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Capitolo4: Gli anni della transizione
C’era un parallelismo tra l’evoluzione degli eventi politici e gli indirizzi programmatici e di lavoro
dell’Udi e l’esperienza confermava che quelli perseguiti dall’Udi erano sbagliati. Il mutato contesto
generale avrebbe potuto favorire un nuovo percorso. La Fdif era sicuramente l’organizzazione
femminile internazionale più grande sulla scena mondiale dal punto di vista del numero delle
associazioni aderenti e dei paesi rappresentati. Nel terzo congresso della Fdif si trattò di temi della
pace invece che dell’emancipazione femminile. Il peggioramento delle condizioni di vita delle
donne e le discriminazioni di cui erano oggetto erano attribuite alla persistenza di regimi feudali e
alla politica di riarmo e di preparazione alla guerra. L’Udi romana era intervenuta nelle lotte dei
lavoratori e delle lavoratrici, prevalentemente contro i licenziamenti e per l’accorciamento delle
distanze salariali. Venivano poi denunciate le intollerabili condizioni di vita delle lavoratrici ed era
stato costante il riferimento ai diritti costituzionale e viva la polemica con la campagna “reazionaria”
per il ritorno delle donne al focolare. Erano stati riaffermati con la forza il diritto al lavoro e a
un’equa retribuzione. Nell’Udi nazionale, venne riaperto il dibattito sull’emancipazione femminile,
intesa come il rispetto dei diritti per la donna e la sua possibilità di affermarsi in tutti i campi, ma
soprattuto la sua liberazione dal bisogno e dallo sfruttamento e la possibilità di farsi una famiglia, 4
avere una casa “degna”, una lavoro sicuro e l’assistenza per i bambini. Assieme ai temi della
difesa della famiglia e della salvaguardia della pace, le richieste segnavano senza dubbio una
ripresa dello specifico femminile, ma l’emancipazione era essenzialmente ridotta ad un problema
di diritti e di parità. La battaglia sui diritti finiva per restare un’azione di propaganda o di iniziativa
parlamentare. Le preoccupazioni dell’Udi erano soprattutto di carattere finanziario che
consistevano nel farsi pagare tempestivamente le rette e far quadrare le entrate e le uscite. Erano
anche relative alla formazione del personale insegnanti e alla gestione delle colonie. L’Udi
reclamava il prezzo politico dei libri di testo e si pronunciava contro l’aumento delle tasse nella
scuola media e nell’avviamento professionale. Infine sollecitava l’eliminazione dei turni e la
soluzione dei problemi dell’edilizia scolastica. Se i problemi che investivano la vita politica e sociale
non si potevano trascurare o rimuovere, era però necessario valutarli dal punto di vista delle
donne. Il pericolo di guerra, l’attacco alle libertà democratiche e la durezza della situazione
economica venivano perciò additate come ostacoli al movimento di emancipazione femminile.
Capitolo5: La svolta del 1956
Le divergenze e le incomprensioni sulla linea di emancipazione sembravano non avere fine. Era
necessario uscire dalla chiusura tradizionale, far emergere la tematica di emancipazione e, al
tempo stesso, mettere in luce i lineamenti di un programma rivendicativo delle donne per la
campagna elettorale amministrativa. Bisognava “fare la lotta di emancipazione” anziché “dire” di
lottare per l’emancipazione e quindi passare da un’azione di propaganda a un’azione di lotta.
L’emancipazione doveva essere usata come un fine e non come uno strumento, ma come il fine e
la ragion d’essere dell’Uni. L’Uni doveva essere la premessa necessaria a due obiettivi
fondamentali: una grande associazione unitaria di tutte le donne e un’associazione del tutto
autonoma rispetto a ogni subordinazione a qualsivoglia forza politica. L’esistenza di un movimento
di donne stava nell’appartenenza al sesso e non nella collocazione politica o sociale. La storia
politica era lo scenario, ma le donne non erano ancora le protagoniste di questa storia. Si cominciò
a parlare di “questione femminile” intesa nel senso che l’emancipazione femminile doveva essere
considerata come un problema nazionale, cioè trasversale rispetto alle classi sociali, della
questione meridionale e della questione agraria. Si ribadiva però che la soluzione della questione
femminile poteva essere portata a compimento solo dalla lotta liberatrice della classe operaia
perché essa rappresentava in modo unitario la grande maggioranza delle donne italiane. La linea
dell’Ud, anche se accettata a parole ai vertici, non piaceva alla maggioranza dei militanti maschi
nei partiti del movimento operaio. L’Udi si era mossa secondo due direttrici fondamentali: la prima
individuando alcuni obiettivi concreti sui quali concentrare le sue “campagne”, come la parità di
salario, la pensione alle casalinghe, intesa come riconoscimento del valore sociale del lavoro
svolto nell’ambito domestico, il divieto di licenziamento per matrimonio, il riconoscimento del diritto
della parità per le donne contadine e la rivalutazione del loro lavoro e la seconda sentendo
l’esigenza di dare più spessore all’elaborazione teorica dell’emancipazione, anche per fornire un
più solido fondamento all’autonomia dell’associazione. Si era aperto così un periodo di iniziativa
assai intensa. Venne lanciata una petizione nazionale per l’istituzione di una pensione a favore
delle casalinghe e si tenne la prima conferenza nazionale delle donne della campagna. Si
organizzò anche un incontro sul riconoscimento dei diritti delle donne della campagna in cui
parteciparono più di mille contadine e braccianti. Un grande convegno intitolato “Retribuzione
eguale per un lavoro di valore uguale” si proponeva di costruire e rinsaldare una rete di alleanze
con l’insieme delle associazioni e dei movimenti femminili prefascisti e laici, come premessa per la
costruzione di una più larga unità delle donne. L’Udi aveva iniziato anche ad occuparsi di
tematiche non specificatamente femminili, come la tutela del lavoro a domicilio o la scuola
dell’obbligo e l’istruzione, dato che erano convinte che elevare l’obbligo scolastico e abolire
l’avviamento avrebbero fornito in particolare la crescita formativa delle ragazze e il loro processo di
emancipazione. Si soffermarono anche sulle condizioni materiali della scuola perché mancavano
le aule. Mutando le leggi e l’assetto sociale, assicurando l’accesso delle donne al lavoro retribuito
e all’indipendenza economica e creando le condizioni concrete per “conciliare” lavoro e famiglia, le
donne sarebbero state sottratte a un destino di schiavitù domestica e di esclusione della storia e
avrebbero cambiato profondamente e in meglio la loro vita.
