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Nel teatro romano, la musica e la danza giocavano un ruolo forse addirittura prevalente: sia le
tragedie che le commedie si articolavano infatti in diverbia e cantica, questi ultimi erano eseguiti da
un cantore, mentre l'attore eseguiva una danza mimica.
Quando furono istituiti i ludi scaenici, intorno al 240, con l'avvento di Livio Andronico, il teatro
romano consisteva essenzialmente di danze e di farse di origine osca o etrusca; dai tempi di Livio
all'agonia della repubblica, alle rappresentazioni di tragedie e commedie, si affiancano le atellane e
più tardi i mimi.
Mimi e giullari del Medioevo
L'istituzione teatrale dell'antichità viene travolta dal crollo dell'impero romano, e scompare. Molto
più a lungo si perpetuò invece l'attività teatrale nell'impero d'Oriente. A Bisanzio assieme alla gare
sportive, avevano luogo brevi rappresentazioni mimiche. In queste rappresentazioni pare che
l'azione mimica fosse separata dalla recitazione: il testo veniva declamato da un cantore, mentre gli
attori si limitavano a compiere azioni mute che lo illustravano. Su questa formula si basava la
pantomima romana dell'età imperiale.
L'idea di rappresentazione non si basa più su un testo strutturato in forma drammatica, composto
cioè di sole battute dialogiche, ma su una narrazione nella quale si inscrivono parti recitate.
La storia dei giullari e degli attori in genere, è per tutto il medioevo, la storia della loro condanna.
Già la società romana aveva assegnato agli attori uno status sociale degradato, ma i padri della
chiesa inaugurarono la lunga lotto che la chiesa condurrà per secolo contro il teatro. Il significato di
questa lotta si comprende, all'origine, tenendo presente la rivoluzione culturale attuata dal
cristianesimo primitivo con il rifiuto in blocco della cultura classica, di cui il teatro era l'espressione
più mondana e diabolica e per questo fu oggetto di molte condanne. Il motivo di queste condanne
non è generico, ma spesso ha riferimenti assai specifici, tanto che queste condanne sono diventate la
fonte migliore per la conoscenza dell'attività giullaresca.
In quanto infinite volte ripetute le condanne ecclesiastiche provano da una parte la loro inefficacia,
ma dall'altra anche la vastità del fenomeno. Si racconta che nelle grandi feste signorili, i giullari
convergessero addirittura a centinaia, ciascuno per esibire il proprio particolare talento.
Che i giullari fossero parte della vita quotidiana ci è testimoniato anche dalla frequenza con la quale
venivano rappresentati nelle arti figurative: nei codici miniati, nei capitelli scolpiti delle chiese,
dove assumono forme demoniche.
Le condanne si basavano su tre contestazioni principali: il giullare è gyrovagus, turpis e vanus. Il
primo termine non si riferisce soltanto al fatto di essere vagabondo, ma anche al porsi al di fuori
dell'organizzazione sociale. I giullari non hanno uno status come non hanno una casa, la loro
collocazione è caratterizzata dall'ambiguità: sono vicini ai potenti nelle corti ma non sono uomini
potenti. Forse anche per sfuggire a questa condanna, a partire dal XII secolo, essi cercarono una
difesa unendosi in corporazioni come il famoso Puy d'Arras.
Il giullare è poi “vano” perché la sue pretesa d'arte è vuota di contenuto tecnico.
Infine il giullare è turpis. E non è questo un termine spregiativo, ma significa proprio che il giullare,
o il mimo, è colui che stravolge l'immagine naturale. Ed è questa la condanna ideologicamente più
grave.
Il dramma liturgico
La chiesa contrapponeva allo spettacolo mondano quello spirituale e purificatore del rito. Il rito
cattolico è ricco di elementi spettacolari e talvolta assume dei significati drammatici.
Il dramma liturgico fu in realtà un melodramma almeno fino alle manifestazioni più recenti. Quindi
anche i movimenti e le azioni avranno subito il rallentamento che in generale il canto impone, così
come nel gestire, condizionato anche dalla qualificazione liturgica, sarà stato amplificato e
interrotto.
Misteri e sacre rappresentazioni
Gli spettacoli che venivano organizzati in occasioni eccezionali e di carattere festivo, e che
vedevano pagate le ingentissime spese di allestimento dalla municipalità, dai cittadini più ricchi,
prendono il nome di “misteri”.
Si svilupparono maggiormente sul territorio francese.
Un esempio di questa forma spettacolare lo troviamo nel Jeu d'Adam: in esso non vi è una chiara
determinazione dei rapporti spaziali tra i vari luoghi, ma compare un nuovo elemento che diventerà
fondamentale nella struttura dei grandi misteri francesi dei secoli XIV, XV e XVI: la
rappresentazione globale dell'universo, ovvero della terra, paradiso e inferno.
In quanto organizzati prevalentemente da laici, i misteri si possono considerare come la
drammatizzazione delle sacre scritture e della vita dei santi.
Nei grandi misteri suddivisi in più giornate i vari “luoghi deputati” potevano cambiare significato,
disposizione e struttura, ma l'inferno e il paradiso rimanevano fissi e inalterati.
