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La scelta del percorso scolastico
A OP OLA REe necessitavano di una preparazione pratica S M C composta da un grado preparatorio e da un livello successivo diC U OLA D I E D IA U LTU RAstudi professionali specializzati e chiusi in se stessi, per chi voleva un lavoro prima dei 20anni S A C , costituita da un primo e secondo grado e comprendente un ramoC U OLA D I LTA U LTU RAclassico e uno scientifico-moderno per coloro che volevano proseguire con gli studiuniversitari e alimentare la classe dirigente.Gli autori, però, non concepivano la scelta come influenzata dalle sole condizioni economiche e dalfatto che, intrapresa una strada, non si poteva tornare indietro. Essi ritenevano che coloro che sifossero trovati in difficoltà con gli studi avrebbero dovuto abbandonare le scuole più elevate afavore di quelle professionali, mentre gli alunni delle scuole modeste con spiccate capacitàintellettuali andavano attratti, dopo i previ necessari esami, agli studi di media e alta cultura eaiutaticon borse di studio. Il progetto contrastava con la legge Bianchi e con l'ordinamento scolastico vigente ed entrambi i licei avrebbero dovuto avere durata di otto anni e permettere l'accesso all'università.
6. A 'RISTOCRAZIA DELL INTELLETTO E NUOVA EGEMONIA POLITICA
Da quel momento il Salvemini, accanto alla battaglia per l'alfabetizzazione delle masse, per lo sviluppo dell'edilizia scolastica e per il miglioramento delle condizioni della classe magistrale, compì vari interventi a favore del progetto elaborato con Galletti. Nei dibattiti del VII Congresso della Federazione di insegnanti medi (Firenze, 1909) emersero tre posizioni:
- Il . D G si batteva per una scuola media di primo grado unica generale (con o senza latino);
- G e S distinguevano rigorosamente il corso preparatorio dell'istituto tecnico e della scuola normale, dal primo grado della scuola media di cultura aperta all'università;
Le masse contadine miravano soprattutto ad un'istruzione adeguata per partecipare consapevolmente alla vita civile e godere del diritto al suffragio per dare un assetto più equo alla società. Alla fine del 1909 la Commissione reale finì la sua opera e si scostò dalla prospettiva unitaria della scuola media, cui agli inizi sembrava propendere, suggerendo di introdurre tre diversi indirizzi:
- la scuola complementare (2 - 3 anni) per integrare il corso popolare;
- la scuola tecnica (3 anni) che preparava per gli istituti tecnici;
- il ginnasio (3 anni) per preparare alle scuole che permettevano l'accesso all'università.
I programmi della tecnica e del ginnasio, però, avrebbero avuto molte discipline comuni. Inoltre, alla fine del ginnasio, era possibile scegliere tra liceo classico, scientifico e moderno, ma solo il liceo classico permetteva l'accesso a tutte le facoltà universitarie. Eccetto il provvedimento del 1911 con cui
al progetto della Commissione reale. Secondo lui, la scuola media unica avrebbe portato ad una standardizzazione dell'insegnamento, privando i giovani della possibilità di sviluppare le proprie capacità individuali. Inoltre, Gentile riteneva che la scuola media classica avrebbe fornito una formazione più completa e approfondita, preparando gli studenti ad affrontare gli studi universitari. Nonostante le divergenze di opinione e le resistenze politiche, la riforma della scuola media unica venne comunque attuata nel 1923, con l'istituzione del Regio Decreto n. 1054. Questo decreto prevedeva l'unificazione delle scuole medie in un unico ciclo di studi di cinque anni, con l'obiettivo di fornire una formazione di base comune a tutti gli studenti. Tuttavia, la riforma della scuola media unica non riuscì a raggiungere pienamente i suoi obiettivi. Le critiche e le resistenze continuarono ad esistere, e la scuola media unica si rivelò spesso inefficace nel preparare gli studenti per gli studi universitari. Solo negli anni successivi, con l'introduzione di nuove riforme e l'adeguamento dei programmi di studio, la scuola media unica riuscì a migliorare la propria efficacia e a fornire una formazione più adeguata ai giovani italiani.A Salvemini, in quanto il primo aveva una visione aristocratica e classista della società e della scuola e secondo lui quest'ultima doveva promuovere una cultura formativa funzionale a un progetto etico-politico in forza del quale la nuova classe dirigente avrebbe dovuto essere impegnata ad affermare il valore dello Stato come espressione dello Spirito assoluto. Il prevalere dell'opinione di Gentile su quella di Salvemini era dovuta al fatto che quest'ultimo si basava su un allargamento delle basi sociali del sistema liberale per fare in modo che i contadini riuscissero ad assolvere il compito di opporsi all'azione corruttrice di Giolitti. Però, proprio quando, nel 1909, il governo stava impostando un programma riformatore, il sistema giolittiano suscitò dure critiche e lo Stato liberale fu soggetto a violenti attacchi. In questo contesto, nonostante il varo del suffragio universale nel 1912, il discorso politico di Salvemini perdeva di incisività.
