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I DISEGNI DI BERNARDO BUONATALENTI E IL DI EMILIO DE’ CAVALIERI

LIBRO DI CONTI

(1895)

Il Granduca Ferdinando I si scelse a moglie Cristina di Lorena, nipote di Caterina de’ Medici, regina di

Francia. Nel 1589, quando la principessa francese pose il piede in Toscana fu ricevuta durante il mese di

maggio con ogni genere di festeggiamenti. Warburg ha rintracciato negli archivi fiorentini i di

Disegni

Buontalenti e il per i costumi teatrali. L’anima di questi intermezzi era Giovanni de’ Bardi dalla

Libro di conti

cui famosa venne fuori la anticheggiante. Lo coadiuvavano Emilio de’

Camerata Riforma Melodrammatica

Cavalieri come direttore dei cantanti e degli attori e Bernardo Buontalenti come disegnatore di costumi e

macchinista. Si aggiungeva ai quattro Bastiano de’ Rossi, detto l’Inferigno e primo segretario dell’Accademia

della Crusca che con il Prologo aveva l’intenzione di rivolgere l’attenzione del pubblico sulle idee generali.

Nel gabinetto dei disegni degli Uffizi si trova un disegno di Buontalenti

per il primo intermezzo: in mezzo, in alto c’è Giove assiso con attorno diciotto dee; al di sotto a sinistra vi

sono quattro Muse condotte da Nume barbuto e a destra cinque Muse guidate da una dea armata (Pallade?).

Questo soggetto sarebbe dunque da interpretarsi come missione di Museo e genii dall’Olimpo.

Soggetti degli intermezzi: I. II. III. IV.

Armonia delle sfere; Gara fra Muse e Pieridi; Combattimento pitico di Apollo;

V. VI.

Regione de’ Demoni; Canto d’Airone; Discesa di Apollo e Bacco insieme con il Ritmo e l’Armonia.

Tutti gli intermezzi erano dunque pantomime sul gusto antico sul Gli intermezzi si dividono

potere della musica.

in due gruppi: I, IV, VI sono allegorie in senso platonico sul significato della musica nel il II, III e V

Cosmo;

sono rappresentazioni degli effetti psichici della musica, esempi della «musica humana».

Risulta sorprendente come le idee platoniche della «musica mondana» (Armonia doria (I)) che fornirono al

Bardi l’appoggio teoretico per la riforma della musica nel senso classico, appaiano nel 1589 baroccamente ornate

come figure allegoriche al suono della musica madrigalesca. Altrettanto curioso è il fatto che il primo

prodotto artistico del movimento riformatore musicale, la di Rinuccini, è contenuto in germe nel III

Dafne

intermezzo nel combattimento col dragone pitico. Le stesse idee dell’antichità sono concepite in modo

opposto dalle stesse persone. Da cosa deriva questo cambiamento di influenza dell’antichità?

Tutti i progettisti di questi intermezzi lavorarono insieme per raggiungere una rappresentazione il più

possibile vicina al gusto antico. Per farsi un’idea dell’insieme delle rappresentazioni ci vengono in aiuto due

incisioni di Agostino Carracci (2, 3) che riproducono le scene del primo e del terzo Intermezzo.

I disegni del Buontalenti invece si trovano in un volume della (totale 44) riferiti al primo, secondo e

Palatina

quinto Intermezzo. Primo Intermezzo: colle tre Nugola con

Armonia doria; Necessitas Parche; Mercurio, Apollo,

e

Giove Astrea:

Terzo Intermezzo: che scocca l’Arco;

Coppia delfica; Apollo Drago:

Quinto Intermezzo: (4)

Arione

Giovanni de’ Bardi aveva cercato di incarnare una delle più profonde allegorie di Platone. Secondo questa la

musica armonica delle sfere ha origine in modo seguente: fra le ginocchia della scende il fuso

