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LA RAPPRESENTAZIONE DEL RISCHIO

Attualmente, la rappresentazione del rischio maggiormente condivisa sembra corrispondere a un profilo

attuale “multi determinato” e definito da una serie di variabili di diversa natura che costantemente

interagiscono per dare vita a fenomeni di reciproco influenzamento e che, in ultima analisi, contribuiscono

significativamente a determinare le linee generali dello sviluppo “tipico” e “atipico” dell’individuo. Su

queste basi è possibile considerare il rischio psicosociale come “relativo”, nel senso di un fenomeno

complesso, che non può essere spiegato secondo una logica deterministica. Tale considerazione fa

riferimento al fatto che “varia tra individui con le medesime condizioni di rischio (per es. non tutti i bambini

maltrattati manifestano inevitabilmente da adulti comportamenti devianti) e varia anche a seconda della

persona, del momento e della situazione”. Si tratta di una condizione che non è stabile né definitiva, che si

sviluppa secondo un processo di continuità che può cambiare il corso degli eventi e quindi gli esiti finali di

ogni fase “critica” e di ogni condizione del ciclo di vita. In ambito psicologico e nello specifico evolutivo, la

definizione di “rischio” si è progressivamente sviluppata secondo una duplice accezione; in senso transitivo,

con il significato di mettere a repentaglio, questa fa riferimento a quei comportamenti volontari messi in

atto dal soggetto, che possono ritenersi azioni al limite; la definizione in senso intransitivo individua, invece,

il significato di correre il rischio, espressione, questa, utilizzata per comprendere “i processi ontogenetici e

ambientali che influenzano l’evoluzione longitudinale dei modelli di comportamento individuale non

adattivi, attuati dal soggetto nel corso della sua vita, dall’infanzia alla maturità”.

Secondo una lettura generale e non specifica è possibile considerare che quando si parla di rischio ci si

riferisce, comunque, alla probabilità che collega un elemento predittivo identificato come particolare

situazione di “precarietà” con alcuni esiti”. Occorre tenere sempre presente, però, che con il termine

rischio non ci si riferisce a causa e relazione eziologica, anche se un fattore di rischio può essere parte di

processi eziologici.

LE PROSPETTIVE

Questo rapporto viene letto e analizzato in ambito psicologico evolutivo da 3 differenti prospettive: la

prospettiva della causalità diretta; la prospettiva della causalità multifattoriale e la prospettiva per

meccanismi e processi. Con la 1 prospettiva si fa riferimento alla possibilità di collegare e associare

un’eziopatogenesi a “causalità diretta”; possibilità che contempla, pertanto, uno specifico agente (causale)

e un altrettanto quadro sintomatologico. In tal senso, questa prospettiva sottende una concezione

deterministica dello sviluppo ed è definita “main effect approach” poiché prefigura e ricerca una relazione

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lineare tra causa ed effetto. Si tratta, comunque, di una prospettiva che considera come fattori di rischio

quelle condizioni come la povertà, la malattia cronica, la separazione precoce, i maltrattamenti.., condizioni

che sembrano superare i livelli di disagio comunque presenti nella società. La prospettiva multifattoriale si

sviluppa attraverso un approccio cumulativo che ricerca indici cumulativi di rischio in relazione a una “soglia

limite” il cui superamento dà vita a esiti mal adattivi. È questa una prospettiva che tiene conto di una logica

sommatoria e che considera un numero consistente di variabili di natura genetica, riproduttiva,

costituzionale, dell’ambiente, come determinanti del “rischio”. Si tratta di una prospettiva di tipo

meccanicista, non sempre capace di rendere conto del perché, ma soprattutto del come i singoli fattori

interagiscono dinamicamente, sottolineando la rilevanza dell’intervento di + fattori nel determinare una

condizione di rischio. Grazie agli studi di Rutter e Rutter si è pervenuti a una lettura dell’interazione tra i

fattori di protezione che si sviluppano nelle fasi di criticità dello sviluppo dei bambini. Questa prospettiva

rifiuta il determinismo insito in quelle illustrate finora e, nello stesso tempo, sottolinea la possibilità di

sviluppare un possibile livello di adattamento anche laddove le condizioni risultino caratterizzate da

svantaggio. La prospettiva orienta a ritenere che i medesimi fattori di rischio e di protezione possono

promuovere lo sviluppo di percorsi evolutivi che danno vita, invece, a differenti condizioni di adattamento

in senso sia positivo sia negativo. In riferimento ad alcuni studi, che hanno messo in evidenza proprio questi

aspetti, ci si è posti la domanda relativa al ruolo che alcuni meccanismi hanno nella gestione della

condizione di rischio. Alcuni studi mettono in evidenza come questi meccanismi attivino un effetto

catalizzante, aumentando la resistenza ai fattori di rischio o riducendola, senza necessariamente avere un

effetto immediato sul funzionamento psicologico. Il riferimento ai meccanismi oltre che ai fattori di rischio

consente, innanzitutto, di sottolineare maggiormente che le varabili possono proteggere o indebolire

secondo le circostanze ed, ancora, permette di tenere presente la non linearità, causa-effetto, degli esiti dei

fattori di protezione con cui si identificano i meccanismi funzionali alla gestione della condizione di rischio.

