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SENTIERI DELL'IMMAGINARIO – DALLA CASA ALLA SCENA, ATTRAVERSO IL BOSCO
Di un aspetto non si è ancora trattato : il tempo, tempo delle prove e dell'incontro, dello studio del
luogo e delle sue dinamiche, che è apparso invece essenziale nell'evocazione poetica delle città di
Bausch. L'esperienza di Sieni mostra, come le diverse sfaccettature del rapporto spazio-danza si
compongano all'interno di un percorso artistico coerente, che comprende: dimensione laboratoriale
e pedagogica, dimensione drammaturgica, dimensione scenica e dimensione relazionale. Dal 1992
al 1997, Virgilio Sieni, con l'apertura del ciclo coreografico sulla fiaba, esplora invece spazi adibiti
ad altri usi, che così diventano sede di rappresentazione, luoghi di passaggio di brevi rituali teatrali.
Dal 1999 ritorna al palcoscenico e, nel 2007, affianca all'attività della compagnia quella dell'
Accademia del gesto, una scuola che si articola su progetti pedagogici e performativi sia a Firenze,
sia in altre città. La costruzione di un primo spazio-ambiente inizia con lo spettacolo Anatomie, in
cui una casa di carta ospita uno spettatore alla volta, che assieme ad una performance di pochi
minuti. La percezione dei confini fisici, dei suoni e degli odori della casa si arricchisce di un senso
soggettivo della durata che affonda nella memoria del singolo spettatore, richiamando un
immaginario cui chiunque può associare un proprio personalissimo significato. Come nota, Gaston
Bachelard: “la casa nella vita dell'uomo, travalica le contingenze, moltiplica i suoi suggerimenti di
continuità: se mancasse l'uomo sarebbe disperso.”
Sfruttando il rapporto di buio e luce il coreografo orienta l'attenzione sulle azioni e riduce la
percezione soggettiva del sentiero calcato. In L'entrare nella porta senza nome (2000) di Sieni, allo
spettatore non è dato entrare nella casa di pietra che, all'ingresso di una danzatrice, si colora di toni
rossastri, mentre un lamento allude ad una trasformazione dolorosa che accade al suo interno. In
Fulgor (2000) avviene un passaggio dal boschetto, non alla luce, ma al pallore della stanza della
malattia. In Mi difenderò (2005) una danzatrice sposta una pianta da un posto all'altro di un palco
spoglio. L'insistenza sui paesaggi bianchi che a più riprese compare nella sua produzione teatrale
indica il punto di arrivo di un cammino passato per gli ambiente boschivi e per la casa, come luoghi
di smarrimento e di ritrovo. Con la sua danza Sieni crea lo spazio vuoto e lo rende tangibile
attraverso il dinamismo percettivo e l'apparizione di immagini e gesti della memoria.
Il palcoscenico rappresenta un'altra fase della sperimentazione in relazione alle peculiarità
architettoniche, alle abitudini percettive e alla rappresentatività culturale di questo luogo. Sieni
agisce su due piani: strettamente drammaturgico, per la costruzione delle opere, e propriamente
scenico, per quanto riguarda la relazione con la sala.
Rispetto al percorso coreografico, quello pedagogico e performativo dell'Accademia del gesto è
parallelo e complementare. Anche l'Accademia del gesto è caratterizzata da un nomadismo
intrinseco, dal continuo riadattamento alla fisionomia e alla cultura del territorio, cui si aggiunge ora
l'incontro con la gente che lo abita. Le persone che partecipano attivamente sono talvolta
selezionate per audizione o segnalate dalle scuole di danza del territorio, per quanto riguarda
bambini e giovani; talaltra sono ricercate nelle associazioni e nei circoli locali, soprattutto in merito
a uomini e donne della terza età. Da parte loro, i partecipanti accettano di mettersi alla prova per le
motivazioni più diverse. Non sempre gli incontri si traducono in esibizioni dal vivo. Possono essere
destinati alla realizzazione di installazioni video e di manifesti. Quando le performance sono
itineranti, il coreografo svolge prima dei sopralluoghi; successivamente, attraverso una serie di
schizzi, foto e filmati, concepisce un percorso autonomo dai flussi turistici ed economici.
Ogni tappa rappresenta l'episodio di una tratta simbolica: vista dall'alto, la mappa poetica di
Marsiglia (2010) sembra riprodurre il disegno di uno scheletro umano.
La cartografia di eventi che prende forma nei diversi territori trasporta, quindi, la memoria nel
presente, in un andirivieni tra profondità individuale e condivisione collettiva: le performance, le
prove, gli incontri e la trasmissione confondono il confine tra immaginario e realtà.
LA CORNICE TEATRALE
Quando nel Rinascimento nascono i primi teatri all'italiana, la scena si costituisce come
un'oggettivazione del mondo, che appare così riprodotto in piccolo. La compattezza del quadro e la
rigidità della cornice suggeriscono una proiezione autonoma e indipendente della realtà.
Cunningham frammenta questa visione, rifiutando la focalizzazione centrale conforme alla
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prospettiva dei teatri all'italiana e perciò avviando un percorso irreversibile per la danza
contemporanea. Il luogo che si associa a questa forma di rappresentazione è di conseguenza diverso,
se pensato da addetti e da non addetti ai lavori: per i primi, il teatro all'italiana è poco adatto rispetto
a spazi che consentono una maggiore prossimità con il pubblico; per gli altri, il luogo della danza è
inequivocabilmente l'edificio teatrale. Al teatro tradizionale appartengono edifici diversi per
dimensioni e forma e anche per la disposizione del pubblico. Ci sono inoltre “Teatri” e “teatri”, in
base alla posizione e rappresentatività che gli edifici ricoprono nella città, alle stagioni che ospitano
e al pubblico che li frequenta. Sede esclusiva per la presentazione di opere cui si riconosce un
valore artistico, il palcoscenico è stato storicamente usato anche a scopo politico, giocando sulle
aspettative del pubblico. Non è il luogo in sé a definire il tipo di ricerca ma, conta principalmente
l'uso che gli artisti fanno dello spazio.