Solo la lotta di emancipazione poteva essere la motivazione per aderire all’Udi e ciò significava
anche prendere iniziative per la pace o per la difesa dell’infanzia, secondo l’urgenza e la gravità 5
del momento. In sostanza si cercava di bloccare il ricorrente tentativo di trasformare la federazione
in un comitato per la pace al femminile.
Capitolo6: La doppia militanza e il cammino verso l’autonomia
Le ragazze dei movimenti extraparlamentari coniarono anni dopo il termine di “doppia militanza”
per indicare i militanti del Pci che in passato erano stati militanti dell’Udi. Impegnate in
un’estenuante battaglia per far prevalere l’autonomia del movimento delle donne e per cercare di
svincolare l’associazione dalla tutela dei partiti, quelle dell’Udi si trovavano strette in una
contraddizione tra interessi e doveri opposti. In questo momento, dopo la svolta del 1956, l’Udi non
si era ripresa: l’organizzazione era fragile, mancava di vita democratica interna e ciò ne derivava
un forte disagio. Le critiche si erano concentrate sul lavoro svolto. Venne così chiesto alle
responsabili delle commissioni femminili delle federazioni di esprimere un giudizio sull’attività e
sull’efficienza politico-organizzativa dell’Udi nella loro provincia. Alla fine, secondo la classe
operaia e le masse femminili, la “piena liberazione” era possibile solo se all’attività di massa era si
fosse accompagnata l’azione dell’organizzazione politica di avanguardia, cioè del Partito
comunista. Durante il congresso “Per l’emancipazione della donna, una grande associazione
autonoma e unitaria” si affermò che la causa dell’emancipazione femminile aveva bisogno
dell’unità di tutte le donne sulla base esclusiva dei loro interessi ideali e concreti, al di fuori degli
schieramenti politici e ideologici, al di fuori e al di sopra dei partiti, qualunque essi siano. Per
realizzare il programma, l’Udi doveva chiamare le donne a lottare unite, elaborando una
piattaforma politica autonoma, senza la preoccupazione di farla più o meno coincidere con
posizioni di partiti o di altre organizzazioni e battendosi contro tutti gli ostacoli che essa incontrava
nella sua azione. Era necessario riprendere con slancio il tesseramento dell’Udi e che le
campagne nazionali di adesione rappresentassero inoltre un elemento di unificazione dei molteplici
movimenti che si costituivano attorno ai singoli temi e iniziative. Insomma, le priorità erano
cambiate e le campagne di adesione non erano più considerate la forma organizzativa
fondamentale. Un primo tentativo di dare all’autonomia del’Udi anche un fondamento teorico si
fece sentire con l’idea che quella in cui le donne vivevano era una “società maschile” perché era
fondata e costruita sulla presunzione che il compito esclusivo della donna fosse quello di
assicurare la realizzazione del lavoro domestico. All’Udi era stata impressa una spinta che avrebbe
prodotto risultati significativi. L’autonomia, come condizione per perseguire l’unità delle donne sulla
base del riferimento al sesso, era stata sancita. L’analisi della società cominciava ad essere
anch’essa autonoma. Di essa si denunciava il fondamento intrinsecamente maschilistico poiché si
basava su differenze non più di classe ma di genere.
L’emancipazione femminile si era venuta sempre più affermando come una questione
fondamentale per il rinnovamento nazionale e che, da una enunciazione generica, si era passati
ad azioni e lotte concrete e unitarie su singoli e importanti problemi. Invece di “baloccarsi”, le
donne avrebbero dovuto condurre azioni a favore della loro emancipazione. Si indicavano quattro
obiettivi immediati di lotta: il lavoro, la parità, l’adeguamento della società civile alle esigenze della
donna e della famiglia e l’utilizzazione di tutti gli strumenti culturali, a partire dalla