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Così nel medioevo c’è una fioritura del diritto, delle scuola, delle arti, della cultura; e tra la nobiltà
si diffondono le virtù della cavalleria (galanteria, valore personale). La cavalleria per il Robertson
non è effetto di un capriccio ma sorge dallo stato della società e vi lascia conseguenze importanti e
durevoli. Lo spirito d’iniziativa e il coraggio spinge i cavalieri a prendere le armi in difesa dei
pellegrini oppressi in Palestina e finite le Crociate queste caratteristiche rimangono solo agli
avventurieri.
Il Robertson analizza anche il rinascimento. Nel pieno medioevo si stabiliscono regolari corsi di
studi, si moltiplicano scuole e università e si diffonde la cultura; il tutto grazie al contatto con gli
Arabi.
Altro aspetto analizzato dallo storico è il commercio. Le invasioni barbariche avevano interrotto gli
scambi e diviso le nazioni unite dalla potenza romana. Ora a poco a poco, grazie alle Crociate, al
moto comunale e alla conseguente formazione di una classe mercantile e all’invenzione della
bussola; la rete commerciale si ricostituisce. Il Robertson delinea così un disegno della storia
commerciale d’Europa nel medioevo.
Il Robertson analizza anche gli aspetti politici medievali. L’autorità regia è limitata, la nobiltà
potente, le entrate pubbliche sono scarse e l’esercito è fondato sulla forza della cavalleria e quindi
non è adatto alla conquista. Ciascuno stato vive isolato, incurante dei vicini, impotente a concepire
vasti disegni.
Nel XV secolo una serie di avvenimenti da’ in mano ai principi più forza nel comando dei rispettivi
domini, i conseguenti tentavi di espansione promuovono contatti ed alleanze.
L’ultimo grande momento di preparazione è il consolidamento del potere monarchico in Francia,
in Inghilterra e in Spagna (primeggia la Francia di Carlo VII con la vittoria sugli inglese, l’istituzione
di un esercito permanente, il rafforzamento delle fanterie, la depressione della nobiltà; la Francia
di Luigi XI vede l’affermarsi di una solida monarchia, munita di autorità e mezzi finanziari).
Nel frattempo si intrecciavano relazioni sempre più intense fra le corti, si potenziavano le
monarchie con l’istituzione degli eserciti permanenti, con l’aumento delle tasse per scopi militari.
L’esposizione infine è una storia politico-istituzionale dell’Europa medievale fatta a scomparti non
comunicanti. Vi è una certa incertezza negli scopi e nella composizione dell’ultima parte, una
certa incongruenza fra essa e le prime due.
Una trattazione a parte merita per il Robertson il dominio della Chiesa in Europa e in Italia. Egli
risente la polemica protestante e segna il distacco tra papato del medioevo e il papato del
rinascimento.
L’ambizione della Chiesa era diretta a stabilire un dominio spirituale su tutta l’Europa; poiché la
base era insufficiente alla vastità dell’impresa, si cercò di ampliarla con le false donazioni di
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Costantino, di Carlo Magno o di Pipino, e vi riuscì con le donazioni vere degli avventurieri
normanni e della contessa Matilde. La natura del governo papale però è più fatta per il dominio
spirituale che per quello temporale.
Dopo la Chiesa, Venezia era lo stato italiano di più vaste relazioni con l’Europa. L’importanza di
Venezia stava nella sua potenza marina, commerciale e industriale, che le rendeva tributari tutti i
paesi dell’Europa e le procurava immense ricchezze. Firenze invece presentava una democrazia
pacifica e commerciale. Il Robertson nulla da ridire trova sulla costituzione del Ducato di Milano
perché non rientra nello schema di democrazia, aristocrazia, monarchia e dispotismo.
Il Robertson analizza anche le vicende della Spagna, l’unione della Castiglia e dell’Aragona, l’azione
di Ferdinando il Cattolico per consolidare la potestà regia e il regno di Carlo V. Dopodiché passa
alla Francia. Il suo bersaglio sono i giuristi francesi del XVII e XVIII secolo.
Altro tema trattato sono i Turchi. A differenza delle forme monarchiche e repubblicane degli altri
Stati d’Europa, il governo turco serba il suo carattere asiatico di vero e proprio despotismo.
Dinanzi al sultano tutte le distinzioni sono abolite, tutti i sudditi sono ridotti al medesimo livello, il
sultano è un padrone mentre i sudditi gli schiavi, il primo è destinato a comandare e punire, gli
altri ad obbedire. Da Maometto II a Solimano il Magnifico è tutta una successione di grandi
principi che con saggi provvedimenti civili e militari elevano lo stato ottomano al più alto grado di
perfezione.
Tuttavia il Robertson non parla dell’Inghilterra, non ha mostrato che la costituzione inglese dei
suoi tempi – ammirata da storici e giuristi – differisce quasi totalmente dalla medievale.
In nessun punto della sua “View” ha fatto parola dell’”Essai” di Voltaire, mentre l’”Esprit des Lois”
di Montesquieu è citata ed elogiata più volte. Fatte poche eccezioni, non v’è argomento che non
possa essere ricondotto al Montesquieu (feudalesimo e costituzioni europee, commercio e
tributi); il Robertson può riconoscersi anche nell’”Essai” perché la sua è una visione in un certo
modo laica del medioevo, intesa a scoprire la formazione dell’età moderna. Ma la “View”, opera
strettamente storica, non può essere paragonata per la sua natura all’”Esprit”. Il principale
dissenso dal Voltaire è la religione. La laicità di Voltaire non gli permette di cogliere il significato e
il valore della Chiesa medievale e le lotte fra papato e impero.
