nelle aree mezzadrili più che altrove questo elemento rende rapidissimo il
processo di esodo. Giovani di ambo i sessi si staccano dalla famiglia per dedicarsi ad altre attività
rompendo l’equilibrio e il nucleo familiare. Tramonta un contratto agrario e un sistema di
dipendenze e relazioni sociali che era stato utilizzato per secoli. Anche i tecnici agricoli dovevano
scoprire il nuovo mondo moderno meccanizzato: la crisi dell’agricoltura non è soltanto una crisi di
produzione o di mercato, ma è anche una crisi dell’uomo dei campi. La televisione incide sul
costume paesano più di quanto non abbia fatto in tanti anni il cinema. In serata, le famiglia si
recano al più vicino locale con la televisione, la quale, invece che essere stupida ed addormentare,
sveglia e induce alla voglia del nuovo e del meglio. La televisione offre un legame con l’esistenza e
la vita delle città lontane, desiderabili come un miraggio di felicità. Nel Mezzogiorno, l’acqua
scarseggia e non c’è corrente elettrica. L’illuminazione elettrica non manca negli uffici dell’Ente di
riforma, nelle chiese, nelle scuole e negli ambulatori medici. L’opera di bonifica e di irrigazione è
stata più incisiva della riforma agraria e ha sancito il definitivo decollo dell’agricoltura del
Mezzogiorno.
La mobilità è un fenomeno che porta allo svuotamento in primo luogo delle aree di montagna e di
collina, delle case isolate, delle frazioni e dei nuclei abitativi sparsi. Le migrazioni rurali segnano lo
spostamenti definitivo da aree agricole povere ad altre più ricche ed hanno il provvisorio carattere
di avvicinamento ai centri urbani. Inoltre possono avere come scopo l’acquisto di poderi
abbandonati dai precedenti coloni, il lavoro nella floricoltura e così via. Alcune volte l’emigrazione
trova sbocco nella regione stessa e, nelle aree che non hanno tradizioni migratorie, essa procede
generalmente per tappe: dalle frazioni ai comuni, alle città regionali più importanti e al di fuori della
regione. In questo quadro, gruppi consistenti di immigrati sono portati a trarre anche i possibili
vantaggi dall’illegalità e dalla diffidenza verso le strutture pubbliche. Elemento che sembra sfuggire
alla sensibilità di ministri e prefetti è che i cittadini hanno bisogno in primo luogo di norme di tutela
legislativa e giuridica. Fra le aspirazioni degli immigrati vi era una maggior certezza dei diritti. La
conquista collettiva dei diritti deve procedere all’interno di un processo di integrazione di tradizioni,
culture e aspirazioni differenti. La grande maggioranza degli immigrati provenienti da zone rurali ha
al massimo la licenza elementare, mentre quelli provenienti dai contesti urbani hanno livelli di
scolarità con percentuali alte. La straordinaria mobilità che caratterizza la ricerca di lavoro si
intreccia a quella che segna il tempo libero.
L’Italia industriale aveva il suo centro fra Torino e la Lombardia e l’intera valle padana. La data
d’avvio ai processi che portano al “miracolo” italiano è il 1953, momento in cui nasce l’Eni voluta da
Mattei, la Fiat investe soldi per la costruzione del nuovo stabilimento di Mirafiori e viene approvata
la legge per lo sviluppo del credito industriale dell’Italia meridionale e insulare. I settori trainanti
sono quelli dell’automobile, della chimica, della petrolchimica e della meccanica. Il modello di molte
fabbriche italiane di elettrodomestici si basa su piccole dimensioni delle aziende, flessibilità,
paternalismo e basso costo del lavoro, che si impiantano spesso in zone dove mancano tradizioni
sindacali. La fabbrica contribuisce ad aumentare l’occupazione femminile. Sacerdoti ed esponenti
del mondo cattolico affermano che le donne delle fabbriche sono cambiate moralmente, infiacchite,
antipatiche e meno impegnate nella pratica religiosa. In alcune aree, rapidamente si espande
anche il lavoro a domicilio e delle piccole imprese quasi a riprendere la precedente abitudine delle
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famiglie contadine al lavoro a domicilio. Lo stato dona dei contributi per l’industrializzazione del
Sud, di cui ne usufruiscono soprattutto grandi imprese pubbliche come l’Eni.
