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STATUE VOTIVE IN CERA:
All'inizio del Quattrocento le statue votive sembrano essere aumentate al punto che la Signoria emana una deliberazione
in base alla quale solo i cittadini abili nelle arti maggiori avrebbero avuto il diritto di collocare una figura votiva.
Da un lato vi erano i fiorentini ed accanto i papi, ma vi si trovavano anche figure di stranieri.
La tomba di Massimiliano I ad Innsbruck dà forse, mutatis mutandis, un'analoga impressione di sopravvivenza della
ritrattistica pagana in chiese cristiane. Tuttavia, quello di Massimiliano, era un consapevole culto romano degli avi,
mentre a Firenze si praticava un paganesimo popolare legittimato dalla Chiesa.
Lo studio del Verrocchio, da cui uscirono le statue votive più artistiche, coltivava anche la fabbricazione di maschere di
morti in gesso e stucco, che venivano appese nelle case fiorentine.
Nel 1530 nella chiesa della Santissima Annunziata si potevano vedere 600
figure a grandezza naturale, 22000 voti di cartone e 3600 immagini votive.
Nel 1665 le figure di cera furono trasportate nel piccolo chiostro.
6) Arte fiamminga e primo Rinascimento fiorentino (1902)
Troviamo negli amatori d'arte italiani del primo Rinascimento una
predilezione per i prodotti nordici, non solo per la comprensione delle
caratteristiche intime delle tavole fiamminghe, ma soprattutto per i pregi più
estrinseci della pittura nordica: le illusioni, la verosimiglianza dei colori,
uomini, animali e contorni di paesaggi.
Nella prima metà del Quattrocento era molto ricercato l'arazzo, tappezzeria
francese o fiamminga su cui erano tessute gesta eroiche della Bibbia,
dell'antichità e dell'età dei cavalieri, compiute da personaggi abbigliati
secondo la corte di Borgogna. Già Giovanni de' Medici, secondo figlio di
Cosimo, aveva acquistato diversi arazzi.
Ciò che conferisce fascino a quest'arte del bell'arredo non è né il valore
artistico né il campo tematico “romantico”, ma il piacere erompente
dell'esistenza festosamente movimentata e sfarzosa.
Le Fiandre appoggiano il lavoro dei pittori italiani mediante l'influenza della
loro magistrale ritrattistica.
Fin da metà XV secolo l'abilità tecnica di Van Eyck aveva deliziato Alfonso
di Napoli, e Rogier van der Weyden durante il suo soggiorno a Ferrara
(1449) aveva conquistato la società di corte con i suoi quari di devozione. La
tavola, staccata dal suo ambiente sacro, elevava il fondatore, altrimenti
modestamente inginocchiato, a signore autonomo.
Un prodotto di questa ritrattistica nasce a Bruges dall'incontro tra un
mercante di ventura lucchese, Giovanni Arnolfini, ed un pittore nordico, Jan
van Eyck, entrambi vicini alla corte del duca di Borgogna. Nel 1434 van
Eyck ritrasse Arnolfini e la moglie fiamminga all'interno delle loro pareti domestiche. Nell'iscrizione si legge “Jan van
Eyck fuit hic”, non “fecit”, il pittore fu perciò presente nella stanza.
Circa quarant'anni dopo Hugo van der Goes realizzò per Tommaso Portinari l' “Adorazione dei pastori”: recitazione
monumentale e capacità espressiva.
Come interprete della società fiorentina di Bruges si inserisce anche Memling. Angelo Tani (casa Medici a Bruges) è
donatore del trittico del “Giudizio universale” nella chiesa di Santa Maria a Danzica.
Nel ritratto dei due coniugi, sulle ante del “Giudizio finale”, sono presenti anche gli stemmi delle due famiglie. Quello
della donna ci permette di rintracciare il suo cognome, scegliendo tra Tazzi o Tanagli.
Lo stemma dell'uomo invece si trova troppo spesso, per essere certi del suo cognome. Tuttavia Warburg, nel ricostruire
la colonia fiorentina di Bruges aveva già individuato un Angelo Tani, poiché era prima di Portinari dirigente della casa
Medici. Controllando i registri di coloro che pagavano a Firenze tasse su contratti nuziali, Warburg rintraccia un Angelo
di Jacopo Tani sposato a Caterina figlia di Francesco Tanagli.
Nel 1480 era di nuovo domiciliato a Firenze con moglie e tre figlie.
Il motto “pour non falir” non fa parte costante dello stemma dei Tanagli, ma anche la scelta del tema lascia pensare ad
un dipinto votivo offerto per il felice superamento di un
pericolo.
Nei volti dei dannati e dei beati si riscontrano volti
figurati individualmente. Nel piatto destro della
bilancia troviamo anche Tommaso Portinari.
Al nome di Portinari si collega anche:
• la “Passione” di Torino, di Memling (1470-
71).
• Ritratti di Tommaso Portinari e moglie
(Memling) → tramite questi ritratti
ritroviamo gli stessi committenti della
“Passione”, del “Trittico Portinari” di van der
Goes (Firenze, Uffizi).
Cronologia:
1) ritratti torinesi (passione): circa 1471
2) “Giudizio finale” (bilancia) Memling: prima
del 1473
3) ritratti di New York (→) : prima del 1473
4) ritratti fiorentini (van der Goes): 1476
Tommaso ha sposato Maria Baroncelli nel 1470, il
trittico di van der Goes è stato eseguito probabilmente
intorno al 1476: i dipinti vanno inseriti in un arco di sei
anni. Nel quadro torinese, Maria non ha ancora
superato l'imbarazzo della donna giovanissima.
