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Il valore, il merito e la qualità stanno nella novità. Nella cultura classica è il contrario. Le qualità

devono collocarsi entro una linea di continuità, come anello di una catena lunghissima. L'originalità

va bene, ma dev'essere solo una variazione sul tema. Racine non inventa Fedra, la rilegge per sfida-

re l'Ippolito di Euripide e la Fedra di Socrate.

Stessa cosa per l'opera tragica di Alfieri. La sua Mirra (1786) riprende le Fedra di Racine, appro-

priandosi anche di alcune battute. Può sembrare un plagio, ma in realtà è una serena accettazione di

far parte della catena della tradizione. Alfieri si sente un grande tragico perché si sente inserito nel-

la catena dei grandi tragici che l'hanno preceduto. Ma ciò non impedisce la sfida. La Mirra è una

variante più temeraria del mito di Fedra: non più l'amore semi-incestuoso della matrigna per il fi-

gliastro, ma l'amore pienamente incestuoso della principessa Mirra per il padre Ciniro, re di Cipro,

attinto dalla Metamorfosi di Ovidio. Nessuno, nella produzione teatrale, ha mai riproposto la storia

di Mirra, ritenuta scabrosa. Alfieri alza la posta in gioco, rendendola ancor più trasgressiva (amore

figlia-padre più grave di matrigna-figliastro). La scommessa è prendere un argomento moralmente

pericoloso creando un testo moralmente accettabile. Il teatro è diverso dalla poesia. Il teatro ha un

pubblico, la poesia un solo interlocutore. Non è la stessa cosa leggere, nell'intimità, dell'amore di

una figlia per il padre o vederlo in scena. La sfida di Alfieri risulta vincente con qualche accorgi-

mento. Toglie la pulsione incestuosa di Ovidio, facendo morire Mirra senza neppur aver baciato il

padre. Si presenta come una vergine dell'incesto, perché nei cinque atti non confessa mai la sua pas-

sione tremenda. Per cinque atti Mirra parla, piange e si dispera, senza spiegare il perché della sua

sofferenza, inspiegabile visto che è alla vigilia delle nozze con un principe scelto da lei. Solo nell'ul-

tima scena dell'ultimo atto Mirra quasi si confessa col padre, ma gli strappa subito il coltello di

mano per suicidarsi, punendosi per quell'amore. Questo gioco di rimandi e allusioni può essere col-

to da uno spettatore raffinato, che conosca bene Ovidio e Racine. È questo il senso della tradizione,

il sentirsi collocato all'interno di un asse ereditario privilegiato, ma anche compiacersi a confrontar-

si con esso. Nella Mirra ci sono passaggi involontariamente comici, come se sotto la forma tragica

di Alfieri premesse una forma comica. Infatti, con la crisi della tragedia e della commedia e la nuo-

va forma del dramma, si perdono le certezze della separazione degli stili, con commedie con accen-

ti tragici e viceversa.

Questo avviene sin dall'inizio in Alfieri. In Antigone (1776-1777) ha la tradizione illustre di Sofocle:

i figli di Edipo (Polinice ed Eteocle) si sono uccisi in battaglia, il primo attaccando la città di Tebe

che era difesa dal secondo. Creonte, cognato di Edipo, governa la città, e dichiara il cadavere di Po-

linice non venga sepolto. La sorella Antigone disobbedisce all'ordine e Creonte la condanna a mor-

te, nonostante il figlio Emone la ami. Alfieri segue fedelmente la traccia ma innesta dei timbri per

farne una cosa nuova. Creonte è un usurpatore, che vuol uccidere Antigone, che è l'unica erede del

re Edipo e quindi sua concorrente, solo per ragioni private. Il Creonte alfierano è un Machiavelli in

miniatura, un simpatico tirannello domestico, un patetico e molto umano fondatore di imperi: lavora

per la prole, per il figlio Emone. Quando scopre che il figlio ama Antigone, comicamente mette da

parte i suoi intenti criminali, perdonando Antigone fino a imparentarsi con lei, a farla regina, come

moglie di suo figlio. Perché uccidere Antigone se sposando il figlio rafforza ugualmente il trono?