Necessitas

diamantino che riunisce i poli dell’universo. Le tre parche siedono ai piedi della loro madre e con lei fanno

girare il fuso: al loro canto si uniscono i suoni delle Sirene (5) che muovono le sfere. La consonanza tra

necessità e natura fa nascere l’eterna armonia. Il Bardi congiunse questo pensiero di Platone con un’altra

idea di Platone: personificò l’armonia dell’universo nell’Armonia che da Platone era ritenuta la più

doria

eccellente. L’idea di rappresentare mitologicamente l’armonia era molto diffusa nel Quattrocento: il Gafurius

nella sua rappresenta l’armonia universale colla lira di Apollo di otto corde

Armonia Musicorum Instrumentorum

(6): dai piedi di apollo si stacca un serpente che tocca la terra col capo, i nomi delle armonie greche formano

quasi le corde della lira. Il Bardi cambiò il concetto introducendo la Necessità e le Parche al posto di Apollo e

le Sirene al posto delle Muse.

L’incisione di Agostino Carracci ci dà il ricco quadro della scena: in cielo stava la e dietro a lei tredici

Necessità

musici. L’effetto del primo intermezzo doveva essere splendido, ma è dubbia l’impressione che lasciava sugli

spettatori riguardo il suo Se l’autore voleva che il senso della sua composizione fosse ben inteso

tema.

bisognava che parlasse più agli occhi (perché né parola né azione era utilizzati) e tentò quindi di

caratterizzare i personaggi usando un addobbo esteriore simbolico e vistoso, ma per il troppo zelo si cadde in

elementi oscuri e arbitrari. Le Sirene erano le figure principali e bisognava dare grande importanza al loro

acconciamento : due loro qualità si dovevano riconoscere a colpo d’occhio: che erano le cantatrici alate

dell’antichità e che erano le motrici delle sfere. Come Sirene ricevettero una sopravveste di penne e come

Stelle l’emblema della relativa sfera sopra i capelli. L’ornamento delle calzature fu ideato con grande finezza:

dovevano dimostrare che non avevano nulla in comune con le sirene malvage dai piedi d’uccello.

Lo stesso vale per la Necessità rappresentata come descritta da Platone: seduta sul trono da cui scende il fuso

mosso dalle tre Parche: tiene nella sinistra grossi chiodi e nella destra un mazzo di minugie e sulla testa una

corona di cipresso (emblemi oraziani).

Con questo simbolismo però la composizione divenne inintelligibile. Gli intermezzi della (I,

Musica Mondana

IV e VI) hanno il carattere della Mascherata muta piuttosto che del Dramma; sono creazioni destinate ad un

pubblico che voleva vedere la rinascita dell’antichità anche esteriormente. Il terzo intermezzo doveva

rappresentare una festa musicale secondo l’uso degli antichi Greci. Si era proposto di raffigurare la Battaglia

in onore di Apollo uccisore del Dragone. In questo caso, al coro delfico (vedi incisione Carracci) era

mitica

riservata una parte veramente drammatica, tramite la parola, il gesto ed il canto. L’incisione di Ludovico

rappresenta Apollo che volando scende da cielo, ai lati della scena il coro e riproduce il mostro secondo il

disegno di Buontalenti. Nelle descrizioni dell’abbigliamento delle coppie delfiche (De’ Rossi) ci troviamo

davanti ad un esempio istruttivo della storia del manierismo ornamentale. Questi accessori barocchi del

costume teatrale non sono che lontani avanzi di un addobbo sul gusto antico. Tali ornamenti derivano

dall’acconciamento della una di quelle attraenti creazioni, in cui il Quattrocento italiano seppe fondere

Ninfa:

il genio dell’arte con il sentimento dell’antichità. Essa è dunque un favorito anche negli Intermezzi.

tipo

Nel primo Intermezzo Giovanni de’ Bardi cercava ancora di farsi intendere per mezzo degli attributi e

ornamenti, mentre nel terzo Intermezzo l’inventore era già sulla via di adattare alle nuove esigenze teatrali

un concetto erudito. Il compositore del terzo Intermezzo fu Ottavio Rinuccini, autore della Nella

