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CONVERGENZA

La parola «convergenza» è stata applicata allo sviluppo della tecnologia digitale. Negli

anni Settanta veniva riferita ad altre cose, in particolare al connubio tra computer e

telecomunicazioni. Il seguito il termine «convergenza» è stato applicato anche alle

organizzazione, e particolarmente all’incontro tra industrie dei media e delle

telecomunicazioni. Mentre Boorstin lo usava nel suo significato più generale, ossia la

tendenza di ogni cosa a diventare più simile a ogni altra. Di solito società e culture

diverse che avevano cominciato il loro viaggio separatamente ora si diceva che

viaggiassero insieme, sulla stessa «autostrada dell’informazione». Sembrava probabile

che la tecnologia digitale avrebbe prevalso nella maggior parte dei rami della

comunicazione.

L’abbondanza, la scelta e la crisi

Al centro dei primi dibattiti c’erano tre punti: l’abbondanza, la scelta e la crisi. Si

aggiunse anche la discussione sull’interattività, che era una parola che si applicava a

congegni utilizzati nei musei e nelle aule scolastiche, alla televisione di casa e alle

ampie possibilità dell’acquisto di merci per via elettronica.

1. Abbondanza  parola applicata a prodotti e risorse, ma non ai media elettronici,

tenuti a freno agli inizi della loro storia per la scarsità delle lunghezze d’onda.

Con il progredire delle tecnologie però, ci sarebbe stata una maggiore scelta di

cose da vedere e sentire.

2. Scelta  restavano i dubbi sull’effettiva realtà e sui benefici di quella possibilità

di scelta. Un maggiore numero di canali non avrebbe semplicemente

moltiplicato il medesimo contenuto?

3. Crisi  applicata alle finanze e alle autorità: l’istituzione che nell’adattarsi al

mutamento affrontò i problemi finanziari più gravi fu una delle più vecchie tra

quelle dedite al servizio universale: le poste. nei tardi anni Sessanta si presero

in considerazione alternative elettroniche, come l’email.

Nel settore del broadcasting si discuteva della cornice istituzionale entro cui i

programmi venivano trasmessi o da enti pubblici, costretti ad affrontare nuove forme

di concorrenza, o dai grandi network televisivi (negli Stati Uniti). Il cavo, trattato come

un concorrente, prometteva convenienza, intrattenimento in abbondanza e molti altri

usi degni di nota del tubo catodico. La concorrenza avrebbe dato vita a una nuova età

delle comunicazioni. Era l’epoca del primo governo Thatcher, fautore della

concorrenza, quanto gli Stati Uniti di Reagan. Non si vedeva la necessità di un

finanziamento pubblico. Ma i governi, per quanto fossero orientati alla

deregolamentazione, non se la sentivano di restare fuori dal quadro.

La stampa era in crisi: la salvezza arrivò dai computer. Le condizioni tecnologiche e

culturali erano in continuo mutamento: ne parlavano i giornali e si scrivevano

pamphlet politici e libri. Due furono le raccolte di contributi più importanti:

1. New Perspectives in International Communications, a cura di Jim Richstad  uno

degli autori più importanti era Schramm, con il suo Cross Cultural

Communication: suggestions for the building of bridges, cioè comunicazione fra

culture: proposte per costruire ponti. Ponti che nella storia della comunicazione

erano importanti quanto le autostrade.

2. Communications for Tomorrow  curata da Robinson. Sottolineava di più la

pluralità di tecnologie diverse che la loro convergenza.

Gli aspetti economici dello sviluppo comprendevano il tentativo di assicurarsi il

brevetto per primi: il problema di assicurarsi l’investimento iniziale e quelli per poter

continuare comportava un grande rischio: le bancarotte furono frequenti, più degli

smembramenti. Uno dei più grandi e importanti smembramenti fu quello della AT&T,

nel 1984, che fu la conseguenza della maggior causa antitrust della storia. Prima dello

smembramento, la AT&T controllava i quattro mercati principali della telefonia, tra cui

quello dei dispositivi per la commutazione computerizzata: un mercato ponte che

collegava i media radiotelevisivi ai servizi di telecomunicazioni. Il problema, però, era

che le procedure di regolamentazione non riuscivano più a contenere il potere

dell’organizzazione. Nella metà degli anni Settanta pochi riuscivano a intuire i modi

straordinari in cui le tecnologie sarebbero presto arrivate a convergere. All’epoca

colpiva la pluralità. Nel 1985 John Black, che lavorava in una biblioteca, raggruppò in

nove categorie le nuove tecnologie esistenti: 1. I satelliti; 2. La trasmissione basata sui

laser; 3. La fibra ottica; 4. I sistemi via terminale digitale a microonde; 5. Le reti locali;

6. Collegamenti a banda larga; 7. Reti telefoniche; 8. Radio cellulare; 9. Nuovi

dispositivi per la distribuzione non in linea. Black parlava di «sovrapposizione» e non di

«convergenza».

I computer

I computer, una volta che si è cessato di pensarli come macchine calcolatrici o come

accessori per l’ufficio, hanno reso possibile che i servizi di tutti i tipi assumessero

forme nuove. Prima, però, sono dovuti diventare più piccoli e più a buon mercato. In

questo processo sono stati dominanti gli Stati Uniti e non la Gran Bretagna o l’Europa.

