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B REVE STORIA DELLA LINGUA ITALIANA
Introduzione. Storia di chi, storia di che cosa
La storia linguistica italiana si caratterizza per un costante rapporto tra centro e periferia, cioè tra
la Toscana, da cui ha avuto origine l’idioma nazionale, e le altre regioni, il luogo in cui l’idioma
nazionale si è espanso. Nella sua espansione, il toscano ha incontrato le parlate locali, le quali
avevano in certi casi una certa tradizione di cultura. Il confronto non si è risolto quasi mai in
un’imposizione autoritaria, ma vi è stato piuttosto un libero consenso da parte delle altre regioni.
Per il periodo dalle origini al Quattrocento, non ha ancora senso parlare di “dialetti”. Si parla di
“dialetto” solo una volta che si è affermata la lingua. “Dialetto” senza contrapposizione a “lingua” è
un concetto inapplicabile, tanto che gli studiosi, per i secoli XIII-XV parlano genericamente di
“volgari italiani”.
La lingua è esposta al contatto con altre lingue, oltre che con i dialetti. Gli scambi con l’estero sono
frequenti e si svolgono attraverso i confini nazionali, i libri, le invasioni militari, i viaggi, i commerci.
Le lingue di maggior prestigio influenzano le altre, esercitando dei prestiti “adattati” o “non adattati”,
a seconda che il forestierismo venga modificato o accolto nella forma originale. Il rapporto con
una lingua diversa produce anche i “calchi” che possono essere di due tipi: il “calco traduzione”,
cioè quando si traduce alla lettera la parola straniera (grattacielo traduce skyscraper, composto da
sky, cioè cielo, e scraper, cioè che gratta), e il “calco semantico”, cioè quando una parola italiana
assume un nuovo significato traendolo da una parola straniera (autorizzare prima significava
rendere autorevole e per influsso del francese ha preso il significato di permettere). E’ possibile
inoltre distinguere tra “prestiti di necessità”, che si hanno quando la parola giunge assieme ad un
referente nuovo, privo di nome nella lingua che lo riceve (caffè, patata, canoa furono introdotte in
italiano per disegnare oggetti o prodotti prima sconosciuti), e “prestiti di lusso”, che potrebbero
essere evitati perché la lingua possiede già un’alternativa alla parola forestiera. Durante il
Fascismo, il Purismo implicò una difesa dai termini stranieri perché la lingua veniva sentita come
un segno dell’unità nazionale che differenziava un popolo da un altro ed era quindi necessario
tutelarla da influssi esterni. Tra le lingue con cui l’italiano è stato maggiormente in relazione ci sono
quelle europee, in particolare il provenzale e il francese, poi lo spagnolo e l’inglese. Bisogna tener
conto dei contatti anche con il latino e il greco nell’introduzione di prestiti di matrice colta.
Gli scrittori sono tra i protagonisti privilegiati della storia linguistica. La lingua si identifica sia nella
letteratura, sia nella lingua comune e d’uso, legata alla comunicazione quotidiana.
Il mistilinguismo è la mescolanza di elementi linguistici diversi, nello scritto o nel parlato, ed è
tipico della condizione dello scrivente italiano nel passato, il quale si è trovato spesso al centro di
campi di forza divergenti: è stato attirato dal toscano, condizionato dal suo dialetto di origine ed
influenzato dagli studenti libreschi di cui disponeva.
Nella fase iniziale della nostra storia linguistica troviamo il notaio del Medioevo. I notai scrissero
molti dei primi documenti usando il volgare al posto del latino. Così accadde persino nel Placito
Capuano, il cosiddetto “atto di nascita” della nostra lingua. Il mercante medievale era meno istruito
del notaio e generalmente non sapeva il latino, ma imparava a leggere, scrivere e contare. Il
mercante leggeva per proprio divertimento, ma scriveva per professione: era necessario tenere i
conti, annotare i movimenti delle merci, intrattenere rapporti epistolari con corrispondenti lontani.
Oltre alle lettere missive, le “pratiche di mercatura” erano quaderni dove si trovano problemi
matematici, tariffe commerciali, notizie gastronomiche, scongiuri, proverbi, ricette mediche, notizie
di cronaca…. I “libri di famiglia”, invece, sono quaderni in cui uno o più membri della famiglia
annotavano avvenimenti familiari e cittadini, memorie, considerazioni personali, dati di interesse
patrimoniale.
Lo strumento della lingua scientifica fu per lungo tempo solo il latino, fino al Rinascimento. Il
latino era adoperato nella teologia, nella filosofia, nella matematica, nell’astronomia, nella
geometria e nella medicina. Ci volle tempo perché il volgare potesse competere con il latino
strappandogli il monopolio della cultura e lo scienziato diventasse uno dei protagonisti della storia
linguistica italiana. Già Dante previde una simile trasformazione e scrisse in volgare il Convivio.
Galileo Galilei fu il protagonista della svolta che promosse al più alto livello scientifico l’uso del
volgare toscano. Il linguaggio scientifico si differenzia per la sua funzione da quello letterario e
poetico: mentre la poesia è vaga e suggestiva, il linguaggio scientifico è rigorosamente univoco e
chiaro. 1
Una lingua, ovviamente, esiste anche prima che i grammatici ne abbiano fissato le regole.