Peter Brook, afferma che la cosa importante non è lo spazio in senso teorico, ma lo spazio in quanto
strumento.
Lucinda Childs, in Dance il movimento segue degli schemi geometrici che rispecchiano le
composizioni modulari di Philip Glass e si sviluppa in cerchi e diagonali. Disposizioni luminosi,
video ed elettronici partecipano della trasformazione della scena anche nel corso dello spettacolo.
Tra i giovani coreografi, il giapponese Hiroaki Umeda ha esplorato in diverse opere il rapporto
corpo-scena, attraverso la luce e la proiezione di video. In Duo (2004) lo vediamo percorrere una
linea luminosa, mentre la sua immagine è ripresa in tempo reale da una videocamera e proiettata su
uno schermo attiguo, dove appare distorta e ingrandita. La partecipazione della scena allo sviluppo
narrativo si nota ritornando, ad un esempio storico e, cioè, alla coreografia emblematica di Pina
Bausch, di cui ricordiamo il capolavoro del 1978 Cafè Muller. In uno spazio ingombro di sedie, le
due interpreti avanzano ad occhi chiusi, come sonnambule cui un uomo man mano libera il
cammino: spostate frettolosamente, allontanate e lasciate cadere bruscamente, le sedie ritmano il
respiro sussultorio dello spettatore. La scenografia partecipa dunque della drammaturgia dell'opera,
sia essa astratta o narrativa. A seconda della poetica dell'artista, essa amplifica, la riflessività
dell'opera e la sua efficacia comunicativa ed emotiva.
LA SCENA MOBILE DEL POSTMODERNO
La collaborazione tra Trisha Brown e Robert Rauschenberg è tra le più significative della scena
post moderna, non solo per i risultati estetici raggiunti ma per il processo di lavoro dei due artisti.
Brown non cede all'illusionismo tipico della scatola scenica, ma concepisce comunque il palco
come una struttura aperta. Madrina delle sperimentazioni urbane, la coreografa mostra la
consapevolezza del proprio percorso nel momento in cui si relaziona a teatro, cui si avvicina dopo
quasi vent'anni di attività in chiese, strade, musei, parchi e altri spazi non ortodossi. Nel 1979, crea
la prima coreografia per il palcoscenico, Glacial Decoy, e nel giro di pochi anni arriva Set and reset
(1983). In parte, la svolta della post modern dance aveva implicato la sfumatura dei confini tra le
arti, cui non era seguito alcun riconoscimento istituzionale. L'entrata nel tempio della danza teatrale
non consente l'ambiguità delle performance giovanili e impone il ritorno ad una concezione più
facilmente condivisibile di danza. E dunque ai margini dello spazio del teatro che si colloca la
ricerca di Brown degli anni Ottanta. Anche rispetto al pubblico, l'artista ammette la necessità di
riadattare le proprie modalità creative. Riflettendo sulle aspettative degli spettatori dei grandi teatri,
rinuncia al silenzio, ai pantaloni e alle magliette bianche e a movimenti semplici. Collabora, inoltre,
con musicisti e artisti visivi. La coreografa riprende la visione cunninghamiana, cerca quindi di
sfruttare, anche a livello percettivo, la tridimensionalità del palco.
Da Rouschemberg, amico di lunga data e già scenografo di Cunningham, giunge l'idea del titolo del
primo lavoro per il palcoscenico, che sembra riassumere la poetica di Brown ed esplicitare un
comune terreno di incontro. Nella coreografia di Glacial Decoy intravede un' idea pittorica, al
tempo stesso cinetica e intellettuale, cui risponde con scene mobili in linea con la medesima
concezione dello spazio. Sceglie di disegnare qualcosa di leggero, di facilmente trasportabile e che
possa essere allestito velocemente. Fa circa tremila fotografie in bianco e nero di soggetti rurali
della Florida, e da queste seleziona 620 diapositive che, nel corso dello spettacolo, sono proiettate
su quattro schermi attigui. Gli elementi ritratti, variano da insegne, pezzi di moto o auto, a bestiame.
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Il passaggio continuo da una fotografia all'altra e il movimento stesso delle immagini, dà un
impressione di sospensione tra squarci di una realtà ordinaria cui lo spettatore non ha il tempo di
abituarsi. Per il debutto, Rauschenberg crea nella versione definitiva: una lunga tunica trasparente a
forma di A, che si allarga verso il basso, con attaccatura intorno al collo e pieghe verticali che
scendono fino alle cavigliere, mentre piccoli manicotti della stessa forma sono fissati alle braccia.
Il tessuto sintetico si piega in linee angolari, restituendo un' impressione architettonica dei corpi in
movimento. All'apertura del sipario le immagini sul fondo dominano la scena, prima che una
danzatrice compaia. Intanto, le immagini continuano a scorrere e dal lato opposto del palco, emerge
per un breve momento un' altra danzatrice. In seguito la coreografia conquista il centro del palco,
estendendo a tutto lo spazio il gioco di comparsa e scomparsa dell'apertura, riproposto man mano