I primi elaboratori elettronici digitali operativi erano stati ideati su entrambe le sponde

dell’Adriatico per applicazioni militari, cioè per la guerra e per la guerra fredda. Come

in altri casi, lo stimolo è stata la guerra e non il profitto. I primi computer erano

macchine spaventose, che funzionavano grazie a migliaia di valvole termoioniche. Ma

mutarono completamente forma con il passaggio dalle valvole ai transistor, che hanno

reso possibile la rivoluzione delle dimensioni. La realizzazione dei primi transistor

dipese dai progressi della fisica dei semiconduttori, in seguito a esperimenti condotti

nei Laboratori Bell. Il primo anno in cui si vendettero più transistor che valvole fu il

1959. Gordon Teal sostituì al germanio il silicio e lo chiamò chip. La domanda però era

ancora troppo scarsa perché le imprese fossero spinte a scommettere su questo

settore. La presenza di contratti d’appalto statali avrebbe avuto un ruolo importante.

Con l’avvento del circuito integrato, un chip di silicio di pochi millimetri quadrati,

contenente 2.250 transistor miniaturizzati, aveva la stessa potenza dell’Eniac, che

occupava una stanza intera. Il nuovo chip rese possibile lo sviluppo di computer per

ogni tipo di suo. Ma i loro usi inizialmente si dimostrarono limitati. Il primo ad avere

l’idea del circuito integrato era stato nel 1952 un fisico inglese, Dummer, ma la

reazione dell’industria dei computer fu tiepida. Marcian Hoff realizzò il microprocessore

nel 1971 e questo, messo sul mercato dalla Intel, rese possibile non solo un grande

incremento della potenza del computer, ma anche un decentramento nella loro

utilizzazione. Un microprocessore poteva portare centinaia di migliaia di componenti e

il riconoscimento della versatilità di questo sistema diede impulso al passaggio dalla

tecnologia analogica a quella digitale di tutti i media, che presto ne divennero i

maggiori utilizzatori – stampa, cinema, industria discografica, radio e televisione. Tanti

fisici specializzati nei semiconduttori lavorava nella Silicon Valley, in California, che ora

cominciava a spiccare nella nuova mappa globale delle comunicazioni. Il fatto che

siano state imprese nuove - più innovative, strutturate in maniera più informale, più

democratiche e meno gerarchiche delle aziende affermate – a indicare la strada

finanziariamente rischiosa dei computer ha avuto un’importanza fondamentale. Nella

prima fase della storia del computer la Ibm (International Business Machines

Company) partiva con un grande vantaggio: aveva una particolare cultura d’impresa

che le fu utile nei rapporti coi governi e coi grandi clienti. Nel 1961 la Ibm vendeva ben

7 tipi diversi di computer, ma nessuna anticipava ciò che il microprocessore rese

possibile: il personal computer. A quel punto la storia del computer in Inghilterra e

negli Stati Uniti divergeva, mentre il Giappone acquisiva un ruolo sempre più

importante. I primi computer che furono prodotti erano inglesi: ma in Gran Bretagna

mancò quella sicurezza necessaria per continuarne lo sviluppo: le dimensioni del loro

mercato nazionale erano molto ridotte rispetto a quelle degli Stati Uniti e nello stesso

modo non poteva fare affidamento all’enorme apparato dell’esercito, della marina e

dell’astronautica americani. Nel frattempo il Giappone era diventato un grande

produttore di microchip e aveva acquisito un ruolo importante nel settore delle

comunicazioni. I fattori sociali e culturali che sostenevano lo sviluppo tecnologico in

Giappone comprendevano: una società basata sull’uguaglianza, una tecnologia

specializzata in aziende piccole e medie, una tradizione di rispetto dei rapporti umani

e il rispetto culturale per la tecnologia (precoce introduzione del telefono e del

telegrafo). Verso la fine degli anni Settanta i computer non servivano più solo come

strumenti di lavoro, ma costituivano la molla principale di una serie di attività

mediatiche. Talvolta influenzavano i media tradizionali, come la stampa. Sempre di più

i libri, le riviste e i giornali tradizionali erano redatti, progettati, stampati e distribuiti

secondo programmi di computer. Il maggiore progresso tecnologico è stata

l’introduzione del personal computer.

Il primo negozio di computer aprì nel 1975 a Los Angeles e la prima rivista dedicata

agli home computer, Byte, uscì un mese dopo. Il termine bit era nato come

abbreviazione delle due parole binary e digit. Il divertimento era stato più importante

dei libri e degli usi educativi sin dai primi tempi del personal computer, come aveva

inteso l’imprenditore Nicholas Bushnell, uno dei realizzatori del videogioco: nel 1974

cominciò a vendere il Pong, un gioco che funzionava con un microprocessore e poteva

essere collegato al televisore. Nel 1980 la sua azienda, la Atari, vendeva al dettaglio

videogiochi e home computer di facile utilizzazione. Uno dei primi giochi è stato Space

war. Agli inizi degli anni Novanta doom è stato uno dei primi a tre dimensioni. I giochi,

negli anni Novanta, non erano che lo sviluppo di un aspetto del progresso dei

computer. Oltre allo sport era ugualmente presente la violenza: ci fu uno sconcerto

intorno ai probabili effetti dei videogiochi, in particolare sui bambini.

Nel 1975 Popular Eletronics faceva la pubblicità a un proprio prodotto, il primo

minicomputer in scatola di montaggio all’altezza dei modelli commerciali. Il primo

mod

Dettagli
A.A. 2013-2014
23 pagine
1 download
SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-ART/05 Discipline dello spettacolo

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher ilaria.degiovanni di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia sociale dello spettacolo e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Milano o del prof Scarpellini Emanuela.