La continuità della storia, l’impossibilità di intendere l’età moderna senza il medioevo non era
ormai cosa nuova nella seconda metà del ‘700, la si poteva leggere nel Loscher o nel Leibniz
riguardo alle istituzioni dei loro paesi.
La crisi del medioevo illuministico nella “Decline and Fall” di E.Gibbon
L’opera del Gibbon (“Decline and Fall”) ci offre un’ampia narrazione del medioevo (forse per la
prima volta), isolata dalla storia universale e concentrata su un evento: la decadenza e la rovina
dell’impero romano. Mentre al Robertson si accenna appena, il richiamo al Voltaire è insistente,
visto come modello d’obbligo di tutta la storiografia del tempo. Tuttavia Gibbon condanna
l’”Essai”, critica il fato che il secolo dei lumi ha abolito gli onori del medioevo. 28
L’opera fu pubblicata tra il 1776 e il 1788.
Il disegno del Gibbon era di dividere i tredici secoli in tre periodi: il primo dalla maturità
dell’impero alla caduta dell’impero d’Occidente e ai primi decenni del VI secolo; il secondo da
Giustiniano alla restaurazione di Carlo Magno; il terzo da Carlo Magno fino alla caduta di
Costantinopoli. Appendici indispensabili dell’ultimo periodo erano le Crociate – in quanto
contribuiscono alla rovina dell’impero bizantino – e Roma.
Una serie dinastica o annalistica orientale dei sei secoli e mezzo avrebbe servito di inquadramento
e di riferimento ai capitoli successivi, riguardanti la politica interna, i Pauliciani o Catari, i nemici
dell’impero. Dovevano seguire a questo il nuovo impero greco, Tartari e Turchi, lo scisma
orientale, la restaurazione del sapere in Occidente e la caduta di Costantinopoli.
Al centro di tutta la trattazione il Gibbon ha posto Bisanzio (dopo il 476) ed ha subordinato ad essa
la restaurazione di Carlo Magno. Le relazioni dei papi con i carolingi formano l’importante anello
della storia antica e moderna, civile ed ecclesiastica, rappresenta il periodo compreso fra Carlo
Magno e le Crociate come il conflitto fra i tre grandi imperi bizantino, arabo, franco.
Il vecchio motivo dell’inclinatio romani imperii riviveva in un disegno vago di decadenza e rovina
della romanità. Bisanzio primeggiava e la sua caduta e la trasmissione del sapere in occidente
segnavano la fine di un’età.
Quando il Gibbon scriveva la sua Storia aveva ormai superato da più anni la doppia crisi della
conversione cattolica e della riconversione protestante. Questa crisi ha lasciato una traccia
profonda nella Storia, di cui il problema religioso è uno dei tratti fondamentali.
Ciò che unisce il Gibbon e Voltaire è l’illuminismo settecentesco, ciò che li divide è la differenza di
natura e di formazione, di riflessione e passione di fede. L’uno è cattolico, l’altro è protestante.
Il Gibbon mostra avversione verso l’ebraismo e il popolo eletto. Il Vecchio Testamento è stato
revocato dal Nuovo. Nota negli ebrei la loro antica crudeltà e la moderna avidità di guadagno, e
ne condanna l’incapacità di elevarsi oltre la speranza di un Messia temporale ed umano.
Dinanzi al monoteismo musulmano egli si esalta come il Voltaire, condanna però come
superstizione il culto degli astri professato dagli Arabi prima della riforma di Maometto,
nonostante questo loda le prescrizioni morali dell’Islamismo e contrappone la sua purezza alla
corruzione del Cristianesimo
Il Gibbon è un credente. Esaspera, anziché appianare, il conflitto tra fede e ragione. Della nuova
religione (cristianesimo) si riconoscono i pregi di aver santificato il matrimonio, mitigato la
schiavitù, civilizzato i barbari; ma la purezza primitiva è scomparsa.
La coscienza del credente è messa a dura prova dal problema delle relazioni fra la nuova religione
e la caduta dell’impero. Il Gibbon sostiene che l’introduzione e la corruzione del cristianesimo
abbiano causato la caduta dell’impero romano.
Il papato medievale alimenta la superstizione. La lotta per le investiture libera sì il clero
dall’ingerenza laica, ma instaura nel tempo una nuova tirannide. Gibbon nota le contraddizioni
della Chiesa, tra la dottrina di pace e la brava di potere. La chiesa da vita al Tribunale
dell’Inquisizione, invita Giustiniano a far guerra in Italia, predica la pace ma bandisce le Crociate.
Anche qui il monachesimo è ferocemente attaccato: critica la bassezza dei motivi per la fuga dal
mondo, l’incameramento delle terre e dei beni, gli eccessi dell’ascetismo, la servitù ad ogni
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superstizione. Condanna anche il celibato del clero e dei monaci. Dell’opera cattolica il Gibbon
salva solo la missione di conversione dei pagani del settentrione e dell’oriente europeo. Ma si
rende ben presto conto che si tratta della conversione da un’idolatria all’altra.
Contemporanea alla storia negativa del cattolicesimo si svolge una storia positiva che muove dai
Pauliciani del VII secolo e attraverso gli Albigesi, il pr