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V. LE PEDAGOGIE DELLA CRISI
1. I maestri del sospetto
I due fondamentali modelli pedagogici del ‘900 fin qui esaminati sono naturalismo e umanesimo. Ora ci occuperemo di quelle tesi e
prospettive educative che vanno oltre, svolgendo l’analisi critica sia dell’uno sia dell’altro, prefigurando esiti e scenari educativi del
tutto diversi.
Il filosofo Paul RICOEUR ha parlato di Marx, Nietzsche e Freud come di tre “maestri del sospetto”, alla loro riflessione si fa
risalire la crisi della concezione dell’uomo poiché introducono il “dubbio della coscienza”.
Cartesio introdusse il “dubbio sistematico”, dubbio su tutto tranne che sul pensare, dunque metteva in crisi l’oggetto e non il soggetto
come invece stava accadendo ora.
Tutti e tre gli autori hanno profondamente inciso sulla cultura e sulla mentalità contemporanea, da non poter fare a meno di
considerare le ricadute anche in campo pedagogico ed educativo.
Marxismo, nichilismo e psicoanalisi hanno in comune l’analisi dei fenomeni umani attraverso modelli culturali in grado di cogliere
quanto nel comportamento umano è determinato da forze non controllabili (come le dinamiche economiche, la volontà di potenza, le
pulsioni).
L’ipotesi che scaturisce da queste premesse mette in discussione molte certezze che hanno a fondo segnato i processi formativi.
Educazione e pedagogia avrebbero invece bisogno di venire preliminarmente decodificate, analizzate e infine ricostruite alla luce di
nuovi e più complessi paradigmi interpretativi.
2. Lo sfondo storico delle culture della cr isi
Per meglio comprendere le “culture della crisi” è necessario situarle nel contesto storico in cui si sviluppano.
In particolare la Germania di Guglielmo II che, tra fine ‘800 e inizio ‘900, si trova al massimo della sua potenza industriale e
militare; impiegò tutte le sue migliori risorse intellettuali nella condanna dei modelli della società borghese e tradizionale con
l’imperativo morale di purificarla.
Accanto al “ritorno a Kant” e dunque al primato della coscienza etica, si sviluppò anche una cultura fortemente “soggettivistica”,
volta a guardare l’uomo “dal di dentro”, come “individuo” gettato in un mondo apparentemente ordinato, ma in realtà incomprensibile
e senza senso.
Sul finire dell’800 s’era già levata la voce solitaria e disperata di NIETZCHE (18441900); la sua riflessione è stata per un certo
tempo distorta e ridotta nei confini del mito supero mistico, ma in realtà rappresenta un vero e proprio capovolgimento del rapporto tra
“persona e verità” e la creazione di nuovi valori morali.
Nell’ultimo capitolo di Così parlò Zarathustra (Il canto dell’ebbro) si legge: “profondo è mondo, e più profondo di quanto abbia
pensato il giorno”, indicando nel “giorno” la luce abbagliante di ciò che ci appare evidente e scontato e l’invito a prediligere il “pensiero
notturno” in cui la coscienza filosofica occidentale prospetta per la prima volta che l’umanesimo di cui si è nutrita è il contrario di ciò
che dice di essere.
Questo smascheramento comincia sul piano della falsa morale derivante dall’etica classicocristiana.
Anche tutta la paideia dell’Occidente non è altro che menzogna: gli sforzi per “migliorare l’uomo” non avrebbero avuto nella storia
altro scopo che quello di “renderlo inoffensivo” e docile rispetto alle regole dell’ordine sociale.
Non ci sono vie di ritorno e il futuro è scandito dall’annuncio che “Dio è morto”, e con esso scompare qualsiasi verità. Da “cammello”
che ha portato il peso del “tu devi”, da “leone” che se ne è sbarazzato “io voglio”, lo spirito si fa “fanciullo” e riprende un nuovo inizio,
un gioco, capace di “dire di si” alla vita, , il fanciullo è ruota ruotante da sola (indica che il fanciullo è divenire, ma un divenire che
non è mosso da altro).
Non resta che scrivere una nuova tavola di valori attraverso cui prospettare il “superamento” dell’uomo tradizionale, il compiersi di
uno spirito libero che respinge da sé ogni sottomissione e servilismo.
Distrutti i vecchi valori, il solo scopo è l’accettazione del divenire, e questo culmina nella metafora del “fanciullo” culmine della
positività e felicità umana. Qui si pone l’oltreuomo che crea valori nuovi.
3. L’origine della psicoanalisi
FREUD si affidava alle componenti irrazionali della personalità umana (sogni, ricordi dell’infanzia) per curare personalità
tormentate da nevrosi. Le novità apportate dalla psicoanalisi alla conoscenza dell’uomo sono state paragonate alle scoperte
geografiche di XV e XVI sec. oltrepassate le colonne d’Ercole, si è pervenuti a nuove terre della sfera dell’inconscio e del preconscio.
Nel considerare il movimento psicoanalitico bisogna porre attenzione a due problemi:
la concezione antropologica e il sistema culturale che è andato costruendosi intorno alla psicoanalisi;
- le ricadute operative che gli studi aperti da Freud hanno avuto in vari campi, tra cui quelli educativi.