Dafne.

la è stata compendiata da una scena d’introduzione dove troviamo un ricordo dello

Dafne, Battaglia Pitica

spettacolo del 1589. Il progresso artistico che si fece nell’arte drammatica non dipese tanto dal ricorrere alle

fonti classiche, quanto dal modo di interpretarle. Negli Intermezzi e nella ci appaiono due correnti

Dafne

opposto nel modo di concepire i modelli classici: l’una di maniera barocca (legata al primo Quattrocento)

dava forma plastica ed una certa fedeltà archeologica esteriore alle figure; l’altra, in un senso classico, cercava

nel Melodramma d’esprimersi in una foggia nuova, unendo la parola col suono, come si credeva avessero

fatto i Greci e Romani colla melopea nella tragedia.

III. ARTE DEL RITRATTO E BORGHESIA FIORENTINA

DOMENICO GHIRLANDAIO IN SANTA TRINITA. I RITRATTI DI LORENZO DE’ MEDICI E

DEI SUOI FAMILIARI (1902)

Fra ritrattista e persona ritratta ha luogo un contatto intimo, il committente può stabilire la tendenza dell’arte

del ritratto. Le opere d’arte del primo Rinascimento devono la loro origine alla cooperazione fra committenti

e artisti e sono quindi da considerarsi prodotti da un’azione reciproca.

Nella chiesa di Santa Croce Giotto ha decorato la cappella dei Bardi poco dopo il 1317 con raffigurazioni

della leggenda di San Francesco. Uno di questi affreschi rappresenta la Conferma della regola dell’ordine.

L’azione principale riempie uno scorcio netto la superficie del quadro ed esige tutta l’attenzione dello

spettatore. Circa 160 anni più tardi (1480-86) un mercante fiorentino, Francesco Sassetti, commissionò a

Domenico Ghirlandaio e alla sua scuola l’illustrazione in sei affreschi della leggenda di San Francesco nella

cappella sepolcrale della sua famiglia in Santa Trinita. Mentre Giotto riproduce la corporeità umana facendo

parlare l’anima tramite l’involucro corporeo, per il Ghirlandaio il tema religioso è un pretesto per

rispecchiare una temporalità di si aggira con imponenza. Il modesto privilegio del fondatore, di trattenersi in

un angolo del quadro è ampliato dal Ghirlandaio a diritto di libero ingresso nella narrazione sacra, come

spettatori o addirittura persone agenti nella leggenda. Il dipinto del Ghirlandaio rappresenta la piazza di

Firenze perché sullo sfondo sono presenti la Loggia de’ Lanzi e Palazzo Vecchio. Che il fondatore si sia fatto

ritrarre, ai lati suo figlio giovane Federigo, suo fratello maggiore Bartolomeo e di fronte i suoi tre figli adulti

Teodoro I, Cosimo e Galeazzo, si potrà ancora lasciar passare poiché comunque si fermano ai lati della

rappresentazione, ma che tra Francesco e Bartolomeo si trovi piantato Lorendo de’ Medici personalmente fa

l’effetto di un’intrusione profana: tuttavia Francesco non intendeva esclusivamente rendere omaggio all’uomo

più potente di Firenze, poiché Lorenzo faceva parte della comunità dei Sassetti in quanto Francesco era socio

della ditta medicea a Lione.

Dove Giotto presenta come motivo principale dell’esistenza del dipinto, quasi estaticamente l’elevazione dei

monaci a fedeli vassalli della chiesa militante, Ghirlandaio trasforma la raffigurazione della leggenda degli

«eterni poveri» in una rappresentazione sfarzosa della ricca aristocrazia mercantile fiorentina. Le figure di

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Publisher
A.A. 2014-2015
11 pagine
3 download
SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-ART/02 Storia dell'arte moderna

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher codal di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Iconografia e iconologia e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Bologna o del prof Cavicchioli Sonia.