Alfieri riprende il modello classico di Sofocle ma immagina un'alternativa (matrimonio invece della

condanna) che mina la base dell'intreccio classico. Basterebbe che Antigone accettasse la proposta

di Emone, per far sì che da tragedia si trasformi in commedia a lieto fine.

La tragedia classica non è solo insidiata dalla vita sociale sempre più borghese. Se la Francia è la

patria del dramma borghese, tedesco è il movimento culturale del Romanticismo, che ha nello

Sturm und Drang (“Tempesta e assalto”, intorno al 1770) la prima espressione di visibilità. Friedri-

ch Schiller (1759-1805) e Wolfgang Goethe (1749-1832) contrappongono al dramma diderotiano

il modello di Shakespeare, libero dalle leggi aristoteliche, mischiando tragico e comico e dando sfo-

go alla passione. Alla piattezza della prosa oppongono i versi e la poesia; al controllo delle passioni

l'esplosione delle passioni; ad una struttura di personaggi corale la supremazia del protagonista as-

soluto; allo spazio del salotto borghese lo spazio aperto.

Sulla stessa linea anche Alessandro Manzoni (1785-1873). Nella Prefazione a Il Conte di Carma-

gnola (1820) indica le conseguenze negative delle unità aristoteliche: una di ordine estetico e una di

ordine morale. Per Manzoni, il teatro è stato contestato dai moralisti del Seicento (come Rousseau)

perché immorale, ma immorali sono le regole di tempo e luogo. Un diverso teatro, libero dalle rego-

le delle unità, può essere decisamente morale. Nella Lettre à Monsieur Chauvet (1823) sottolinea la

predominanza del tema passionale-amoroso nelle tragedie francesi, in quanto l'amore è l'unico senti-

mento che è rappresentabile nelle canoniche dodici o ventiquattro ore. Tutti gli altri sentimenti uma-

ni che richiedono più tempo per svilupparsi, vengono esclusi dalla rappresentazione teatrale. Per

Manzoni la verità è la sorgente della poesia. Sia Carmagnola che l'Adelchi sono tragedie storiche,

ma sono entrambe discorsi sul presente, sull'Italia divisa e il suo sforzo per l'unità.

Il romanticismo francese arriva tardi, con la battaglia di Hernani che è del 1830. Alla prima rappre-

sentazione della tragedia di Victor Hugo (1802-1885), Hernani, si scatenò tra spettatori classicisti e

romantici una piccola guerriglia. Il Romanticismo esporta tensioni morali e estetiche più che tipolo-

gie drammaturgiche. Le tragedie manzoniane e di Hugo non risultano vincenti. In Francia dura solo

una quindicina di anni. Le tragedie manzoniane non sono mai eventi teatrali in Italia. Vince il dram-

ma diderotiano, perché la borghesia ha bisogno del teatro per rappresentare i suoi valori. Comun-

que, anche la drammaturgia romantica è borghese, non nelle ambientazioni ma nei valori e nella ri-

cerca di modernità. Tende a distruggere la rigidità classicista, contribuendo a delineare una strategia

che va nella direzione del realismo e della contemporaneità.

Alla fine anche il Romanticismo francese si piega a questa prospettiva, come dimostra il successo di

Chatterton (1835) del poeta romantico Alfred de Vigny (1797-1863), che si opera anche come met-

21

teur en scène . La vicenda è ambientata a Londra, nel 1770. Chatterton è un giovane poeta povero,

che vive in affitto dal borghese John Bell, della cui moglie, Kitty, Chatterton è innamorato. Ma è un

amore romantico, impossibile per la moralità della donna, anche se contraccambia. Infine il giovane

si avvelena e lei muore di crepacuore. È un affresco sul dissidio tra il poeta e la società capitalistica,

21 Dal francese, colui che mette in scena, corrisponde al nostro regista.

ma anche un primo testo sulla condizione borghese e sulle sue contraddizioni della vita familiare di

coppia.