Nel dipinto di New York porta la cuffia come naturale
contrassegno della sua dignità di sposa ed ostenta uno
sfarzoso collare. Il terzo ritratto ostenta un lusso anche
maggiore, Maria è inginocchiata rassegnata sotto la
protezione di Santa Margherita e Santa Maddalena.
Questo abbassamento di tensione nel volto di Maria è
spiegabile col fatto che tra il 1470 e 1477 aveva dato
alla luce i 4 figli.
Per quanto riguarda i ritratti di Tommaso, essi hanno la
stessa cronologia di quelli di Maria e quello nella
bilancia del “Giudizio finale” è probabilmente più
vicino cronologicamente a quello di New York.
Probabilmente la raffigurazione fornita da van der Goes è
più fedele rispetto a quella del Memling.
Memling ci fornisce anche il ritratto di un giovane uomo,
agli Uffizi, che potrebbe essere identificato come
Benedetto Portinari, uno dei figli di Tommaso. Warburg lo
riconosce come tale grazie al santo protettore presente nel
dittico. Sul retro del quadro Benedetto fece porre il proprio
emblema: un tronco di quercia da cui germogliano rami
nuovi, con il motto “De Bono in Melius”.
Anche i Baroncelli, coppia fiorentina a Bruges, si fecero ritrarre. Pierantonio Bandini Baroncelli divenne direttore della
filiale dei Medici dopo il ritiro di Tommaso Portinari.
Fra gli Eletti del “Giudizio finale” si nota accanto alla testa di moro un uomo dai tratti di Pierantonio, ancora in giovane
età. All'epoca di questa tavola i Portinari e i Pazzi erano ancora in ottimi rapporti.
Nel trittico di Danzica si raccolgono i membri della colonia fiorentina come ignudi peccatori, i quali in occasione delle
nozze di Carlo il Temerario con
Margherita di York si erano
pavoneggiati in preziose vesti di seta
rossa.
Come si spiega questa comprensione
della particolare caratteristicità
fisionomica dei dipinti nordici di
devozione da parte degli Italiani?
(ispiratori e mediatori del lusso). Non
fu soltanto il loro raffinatissimo senso
estetico per la forma, ma c'è anche da
ricordare che furono proprio i
fiorentini a coltivare ancora il
costume pagano delle figure votive in
cera → i committenti fiorentini
esigevano una somiglianza evidente.
Così anche i fiorentini a Bruges,
inserendo un proprio ritratto nel
“Giudizio finale” seguivano impulsi
analoghi di chi commissionava statue
di cera. Lo stile fiammingo offriva,
con la sua intima devozione e fedeltà naturalistica, l'ideale del ritratto del donatore. Contemporaneamente, le persone
rappresentate iniziano a staccarsi dallo sfondo sacro di chiesa come creature individuabili. Dalla mimica dell'orante,
mossa da sentimenti religiosi, si libera la fisionomia di un consapevole osservatore di se stesso.
In Memling il senso della autonoma personalità sembra appena sfiorare i personaggi, ma in van der Goes Tommaso
rivolge lo sguardo chiaramente ed obiettivamente alla realtà, tant'è che il gesto delle sue mani congiunte sembra stonare
con la tensione interiore del personaggio. →
capacità di osservazione acuta e penetrante, forza
fondamentale della visione del mondo dei
ritrattisti fiamminghi.
I tre pastori stupefatti di van der Goes sono il
modello diretto dei tre pastori italiani che
Domenico Ghirlandaio dipinse nel 1485 per la
cappella Sassetti. Il realismo nordico seppe
riprodurre con convincente efficacia il reale e
l'individuale, ma nelle figure di questi tre uomini
veniva anche personificata quella candida
innocenza dell'osservare, nella quale i pittori
fiamminghi erano nettamente superiori agli
Italiani.
Hans van der Goes – Trittico Portinari, tavola centrale (1475 ca)
Questo particolare carattere che si diffonde nei dipinti inviati da Bruges dai
rappresentanti di casa Medici, è destinato ad influire sulla pittura italiana.
7) Scambi di civiltà artistica fra nord e sud nel secolo XV (1905).
Analisi dell'opera calcografica di Baccio Baldini → evidenzia sintomi di un'epoca critica di transizione nello stile della
prima arte profana fiorentina.
Fino all'inizio del 1900 si era ritenuto che fossero le incisioni italiane ad aver influenzato le incisioni planetarie
tedesche, ma Warburg mostra che non è così.
Analogo discorso va fatto per la “lotta per i pantaloni” anteriore al 1464 del cosiddetto Baccio Baldini e l'incisione del
Maestro delle Banderuole: questi non ha imitato il maestro fiorentino, ma entrambi si sono ispirati ad un modello
nordico non più esistente.
Gli arazzi e le tele fiamminghe hanno contribuito alla diffusione del ciclo profano, così come gli utensili borgognoni
hanno inserito nelle collezioni private fiorentine i tipi del ciclo figurativo comico del Nord.
Anche i “piatti Otto” di Baccio Baldini erano legati alla vita amorosa cortigiana e cavalleresca dei fiorentini in quanto
dono d'amore.
Nell'incisione a alto è notevole la bizzarra combinazione del rigido costume alla moda, barocco, del giovane con il
mosso costume ideale della ninfa, con acconciatura borgognona ed ali di medusa anticheggianti. In questo mutamento
di costumi abbiamo l'inizio di quella reazione contro quel realismo dei costumi alla “franzese” che tentava di sopraffare
motivi classici ed italiani.
Tuttavia in queste stampe fiorentine, innegabilmente dipendenti da modelli classici, nulla ancora si sente di quello
slancio patetico schiettamente antico, tipico di Sandro Botticelli.
8) Delle “Im