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Il linguaggio dei videogiochi rappresenta un principio dell’apprendimento molto elementare,

ignorato regolarmente nelle scuole. Gli alunni possono fare molto con l’elevato numero di

informazioni aperte che l’insegnante ha spiegato al di fuori di contesti di immersione nella pratica

reale. Allo stesso tempo, non possono imparare senza possedere alcune informazioni aperte: non

possono scoprire tutto da soli. La soluzione è offrire informazioni in contesto ad esprimerle in 8

modalità che hanno senso nel contesto dell’azione incarnata. Il linguaggio incoraggia il giocatore a

relazionarsi, a giustapporsi e a integrare la sua identità nel mondo reale e l’identità virtuale del

personaggio che sta agendo nel mondo virtuale del gioco. Tale processo incoraggia anche il

giocatore ad adottare l’identità proiettiva che costituisce il cuore e l’anima dell’apprendimento attivo

e critico.

In un videogioco ben fatto, il giocatore impara a giocare giocando in un “sottodominio” del gioco

reale, cioè apprende in un sottocampo del capo intero. Molti videogiochi hanno un modulo

formativo classificato esplicitamente. Questi moduli non sono episodi del gioco, ma il giocatore si

muove attraverso i primi paesaggi e le prime azioni. Una volta che il gioco inizia correttamente, il

primo episodio è quasi sempre un modulo formativo dove le cose sono meno frenetiche ed

esigenti di come saranno in seguito. Il giocatore è raramente sotto pressione e in generale paga un

prezzo minimo per gli errori, nessun nemico scorbutico da affrontare lo attacca e il primo episodio

offre solitamente un campione concentrato delle azioni più elementari e importanti, degli strumenti

e delle interazioni a cui il giocatore dovrà ricorrere durante il gioco. Dicendo che nei videogiochi

ben fatti si impara a giocare agendo in un “sottocampo” del gioco reale, s’intende dire che i moduli

formativi e gli episodi iniziali sono costruiti come versioni semplificate dello stesso modo in cui il

giocatore vivrà, giocherà e imparerà per tutta la durata del gioco.

In un videogioco ci sono tempi in cui i giocatori riconoscono che stanno imparando. Con l’andare

avanti del tempo, chi impara vede che l’abilità, ora diventata routine, non progredisce più. I

giocatori affrontano quindi una nuova sfida per la quale le abilità acquisite fino a quel momento non

funzionano più. In casi come questo, si verifica una forma di apprendimento che si deve

incoraggiare nella scuola: trasferire le conoscenze precedenti a casi nuovi di cui non si è ancora

avuta esperienza. Rifarsi a precedenti esperienze è un esempio di quello che i teorici

dell’apprendimento chiamano transfer. Il transfer richiede apprendimento attivo e apprendimento

critico. Gli psicologi cognitivi sostengono che il transfer è cruciale nell’apprendimento, ma non è

affatto semplice provocarlo negli alunni, specialmente a scuola. Creare le condizioni affinché si

abbia transfer richiede di rendere gli alunni consapevoli di come due diversi problemi o campi di

esperienza condividano certe proprietà a un livello più profondo. Grazie all’apprendimento attivo:

- chi apprende si rende conto che una strategia appresa in precedenza e poi diventata di routine

non funziona e l’abbandona;

- chi apprende trasferisce abilità e strategie acquisite in esperienze precedenti sulla base di

analogie esistenti tra quelle esperienze e il problema che sta affrontando al momento;

- chi apprende impara che, mentre talvolta la scuola pone problemi in modo tale che le soluzioni

iniziali si trasferiscano direttamente su quelle successive, questo accade raramente in altre

situazioni. Così impara ad adottare e trasformare l’esperienza precedente da trasferire al nuovo

problema attraverso la creatività e l’innovazione;

- chi apprende utilizza anche ciò che scopre sul campo pratico, mentre attiva una nuova strategia

trasformata. Questo richiede riflessione non dopo o prima l’azione, ma durante.

Alcuni videogiochi ordinando le tipologie di situazioni e problemi con cui il giocatore si confronta.

Le situazione e i problemi iniziali più cruciali sono progettati per portare il giocatore a scoprire e a

mettere in pratica modelli e generalizzazioni fruttuosi in relazione ad abilità e strategie. Essi

risultano utili per giocare il resto del gioco e come base per modelli e generalizzazioni più

complicati che si sarà chiamati a gestire quando si affronteranno situazioni e problemi più

complessi. Nelle scuole, all’inizio del corso di apprendimento, i bambini affrontano spesso casi che

non sono loro di grande utilità per il loro futuro, ma sono interessanti e intelligenti per il presente.

La questione consiste nell’iniziare i bambini con casi elementari ma esemplari, cioè tali da portarli

a scoprire e mettere in pratica modelli e generalizzazioni fruttuosi. I buoni videogiochi fanno ben

più che ordinare in modo intelligente le situazioni e i problemi che il giocatore si trova di fronte.

Offrono anche, negli episodi iniziali, un campione concentrato, cioè concentrano negli parti iniziali

del gioco un buon numero di oggetti, abilità e strumenti fondamentali che il giocatore ha bisogno di

imparare a conoscere.

