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Estratto del documento

Peloponneso:

- Guerra decennale (431-421)

- Tregua trentennale (non rispettata)

- Ripresa della guerra con la spedizione in Sicilia (415-413)

- Guerra deceleica (413-404)

Il nome dell’ultima fase della guerra si deve all’azione imprevista degli Spartani, che conquistarono la

fortezza di Decelea, in Attica. In tutta la Grecia, ma in particolare in Attica, c’erano molti castelli (come

quelli medioevali), il cui uso è ancora oggi oggetto di discussione. Alcuni pensano che servissero in caso di

guerra come rifugio per la popolazione; altri pensano che servissero ad offendere: guarnigioni residenti

all’occorrenza uscivano e combattevano. Occupando Decelea, gli Spartani ottennero uno straordinario

vantaggio strategico. Infatti, conquistatala, gli Spartani vi rimasero e attaccarono continuamente, rendendo

impossibile l’agricoltura e la vita in genere. Atene, con la sconfitta in Sicilia, aveva perso molti alleati,

sebbene ancora fosse a capo della lega di Delo. Quando fu costituita la lega delo-attica (478-77), alcune

città che vi erano entrate, tentarono quasi subito di uscirne, perché dopo l’assassinio di Serse capirono che i

Persiani non sarebbero tornati, dunque la lega era inutile. Alcune città (es. Mitilene) alleate notarono anche

che la lega era capitanata da Atene, perciò tentarono di uscirne, ma furono costrette a rimanere a forza

nella lega. Dopo la catastrofe della Sicilia, molte città alleate uscirono dalla lega, sapendo che gli Ateniesi

non avrebbero più potuto forzarle a rimanere. Ad Atene rimasero fedeli solo poche città, tra cui Samo,

importante per la sua potente flotta. Nell’ultima fase della guerra accade un’altra cosa: i Persiani (che

prima d’ora non avevano tentato alcun attacco, sapendo che sarebbero stati sconfitti dalla lega), vedendo

che gli Ateniesi stavano perdendo la guerra e che la lega era in disfacimento, approfittarono del momento

critico e iniziarono a finanziare gli Spartani affinché completassero la vittoria, sapendo che Sparta non era

interessata al controllo del mare, ma del Peloponneso. L’ultimo periodo della guerra si combatté vicino le

coste dell’Asia minore e, alla fine, gli Ateniesi, nel 406 a.C., malgrado la situazione drammatica, riportarono

una grande vittoria navale contro la flotta peloponnesiaca finanziata dai Persiani: la vittoria delle Arginuse.

Qui avvenne la seconda svolta imprevista del conflitto (la prima era stata l’eclisse di Luna): alla fine della

battaglia delle Arginuse (durata un giorno, da mane a sera), nel pomeriggio, cala l’oscurità e si alza una

violentissima tempesta, al punto che gli Ateniesi, per salvare le proprie navi, decisero di allontanarsi e di

ritirarsi a Mitilene, senza salvare i naufraghi. Alla battaglia delle Arginuse parteciparono otto strateghi su

dieci; due di essi, dopo la battaglia, non tornarono ad Atene, mentre gli altri furono chiamati a spiegare il

motivo per cui non avessero raccolto i naufraghi. Tra di loro vi erano importanti personaggi militari e

politici: Trasillo, Erasinide, Pericle il giovane (figlio di Pericle), etc. Essi provarono a discolparsi, ma alla fine

si decise che dovessero essere giudicati dal popolo, che nel frattempo era stato persuaso ad andare contro

di loro. L’esito dell’ecclesia fu la condanna a morte. In realtà, gli strateghi non avevano abbandonato del

tutto i naufraghi, ma avevano assegnato ad alcuni subordinati il compito di salvarli. Gli Ateniesi, con questa

condanna a morte, si privarono degli ultimi ammiragli capaci. Ne vennero nominati di nuovi, nel 405 a.C.,

ma non erano all’altezza dei precedenti. Essi ritornarono in Asia minore per combattere gli Spartani.

Alcibiade rispettava estremamente Lisandro, uno stratega spartano, che alla fine uccise tutti gli Ateniesi:

Atene era completamente sconfitta. Lisandro marciò su Atene, ma si fermò a Samo. Una parte delle sue

navi bloccarono il Pireo: le scorte alimentari ad Atene finiscono; Senofonte racconta che dopo qualche

mese si verificarono casi di cannibalismo. Le condizioni di resa imposte ad Atene furono durissime: doveva

rinunciare alla lega, che fu sciolta del tutto; doveva abbattere le mura (sia del Pireo sia della città); poteva

conservare solo pochissime navi da guerra; imposizione del regime oligarchico: i Trenta Tiranni, regime

presentato da Lisandro come una democrazia moderata; richiamo in patria di tutti gli esiliati.

Tucidide. Protagonista della prima fase della guerra e testimone di tutto ciò che avvenne dopo. Condannato

ad un esilio da venti anni, ragion per cui seguì la guerra da territori non appartenenti alla lega delio-attica.