-
Anche la psicoanalisi prospetta una concezione naturalistica dell’uomo (diversa da Rousseau), di cui l’agente causale delle azioni
umane è “la pulsione”( Es). L’uomo però è anche un essere sociale e ha bisogno di regolazione, dunque il Superio si svuota del suo
vissuto (infantile) per divenire conforme al sistema di regole. Le pulsioni sono preziose fonti di energia, concepite come risorse e non
come qualcosa da superare il più presto possibile, dunque il problema dell’educazione diventa quello di orientare e padroneggiare le
pulsioni, non di reprimerle.
4. Il bambino psicoanalitico: la natura come pulsione
Con l’analisi dei sogni Freud, ripercorre le tracce della rimozione (processo attraverso cui un evento, una emozione, rimangono confinati
nel sistema dell’inconscio e restano privi di espressione).
Nei Tre saggi sulla teoria sessuale (1905) le perversioni trovano la loro spiegazione nello sviluppo infantile, la sessualità dei bambini è
“perversa e polimorfa”. Freud intende dimostrare che ciò che appare patologico nell’adulto costituisce invece la normalità per il
bambino. La sessualità infantile evolve spontaneamente, incontrandosi con le barriere del pudore e della moralità che la società innalza
nei loro confronti. Freud ( a differenza di Rousseau) porta alla luce la scoperta della sessualità infantile, proponendo un’immagine di
bambino non più “naturalmente buono” o tabula rasa, ma un soggetto al centro di complessi dinamismi psichici e affettivi, con una
esperienza interiore densa di conflitti, pulsioni e emozioni.
Tutte le inclinazioni alla perversione hanno radici nell’infanzia, i bambini hanno la predisposizione e la mettono in atto nella misura
permessa dalla loro immaturità.
Il problema dell’educazione si costituisce nella necessità di imporre all’individuo il passaggio dalla vita sessuale infantile a quella
adulta. Le forze psichiche che fanno da ostacolo alle tendenze sessuali, limiteranno il loro corso (disgusto, pudore, paura). La funzione
repressiva non costituisce una distorsione dell’educazione, ma coincide con la sua essenza. È l’educazione che porta all’alienazione del
desiderio e alla repressione da cui derivano inquietudine e instabilità. Oltretutto l’educazione attivando un complesso di angosce, sensi
di colpa, può causare una rimozione troppo forte fino a provocare forme nevrotiche.
Ma, nonostante questi effetti spiacevoli, dell’educazione non si può fare a meno.
L’educazione è affidata non a tecniche e formule, ma all’esperienza degli educatori (il modo di essere dell’educatore è quello che conta
veramente); sottopose a un severo vaglio critico le prassi educative pedagogiche del suo tempo.
La teoria di Alfred ADLER, in aperta polemica con Freud, sosteneva che la sessualità era solo una componente dell’ambitio, forza
intrinseca alla natura umana che spinge ciascuno a vivere secondo la “volontà di potenza”, l’individuo è guidato dal suo desiderio di
affermazione.
Anna FREUD era favorevole alla terapia analitica solo in casi di vera e propria nevrosi infantile e riconobbe una valenza positiva ai
rapporti educativi (specie quelli familiari). L’ideale era quello di uno sviluppo armonico nel quale fossero ridotti al minimo i conflitti tra
mondo esterno e mondo interno. Si prodigò tanto per l’infanzia, sensibilizzò a cogliere i bisogni infantili prima che l’indifferenza degli
adulti li trasformasse in disturbi.
Diverso fu l’orizzonte della KLEIN secondo cui esiste un Io precoce che è una dimensione nella quale preesistono oggetti indipendenti
dagli apporti percettivi del mondo esterno. Svalutato il mondo esterno il bambino è chiamato a confrontarsi con le angosce inconsce.
Mise a punto particolari tecniche ludiche in grado di rendere esplicite le psicopatie e le nevrosi infantili attraverso giochi, segni, simboli
ludici, ecc.
Da una parte si guardò alla psicoanalisi come ad una opportunità per rinnovare e cambiare la pedagogia, dall’altra c’erano quanti
erano convinti della incompatibilità tra pedagogia e psicoanalisi.
Di fondamentale importanza fu la graduale consapevolezza che anche il vissuto infantile non fosse così lineare come si credeva; da qui
l’accresciuta attenzione al bambino, al predisporre di ambienti educativi adatti e il richiamo all’importanza dell’affettività.
5. Le esperienze antiautoritar ie negli anni ’20 e ‘30
Si assume un atteggiamento critico verso le prassi educative tradizionali e la pedagogia.
Le nuove tesi nascenti hanno ispirazione antiautoritaria. Tra gli anni ’20 e ’30 si ebbero alcune esperienze:
• Nel 1921 Vera SCHMID T fondò a Mosca un asilo d’infanzia governato da principi educativi antiautoritari, ispirati al
principio dell’ “educazione libera” (che aveva come antecedente l’esperienza di Tolstoi) ci si limitava a chiedere ai bambini di “fare
certe cose” senza dare loro ordini; il clima libertatorio aveva lo scopo di fare accettare e amare la realtà, senza rinunciare ai piaceri
ritenuti incompatibili con la vita sociale (erano consentiti anche i giochi sessuali) in modo da promuovere uno sviluppo
“spontaneo”. Travolto da critiche e polemiche l’esperimento visse un solo anno.
• Non maggiore fortuna ebbe l’esperienza di BERNFELD nell’Istit