Capitolo5: Modelli culturali

Uno dei fattori che rendono i videogiochi uno strumento così potente è la loro capacità di creare

interi mondi e di invitare i giocatori ad assumere una delle diverse identità possibili all’interno di

essi. Quando i giocatori la scelgono, il loro punto di vista sul mondo potrebbe rafforzarsi oppure, 9

attraverso la creazione di mondi e di personaggi diversi, i videogiochi possono sfidare i punti di

vista sul mondo che i giocatori danno per scontati.

Esistono diversi modelli di ciò che conta nell’essere buoni o nel fare il bene. In un modello, cioè

che conta è determinato da obiettivi, scopi e valori di un personaggio, in quanto condivisi all’interno

di un particolare gruppo sociale al quale esso appartiene. In poche parole, “mi comporto bene

quando agisco nell’interesse di un certo gruppo nel quale sono membro e che stimo”. Nell’altro

modello, ciò che conta per essere buono o fare il bene è determinato da un punto di vista più

ampio di quanto non rappresentino gli obiettivi, scopi e valori di un solo personaggio, in quanto

condivisi con un particolare gruppo sociale. Ciò che conta, in questo caso, è determinato da valori

e norme all’interno di una “società più ampia” che contiene gruppi complessi, talvolta in

competizione, e anche regole e principi di comportamento più o meno generalizzati. In poche

parole, “mi comporto bene quando agisco secondo la concezione generale di ciò che è bene e

male, una concezione che trascende la mia apparenza a un gruppo particolare”. Per “modelli” di

cosa significhi essere buoni o fare il bene, non s’intende posizioni filosofiche “professionali”

sull’etica, ma la concezione della gente comune. Nella vita reale, questi due modelli entrano

solitamente in conflitto e sollevano ogni sorta di domande e di problematiche interessanti. Alcuni

pensano che gli interessi e i valori del proprio gruppo dovrebbero coincidere con il bene generale.

Altri pensano che l’idea di bene comune non faccia che nascondere gli interessi limitati di gruppi

particolari, in una società che li ha nascosti sotto il bene generale. Altri ancora credono che i propri

interessi e valori rappresentino una concezione di bene comune futura piuttosto che presente e

possono essere contrari d una concezione di bene come male necessario da accettare per avere

la garanzia di un futuro migliore. E, naturalmente, ci sono diverse idee su cosa si intenda per

concezione del bene e del male. Il bambino videogiocatore capisce che quando agisce o pensa nel

ruolo di qualcun altro, questo implica non solo l’assunzione di una nuova identità, ma talvolta

pensare e giudicare da un punto di vista che altri possono ritenere “sbagliati” da un’ottica diversa.

Questi due modelli di ciò che significa essere buoni sono esempi di quelli che chiamiamo modelli

culturali. I modelli culturali sono immagini, trame, principi o metafore che catturano ciò che un

particolare gruppo trova “normale” o “tipico” riguardo a un dato fenomeno. Per “gruppo” s’intende

qualunque dimensione, dal piccolo gruppo all’intera umanità. I modelli culturali non sono veri o

falsi, ma catturano solo un punto di vista parziale della realtà, che aiuta i gruppi a continuare a fare

il loro lavoro quotidiano senza grandi pianificazioni o pensieri intenzionali. Poiché i modelli culturali

sono spesso dati per scontati e le persone tendono raramente di formularli in modo definitivo, non

c’è un modo corretto per esprimerli. Se obbligati a formularli, lo faranno traducendoli in parole

diverse in diverse situazione. Il massimo che i ricercatori possono fare è studiare il comportamento

e le parole delle persone che agiscono in qualità di membri di un certo tipo di gruppo e concludere

che devono accettare un certo modello culturale che traduciamo in parole nel modo migliore

possibile. Quando le persone agiscono in quanto gruppi di membri diversi in situazioni diverse,

possono non agire secondo il modello culturale che hanno ipotizzato, ma sulla base di altri modelli.

I gruppi sociali non prestano molta attenzione ai propri modelli culturali, a meno che uno sia

minacciato. Quando i modelli culturali sono sfidati o entrano in conflitto con altri modelli, possono

emergere alla coscienza delle persone o dell’intero gruppo. Se qualcuno giunge a ritenere anche

le azioni che sta facendo per il bene della famiglia possano entrare in conflitto con la concezione

generale di moralità, questo può generare disagio e conflitti che possono essere risolti in vari modi.

Molti modelli culturali relativi al genere sono emersi alla coscienza delle persone grazie al fatto che

sono stati sfidati in modo palese nella società. Inoltre, il mondo è pieno di un numero infinito di

modelli culturali in continua trasformazione. I modelli culturali non sono soltanto nella nostra testa,

ma sono rappresentati e messi in atto nelle parole e nelle azioni delle persone con le quali

interagiamo e condividiamo l’appartenenza a gruppi diversi. Modelli culturali diversi sono associati

a gruppi diversi in una società più ampia, nonostante alcuni siano condivisi da molti gruppi di

quella società. I modelli cultuali, che non possono essere affermati in modo definitivo, sono storie o

immagini dell’esperienza che le persone possono raccontare o simulare nella propria mente, storie

e immagini che rappresentano quelli che

Dettagli
Publisher
A.A. 2015-2016
17 pagine
7 download
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-PED/03 Didattica e pedagogia speciale

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher likelikelike di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Metodologia e tecnica del gioco e dell'animazione e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Firenze o del prof Nesti Romina.