Sull'intrecciare sentimenti e barriere sociali procede Alexandre Dumas (1824-1895), figlio omoni-

mo di Dumas padre. Nel 1852 rappresenta un suo romanzo con La signora delle Camelie. Una pro-

stituta di lusso, Marguerite Gautier, che frequenta ambienti altoborghesi, entra in contatto con un

giovane di buona famiglia, Armand Duval, che rischia di rovinarsi per lei. Il padre convince la don-

na a rompere la relazione, venendo per questo umiliata pubblicamente da Armand. Alla fine Mar-

guerite muore di tisi, ma il padre porta Armand sul letto di morte, il quale le promette che sposerà

una donna buona e onesta. Evidenti sono le venature romantiche e melodrammatiche (amore impos-

sibile, il buon giovane e la prostituta) e il quadro sociale e di costume dell'epoca (la mondanità, il

conservatorismo del padre). Lo spettacolo ebbe un successo enorme e Verdi la tradusse in musica

nel suo melodramma La traviata (1853). Sarà il cavallo di battaglia delle grandi attrici, come Eleo-

nora Duse.

Il trionfo dell'opera di Dumas dimostra che il cuore della borghesia batte verso temi della vita quoti-

diana, come l'adulterio, la famiglia, la questione femminile. A Parigi, negli anni '30 e '40, il genere

dominante è il vaudeville, un prodotto industriale di serie, fatto a più mani, con una drammaturgia

gracile, dove parti dialogate si alternano a canzonette. Col tempo scompaiono le parti cantate, ma

resta comunque un teatro leggero, con situazioni piccanti, a base di sesso, a lieto fine. Sarà il punto

di partenza per i più popolari autori francesi dell'Ottocento (Scribe, Labiche, Sardou, Feydeau).

Sembra che Scribe, alla battaglia di Hernani, si mise a ridere, in quanto la cosa non lo toccava, lui

che faceva teatro solo per far divertire la gente, il cosiddetto teatro gastronomico, come lo definì

polemicamente Brecht, cioè per digerire la cena. Comunque sia, sono i dominatori della scena pari-

gina, quindi d'Europa, dagli anni '20 (Scribe) fino a cavallo dei due secoli (Feydeau). Sono autori

che trionfano con quella che si chiama la pièce bien faite (“l'opera ben fatta”), che intreccia, in un

ritmo sempre teso, intrighi complicati e storie di adulteri.

Caso a parte il tedesco Georg Büchner (1813-1837), perseguitato politico morto giovane, con una

ridotta drammaturgia, successivamente riconosciuta di alto valore, soprattutto Woyzeck, composto

tra 1836 e 1837 e rimasto incompiuto, pubblicato solo nel 1879, in epoca naturalista. Fu un testo

profetico, in quanto anticipa le più aspre cadenze del Naturalismo, dove le pulsioni istintuali si me-

scolano con le violenze di classe. Woyzeck è un soldato semplice, umiliato e tradito dalla moglie.

Alla fine, semifolle, uccide la donna. Le scene che si susseguono senza divisione in atti anticipano il

teatro Espressionista di Brecht. Büchner, autore di epoca romantica che anticipa il Naturalismo,

conferma la teoria che il Romanticismo è solo un intermezzo tra la linea di sviluppo, tortuosa, che

va dal dramma diderotiano di metà Settecento fino alla drammaturgia ibseniana di fine Ottocento.

11. Fine Ottoce

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A.A. 2016-2017
56 pagine
2 download
SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-ART/05 Discipline dello spettacolo

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Lele1979 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia del teatro e dello spettacolo e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Pisa o del prof Barsotti Anna.