Non sappiamo dove Tucidide visse negli anni dell’esilio, ma sicuramente fu in territorio spartano, forse in

Tracia o nel Peloponneso. Egli racconta che sin da subito iniziò ad annotare i fatti che avvenivano, perché si

rese conto che sarebbe stata la guerra più importante di tutti i tempi. Il quinto libro di Tucidide parla degli

avvenimenti intercorsi tra la tregua trentennale e la spedizione in Sicilia: esso è meno accurato degli altri,

forse per la scarsità delle documentazioni. Noi abbiamo anche un secondo proemio, posto verso la metà

dell’opera. La teoria più accreditata relativamente alla composizione dell’opera è questa: Tucidide prese

appunti sin dall’inizio di ciò che avveniva; arrivati alla guerra trentennale, lui, come tutti, era convinto che la

guerra fosse finita. Quando nel 415 si decise la spedizione in Sicilia, Tucidide capì che sarebbe riiniziata la

guerra e che quella iniziativa non era una guerra separata contro Siracusa, ma era funzionale al conflitto

contro Sparta. Quindi riprese a scrivere, ad annotare gli avvenimenti, comprendendo, però, che anche il

periodo relativo alla tregua andava raccontato. Sennonché, per tale periodo, aveva pochi appunti; per

questo il libro relativo al periodo 421-415 a.C. è meno accurato degli altri. L’opera di Tucidide non arriva

fino al 404 a.C., perché si interrompe prima. L’opera è incompleta, ma non mutila. C’è questa interruzione

perché passava del tempo tra quando annotava e quando pubblicava. La sua ultima pubblicazione arrivò

fino al 411 a.C., dopodiché non pubblicò altro. Dal 411 al 404 Tucidide, oltre a prendere appunti, iniziò a

scrivere una bozza della parte successiva dell’opera. Secondo una tradizione antica, dopo la morte di

Tucidide la figlia avrebbe preso i suoi appunti e li avrebbe consegnati ad un altro storico, Senofonte, il quale

li avrebbe trascritti e pubblicati. Questi appunti sarebbero l’opera di Senofonte intitolata “Elleniche”, i cui

primi due libri trattano dal 411 al 404 a.C. Questi sarebbero la bozza, probabilmente già abbastanza

pubblicabile, di Tucidide. Questa non è una congettura, perché leggendo l’opera di Senofonte ci si rende

conto che arrivati al terzo capitolo del terzo libro cambia lo stile. Sappiamo con certezza che Tucidide visse

almeno fino al 396 a.C. L’ultimo libro della sua opera, l’ottavo, che s’interrompe col colpo di stato (411

a.C.), è particolarmente ricco d’informazioni segrete, come se avesse partecipato alle assemblee e, dunque,

come se fosse ad Atene. Sorge però un problema: Tucidide fu esiliato nel 424 a.C. per venti anni, perciò nel

411 a.C. non poteva essere in Atene; sarebbe dovuto esserci nel 404. Tucidide, però, dice sì che gli

toccarono venti anni di esilio, ma non dice di averli scontati tutti. In effetti, sappiamo che dopo la disastrosa

spedizione in Sicilia, ci furono dei richiami di esuli perché servivano per combattere, dato lo stato di

emergenza in cui si trovava Atene. Fino all’età ellenistica (III a.C.), le opere degli scrittori Greci non avevano

un titolo preciso. Per questo, di Erodoto si legge, ad esempio: «Questa è l’esposizione della ricerca di

Erodoto di Alicarnasso». Non si davano i titoli perché non c’era la forma del libro di oggi.

Lettura. L’opera di Tucidide oggi è convenzionalmente chiamata “Le Storie” o “La Guerra del Peloponneso”.

Nell’Antichità veniva indicata semplicemente come “historiai”. Nel proemio, Tucidide usa un linguaggio

tipico della medicina greca. Questo perché a Mileto, ai tempi di Ecateo, insieme alla storiografia, nacque la

medicina scientifica, una medicina che studia la fisiologia umana non empiricamente (sulla base

dell’esperienze), ma che spiega le cause (il perché) delle malattie. Il presupposto della medicina era la

razionalità del mondo, come pure il presupposto della storiografia e della filosofia era la razionalità del

kosmos. Se il mondo fosse irrazionale, non si potrebbe comprendere. Se ogni uomo avesse una fisiologia

diversa, sarebbe impossibile curare le malattie. Bisogna presupporre che il corpo di tutti gli uomini

obbedisca alle stesse leggi razionali e che queste siano scopribili. Tucidide è convinto che anche lo studio

degli avvenimenti umani debba fondarsi sulla razionalità. Egli, infatti, dice di aver composto la sua opera – a

differenza di Erodoto, che scrisse per non far dimenticare le gesta grandi e meravigliose compiute dai Greci

e dai barbari – per far sì che in futuro, se si dovessero riverificare simili o identiche vicende, si sappia cosa

fare, come regolarsi: lo studio della storia serve per tirar fuori le leggi che regolano il comportamento degli

uomini, sicché, conosciutele, si sappia cosa fare. Una cosa simile sarà detta anche da Diodoro Siculo: la

storia serve per conoscere le cose senza provare dolore perché, vedendo gli errori degli altri, s’impara come

comportarsi correttamente. Uno storico contemporaneo non potrebbe mai dire che in futuro si

verificheranno eventi simili, perché il contesto cambia: non esistono delle leggi immutabili nella storia. Per

Tucidide, la storia è mossa da leggi razionali immutabili (proprio per questo in futuro pensa che si possano

ripetere avvenimenti simili o identici ad altri già passati), come quelle della medicina, per questo usa

termini del vocabolario medico. Nel libro primo delle Storie di Tucidide, tra il primo paragrafo e il 21 c’è un

lungo passo chiamato “archailogia” da Tucidide, che significa “indagine sul passato”. È la sua storia del

passato, che però prescinde totalmente dal mito: usa documenti archeologici, etc. Per Tucidide, Erodoto

mirava più al diletto dell’orecchio che alla verità, perché trattò di cose molto antiche nel tempo e non

controllabili con precisione. Di conseguenza, altra cosa non più accettata oggi, gli unici avvenimenti

indagabili accuratamente sono quelli contemporanei; infatti narrò di un evento avvenuto nel periodo in cui

visse. Contraddizione: da una parte Tucidide dice di riprodurre il nocciolo delle

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SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-ANT/02 Storia greca

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher truceboyz.most.wanted di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storiografia greca e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Roma Tor Vergata o del prof Costa Virgilio.