La struttura simultanea della scena consiste nella contrapposizione di piccoli elementi scenografici,
che rappresentano i luoghi in cui si deve svolgere l'azione. Tali luoghi possono essere vicini o
lontani tra loro, senza che questo incida sulla effettiva distanza alla quale sono collocati. Ciò perché
lo spazio scenico non rappresenta lo spazio entro il quale sono racchiusi i diversi luoghi considerati,
ma il mondo nella sua totalità. Tuttavia gli intervalli tra un luogo e un altro rappresentano le
distanze effettive che una grossolana geografia immaginava separassero i luoghi. Quindi assistiamo
ad un continuo mutare del rapporto tra il tempo reale quello scenico. Il tempo e lo spazio hanno solo
una realtà empirica e quindi non hanno bisogno di un modulo rappresentativo costante.
Tutti gli attori rimanevano costantemente sulla scena almeno fino a quando la loro parte non fosse
conclusa e per quanto rimanessero seduti e immobili davano una ricchezza di colori alla scena.
Il significato più importante di queste rappresentazioni sta nel loro visualizzare quella storia sacra
che per il cattolico del Medioevo contiene tutto ciò che dobbiamo sapere: la struttura narrativa
continua rende esplicita la coerenza di tutti i singoli momenti del dramma. Inoltre la figurazione dei
misteri presenta un'altra particolarità, consistente in una connessione tra il fatto storico-divino e
quello più effimero umano. La recitazione dei misteri infatti doveva mantenersi quasi costantemente
su un tono umile dove prevaleva una mimica gestita con tutto il corpo.
Il classicismo umanista e il recupero delle antiche forme sceniche
Nel corso dell'Alto Medioevo in determinate giornate del calendario liturgico al rito si aggiunsero
manifestazioni festive che contemplavano un aperto sfogo dell'elemento vitalistico comprendenti
danze e giochi. La chiesa non seppe organizzare questi diversi elementi e preferì riaffermare la
purezza del rito ponendo fine sia alle manifestazioni di intrattenimento sia alle estensioni
drammatiche del rito: il dramma liturgico fu abolito e i misteri allontanati dall'ambito del recinto
sacro.
Nell'ambito della rinascita del mondo antico vennero presi in considerazione i tetri italiani sotto tutti
i punti di vista: letterario, architettonico, scenografico e scenico.
Leon Battista Alberti propone nella sua opera De Re Aedificatoria un teatro che consta di una
gradinata (cavea) conclusa da una loggia aperta anteriormente e chiusa dietro, di un palcoscenico e
di un'area mediana (orchestra), attorno alla quale si organizzano gli altri elementi. L'area mediana è
il centro generatore dell'intero edificio teatrale: le sue proporzioni forniscono i moduli per le
proporzioni degli altri elementi. Essa ha, come nei teatri romani, forma semicircolare, ma le sue
estremità vengono protratte con due linee parallele, tra le quali si dispongono il palco e l'edificio
scenico.
Vi era comunque l'esigenza di ricostruire un teatro antico. Infatti dal 1486 al 1493 e dal 1499 fino
alla morte del duca Ercole, che ne era stato il promotore, si succedettero le rappresentazioni dei
maggiori testi di Plauto e Terenzio.
La struttura scenica rimase la stessa: una serie di piccoli edifici allineati, dipinti in modo da
sembrare case a mattoni, dotati di una porta praticabile e coronati da una merlatura in modo da dare
l'impressione di un castello o di mura. Il pubblico sedeva su gradoni allestiti con minor cura dello
spettacolo. Le commedie classiche costituirono il centro vitale delle feste di corte: la cultura
classica stava diventando elemento integrante della vita aristocratica.
Tra gli atti e dopo la fine della commedia venivano inserite altra brevi azioni spettacolari, gli
intermezzi, per lo più mimati e danzati, nei quali venivano svolti temi leggeri e bucolici. I
personaggi degli intermezzi erano talvolta ragazzi e ragazze impegnati in una piccola festa
campestre, ninfe e pastori, contadini; solo di rado entravano in scena divinità o figure allegoriche
che prevalsero nel secolo successivo. Negli intermezzi era di rigore il ritmo a raffigurare un aereo
mondo da sogno infantile. Probabilmente proprio per la loro maggiore intensità spettacolare gli
intermezzi cominciarono ben presto ad essere gustati più delle commedie, appesantite di solito da
cattive traduzioni.
Il teatro erudito del cinquecento italiano
Le commedie italiane del cinquecento partono dalla struttura di quelle di Plauto e Terenzio: si tratta
in parte di dichiarati rifacimenti, in parte di rielaborazioni puramente tematiche, in cui gli stessi
nomi dei protagonisti dimostrano come l'intenzione sia di costruire un gioco di personaggi le cui
avventure, se pur variabili all'infinito, rimangono sostanzialmente sempre uguali a se stesse. Ma ben
presto, all'interno di quella struttura, i personaggi cominciano a mutare dapprima i loro contrassegni
esteriori, nomi e ruoli, poi anche la loro qualifica personale: i vecchi diventano sopratutto mercanti,
i giovani studenti; e con i personaggi muta l'ambiente, che non è più una città qualsiasi ma un luogo
ben preciso. Anche la tematica subisce un lieve spostamento: alla tipica storia del giovane che con
l'aiuto del servo riesce a conquistare il cuore di una ragazza superando una serie di ostacoli, si
affianca o si sostituisce il tema della beffa, generalmente ai danni di qualche marito geloso, che
trova i suoi precedenti più illustri nella novellistica del Boccaccio. Tale mutamento tematico
coinvolgeva la rinuncia ad importanti elementri strutturali propri della commedia latina, primo tra i
quali il riconoscimento finale che spesso permetteva di individuar