a vantaggio di altre forze politiche. 7. L'AVOCAZIONE DELLE SCUOLE ELEMENTARI ALLO STATO Alla fine dell'età giolittiana si accese il dibattito relativo al rinnovamento del sistema elementare, risalente alla Casati (1859) e ormai inadeguato. Molti sostenevano che l'unico modo per eliminare l'analfabetismo comportava il passaggio delle scuole primarie dai comuni allo Stato. Inizialmente, però, si pensava ad un trasferimento di responsabilità limitato ad alcuni casi specifici e non ad una completa avocazione della scuola elementare allo stato. Tale scelta si giustificava con il fatto che, nonostante i sempre più estesi interventi dell'erario, alcuni comuni, soprattutto al sud, continuavano a disattendere i compiti di promozione e gestione che lo Stato aveva loro assegnato nel campo della scuola elementare o con motivazioni ideologiche (già Sonnino nel 1906 aveva proposto una diversa ripartizione di competenze tra soggetti pubblici per.strappare la scuola del popolo all'influenza della Chiesa). La linea avocazionista era condivisa da alcuni liberali, democratici, radicali e socialisti ma essi non disponevano di una maggioranza parlamentare, perciò spostarono la battaglia nel paese, dove potevano contare sull'appoggio dell'Unione magistrale. Anche il Comizio pro schola votò un documento in cui sollecitava il Parlamento a favorire lo sviluppo della scuola popolare e a promuovere il passaggio della scuola elementare allo Stato attraverso una struttura amministrativa autonoma e decentrata, ispirata ai principi della laicità e della scienza là dove fosse stato necessario. Più radicale era la posizione di Gentile che sosteneva la necessità di affrontare il problema non solo dal punto di vista finanziario, ma anche politico ed educativo e riteneva assurda la richiesta dell'intervento dello stato a completamento dell'opera comunale senza riconoscere che
L'istruzione primaria fosse funzione imprescindibile dello Stato. Gentile mostrò inoltre che i singoli e i municipi avrebbero assolto la loro vocazione solo quando fossero riusciti a far coincidere i loro interessi con quelli dello Stato. Il filosofo era dunque contrario a un intervento dell'erario in funzione di mera sussidiarietà e preferiva il passaggio globale delle elementari allo Stato. La polemica con i cattolici era evidente e Gentile aveva volutamente evitato di chiamarli in causa. Essi, infatti, erano i primi ad opporsi all'avocazione delle scuole elementari allo Stato, ma pur se schierati in difesa delle autonomie locali, fra di loro si levavano alcune voci che accettavano la statizzazione come soluzione temporanea per far fronte alle carenze delle realtà locali. La maggioranza però preferiva un maggiore intervento dell'erario per dare alle amministrazioni locali la possibilità di provvedere all'istruzione e formazione.
Dei ragazzi, in continuità con le famiglie: lo Stato doveva solo cooperare con famiglia e comuni per il miglioramento della scuola. Tuttavia, sarebbe semplicistico restringere le resistenze dei cattolici alla statizzazione delle elementari ad un generale preconcetto contro lo Stato: essi infatti si rendevano conto che società politica ed enti locali avevano tutto l'interesse a trovare forme di reciproca integrazione. Le preoccupazioni dei cattolici erano piuttosto concentrate sul timore che l'avocazione potesse essere usata contro la presenza cattolica nelle scuole e infatti l'obiettivo di molti avocazionisti era procedere alla completa laicizzazione.