Si può affermare che si può parlare di “meccanismi di protezione” quando una traiettoria di rischio viene

deviata verso una condizione di adattamento positivo per il bambino, grazie all’attivazione di processi che

garantiscono il raggiungimento di esiti positivi nel corso dello sviluppo, mentre i “meccanismi di

vulnerabilità” agiscono in senso inverso. Il rischio può considerarsi come fenomeno su + livelli:

caratteristiche interne dell’individuo (temperamento, abilità/difficoltà intellettuali, umore, senso di

autoefficacia percepita , autostima); fattori relativi al sistema familiare (livelli di comunicazione all’interno

della famiglia, valori e credenze parentali, livelli di attenzione e interesse da parte dei familiari, qualità delle

cure materne, storia familiare); presenza e utilizzo di sistemi esterni (assimilazione di norme, valori e

modelli, qualità delle esperienze scolastiche, livello di inserimento all’interno di reti di relazioni informali).

Bisogna inoltre soffermarsi sull’incidenza di quelli che definiamo “life events” nello sviluppo del bambino e

dell’adolescente. È importante, cioè, sottolineare il ruolo degli eventi traumatici in riferimento alla loro

“rischiosità”. Un life event è “una circostanza ambientale che ha un inizio e una fine identificabili e un

potenziale di alterazione sulle stato mentale o sul benessere fisico dell’individuo”. Questi eventi di vita, in

grado di divenire psicologicamente rischiosi per il bambino, devono essere analizzati in riferimento a 3

variabili: -il grado dell’alterazione dell’immagine che ognuno ha di sé in riferimento alle proprie relazioni

sociali; il livello di ansia che tali eventi innescano essendo vissuti come insuperabili; -quali e quante nuove

competenze devono essere acquisite dal soggetto per favorire un adattamento a essi.

L’ATTRAVERSAMENTO DEL RISCHIO

Questa analisi conduce a porsi alcuni interrogativi circa la possibilità, per un soggetto a rischio, di gestire il

rapporto tra “resilience” e life events nella logica di un attraversamento non passivo del tipo helplessness

ma, invece, attivo e creativo. Per parlare di attraversamento del rischio occorre intanto recuperare la

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rilevanza della capacità umana di orientare i propri processi di crescita e di sviluppo, e quindi la

considerazione del soggetto, bambino o adulto, come sistema attivo complesso. Il soggetto come sistema

ha la possibilità di sottrarre il proprio destino dal determinismo dei geni e dell’ambiente; egli concorre

attivamente alla creazione delle proprie condizioni di vita e di sviluppo. Ciascuno risulta attivo, costruisce

significati, si adatta, gestisce le sfide e crea opportunità di trasformazione e cambiamento. Lo sviluppo

deve, pertanto, essere interpretato come “azione in contesto” in cui la realizzazione dei propri obiettivi e

delle proprie potenzialità deve essere considerata in relazione agli effetti sistemici circolari generati da un

individuo che, cambiando, genera un cambiamento anche nel contesto. Quest’ultimo si ridefinisce a sua

volta e crea nuove opportunità e nuove richieste di adattamento, lungo un percorso di crescita reciproca

che si protrae per tutta la vita. L’individuo “protagonista” della sua crescita risulta non soltanto un

presupposto fondamentale per inquadrare lo sviluppo umano in linea generale, ma diviene anche una

finalità da perseguire per favorire esiti evolutivi positivi sulla base di quello che viene definito un

adattamento “attivo” del soggetto. La focalizzazione di questi aspetti ci orienta a definire

l’attraversamento del rischio proprio come possibilità di “agire” la particolare condizione di rischio e gli

specifici equilibri evolutivi disfunzionali creati dallo stress che caratterizza tale condizione.

L’attraversamento del rischio comporta un primo passaggio, che è quello di farsi carico della condizione e,

all’interno di questa, essere orientati a rompere gli equilibri evolutivi disfunzionali raggiunti. All’interno di

tale sintetica descrizione risultano evidenti alcuni nuclei, alcuni tempi e alcuni soggetti. Per quanto attiene

ai primi occorre rintracciare: -il soggetto con il suo profilo disfunzionale; -il soggetto con la sua possibilità di

cambiamento; -la conflittualità tra disfunzionale e funzionale; -il rapporto soggetto-condizione; -

l’attivazione della crisi; -il supporto alla ricerca di risposte ai compiti evolutivi. Il primo nucleo recupera la

consapevolezza che il soggetto non deve essere considerato in senso generalizzato, ma nella specificità

della sua differenza individuale e delle condotte. La disfunzionalità del profilo sta a rappresentare il

rapporto e il significate che la differenza assume rispetto a un percorso di sviluppo sano. La focalizzazione

del profilo disfunzionale consente al soggetto di riconoscersi, seppure attraverso la disfunzionalità, e di non

attivare resistenze. Con il nucleo che individua il soggetto con la sua possibilità di cambiamento, si

sottolinea la sua capacità di crescita e di sviluppo. Ancora, tra i nuclei, il rapporto tra il soggetto e la

condizione, che contempla la possibilità di quest’ultima di non essere identificata

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Publisher
A.A. 2015-2016
53 pagine
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SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-PSI/04 Psicologia dello sviluppo e psicologia dell'educazione

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher AleCas di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Psicologia dello sviluppo e dell'educazione e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Palermo o del prof Perricone Briulotta Giovanna.