L’italiano vantava già un’eccellente tradizione letteraria quando, tra Quattrocento e Cinquecento, si
avviarono i primi esperimenti di stabilizzazione della norma. La prima breve grammatica italiana è
la Grammatichetta vaticana di Leon Battista Alberti, composta nel Quattrocento. Nel 1525,
uscirono le Prose della volgar lingua di Pietro Bembo. Le norme fissate dai grammatici dei
Cinquecento erano ricavate dagli scrittori che avevano reso grande la lingua: Dante, Petrarca e
Boccaccio. La grammatica, dunque, si sviluppò dopo che fu disponibile una ricca tradizione
letteraria. Fino ad allora, in assenza di strumenti normativi, chi usava la lingua doveva farsi
grammatico egli stesso, ricavando da solo regole, a partire dai tre autori letti e ammirati. Le
grammatiche del Cinquecento furono soprattutto strumento di consultazione per i letterati e, dal
Settecento, la grammatica divenne strumento fondamentale della pedagogia scolastica.
Accanto alle grammatiche, l’altro grande prestigio della norma linguistica è rappresentato dai
dizionari. Oggi, il vocabolario “dell’uso” è considerato prima di tutto un testimone della lingua viva
ed è aperto alle innovazioni. I più antichi vocabolari a stampa dell’italiano furono realizzati a
Venezia, mentre in Toscana, alla fine del Cinquecento, du fondata l’Accademia della Crusca, che
pubblicò nel 1612 un vocabolario molto più ampio di tutti quelli realizzati fino ad allora.
Non è stato un potere politico accentratorio, ma sono stati la letteratura e la cultura i canali più
importanti per la diffusione dell’italiano. Inoltre l’unificazione politica italiana si è realizzata quando
la lingua aveva già raggiunto da sé un assetto sicuro. In Toscana, la lingua parlata era vicina a
quella scritta e letteraria e si aveva quindi un’omogeneità altrove impossibile tra lingua letteraria e
lingua parlata. Nel resto d’Italia, invece, si ebbero casi di adozione precoce del volgare toscano al
posto del latino. Il volgare, già nel Quattrocento, fece la sua comparsa in alcune cancellerie
signorili, cioè delle segreterie addette al disbrigo degli affari di stato, anche se nel capo giuridico-
amministrativo il latino era considerata la lingua del diritto e della giurisprudenza. Per uno stato, la
scelta di una lingua ufficiale è una scelta di grande portata storica. Ma quando una lingua viene
sentita come valore nazionale, allora si possono manifestare degenerazioni. Tra queste, vi è il
rischio di un sentimento di rifiuto per quanto si presenta come linguisticamente diverso. Emerge
allora il problema delle minoranze, le quale a volte si sono trovate in conflitto con politiche
linguistiche centralistiche, come è accaduto dopo l’Unità e soprattutto durante il Fascismo. Anche i
dialetti esprimono una diversità regionale. Uno degli strumenti della politica linguistica è la
scuola. Fino al Settecento, però, la scuola superiore era in lingua latina e il volgare non era
insegnato, almeno ufficialmente. Con le riforme del Settecento, il toscano entrò nella scuola
superiore e all’università.
La stampa a caratteri mobili fu un’invenzione tedesca: il primo libro composto con questa tecnica
fu la Bibbia di Gutenberg del 1456. In breve tempo la tipografia si diffuse anche in altre nazioni e
con ottimi risultati in Italia, concentrandosi in particolare a Venezia, capitale della stampa già dal
Quattrocento. La circolazione dei testi scritti influenzò l’evoluzione della lingua e regolarizzò la
scrittura. L’incunabolo è il libro quattrocentesco appartenente al primo periodo dell’arte tipografica
appena nata. Nel primo secolo della stampa, la produzione in latino ebbe il primo posto: furono
stampati in latino la Bibbia di Gutenberg e i primi stampati in Italia. I libri in volgare furono per tutto
il Quattrocento una minoranza, tra i quali il Decameron di Boccaccio, il Canzoniere di Petrarca e la
Commedia di Dante.
I mass-media sono i mezzi della comunicazione di massa, cioè giornali, radio, cinema, televisione.
Il termine mass-media è del nostro secolo e si riferisce alla cultura prodotta in forma industriale,
destinati ad una pluralità di utenti. I new media sono invece gli strumenti dell’era informatica. Nel
Settecento, accanto al libro, acquista importanza il giornale. Riviste come Il Caffè si collocano ad
un livello alto, per un pubblico esperto. Con l’Ottocento si diffondono i giornali popolari e quotidiani
rivolti ad un pubblico più largo, favoriti dalla crescita dell’alfabetismo e e dalla maggiore
alfabetizzazione. Il giornale, oltre che motore del cambiamento e della promozione culturale, è
anche un ottimo testimone del suo tempo: ci troviamo le prime attestazioni di neologismi e
forestierismi perché il giornalista si confronta con l’attualità. Ma non sempre i neologismi che
compaiono sui giornali mettono radici nella lingua: a volte scompaiono in breve tempo. Tullio De
Mauro è stato tra i primi ad attribuire grande peso all’influenza linguistica di radio, cinema e
televisione, oltre alla stampa. Già prima della seconda guerra mondiale, la radio era già diventata
un canale per raggiungere le masse popolari. La televisione, nata nel dopoguerra, ebbe
un’importanza ancora maggiore perché si poteva portare un’immagine del mondo esterno nelle 2
zone