Negli anni della trasformazione non c’è tutela del territorio, ma il progresso diventa un disturbatore
degli equilibri e degli assetti ambientali. Si diffondono rapidamente le “coree”, cioè degli
agglomerati disordinati e fitti di abitazioni costruite dall’oggi al domani dagli emigrati stessi. Le
“coree” erano dense, disordinate, malsane e prive di servizi. La vera integrazione dello straniero
nella modernità avviene nel cuore della metropoli. Gli investimenti in abitazioni assorbono quote
progressivamente crescenti in Italia, con quote largamente superiori a quelle registrate in altri
paesi europei.
Negli anni Cinquanta e Sessanta, la maggior parte della spesa delle famiglie riguarda
l’alimentazione, il vestiario e l’abitazione. Riguardo alle percentuali, l’Italia si avvicina a modelli di
consumo già affermati in altri paesi europei, restando però da essi distanti. Aumentano i consumi
dell’automobile e le autovetture per ogni abitante. La motorizzazione vede la comparsa della
Seicento e della Cinquecento. In questi anni si definisce l’universo giovanile che esalta un’energia
vitale data dall’acquisto di automobili e motociclette e dall’esaltazione della velocità. I giovani
sembrano divisi da un lato dai precedenti punti di riferimento e regole sempre meno convincenti ed
accettabili e dall’altro un mondo dove proliferano le figure di riferimento più contraddittorie,
imprevedibili ed arroganti. Oltre a motorette, automobili e musica, un altro versante del boom fu
l’avanzata di tende e roulottes usate dai campeggiatori. La Chiesa sosteneva che le vacanze
rappresentano il vero pericolo per i fedeli, i quali non potevano seguire le cerimonie religiose
perché, appunto, a divertirsi. I giovani erano invitati ad andare a ballare il meno possibile e, se ci si
andava, si doveva prendere tutte le precauzioni: in particolare, le ragazze dovevano essere
accompagnate dal fratello, dalla mamma o da una persona fidata che la aiutasse in caso di
bisogno. Alle vacanze lunghe si intrecciavano le vacanze brevi, favorite dalle prime riduzioni della
settimana lavorativa, nelle banche e in alcune fabbriche. Le persone acquistano sempre più mobili
ed elettrodomestici, in particolare per la cucina.
Molte persone cominciano a frequentare il cinema e più della metà dei giovani va al cinema una
volta alla settimana. L’importanza dei film di qualità sembra quasi accentuata dalla comparsa della
televisione. Quello della televisione è un avvento trionfale: essa sostituisce la radio, mentre si
diffondono radioline portatili. Il mercato discografico si evolve e diffonde canzoni di successo
nell’universo giovanile. Si afferma l’editoria di massa e i giornali contribuiscono a rompere la
rigidità del precedente universo della comunicazione. Il giornale si segnala subito per una forte
attenzione alla società con inchieste e servizi sulla trasformazione del paese. Le ostilità nei
confronti del cinema e della televisione da parte del mondo cattolico si fanno presto sentire. Non
tanto la televisione quanto il cinema fu attaccato e considerato un incentivo alla scostumatezza e
al vizio e un’insidia ai valori religiosi. Le organizzazioni cattoliche si muovono così contro
rappresentazioni teatrali e soprattutto cinematografiche.
Capitolo5: La fine del centrismo e le nuove riforme del protagonismo collettivo
Le trasformazioni degli anni Cinquanta e Sessanta mutavano radicalmente il volto del paese
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