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VI
GLI INIZI DELLA CARRIERA POLITICA
CICERONE tornò dall’Oriente nel 77. Tutte le province erano soggette alla tirannia, all’avidità ed ai soprusi
dei governanti e soprattutto il nome di Spartaco per Cicerone restò sempre sinonimo di bandito. Prima
della partenza per la Grecia e l’Asia Cicerone aveva sposato Terenzia, una donna di famiglia distinta e ricca
che gli diede due figli: Tullia e Marco. Terenzia aveva un pessimo carattere ed il legame tra loro non fu
particolarmente stretto anche se nelle epistole abbondano le parole di tenerezza. Dopo 35 anni il
matrimonio si concluse con il divorzio dovuto anche a questioni economiche. A 30 anni d’età Cicerone si
preparava a muovere i primi passi nella carriera politica. Tra le prime cause ci fu la difesa dell’attore Roscio,
il quale, dopo aver ricevuto da Silla la dignità equestre, calcava le scene senza pretendere alcun compenso
perché il lavoro salariato per i romani era segno d’inferiorità sociale. Sull’esito della causa tra Roscio e
Fannio Cherea per la spartizione dei proventi di uno schiavo a cui avevano insegnato l’arte della recitazione
ma che era morto non sappiamo nulla ma il testo dell’orazione è prezioso per le informazioni che ci fornisce
sulla professione dell’attore. In seguito Cicerone fu mandato a Marsala come collaboratore del propretore
per riscuotere il tributo del grano. Durante una visita a Siracusa scoprì la tomba di Archimede. Dopo essere
stato questore Cicerone entrò nel Senato. Al 74 al 70 s’intensificò la sua presenza nei tribunali romani. Solo
di una ci è pervenuta l’orazione: Pro Marco Tullio. L’uomo non era suo parente ed era stato aggredito
presso la sua proprietà in Calabria da un gruppo di schiavi di un suo confinante.
VII
IL PROCESSO DI VERRE
Gaio Verre, nel 75, aveva governato la Sicilia come propretore e l’incarico gli venne prorogato per altre due
volte. La Sicilia, per la sua fertilità era molto ambita dai governanti romani, avidi di ricchezza. Dopo Verre il
suo posto fu preso da Lucio Cecilio Metello che informò subito Roma delle pessime condizioni in cui si
trovava la Sicilia. Intanto i siciliano pregarono Cicerone di sostenerli nella causa contro Verre . Cicerone vide
in ciò l’occasione per rafforzare la propria posizione nel Senato. Il lettore delle Verrinae resta colpito dalla
sincera commozione e dalla profonda passione per la tormentata popolazione siciliana e lo sdegno di
Cicerone per la crudeltà di Verre. Quella contro Verre fu l’unica accusa sostenuta da Cicerone e il motivo
che lo spinse a fare ciò fu l’affetto per i siciliani. Verre veniva da una famiglia di recente nobiltà che non
vantava un grande blasone. Nonostante ciò una parte della nobiltà era sua amica e tra questi c’era
Ortensio, suo difensore nella causa. Gli amici di Verre si sforzarono di contrastare Cicerone in primo luogo
cercando di sostituirlo nel ruolo di accusatore, con un certo Quinto Cecilio che aveva fatto parte dello staff
di Metello in Sicilia e sosteneva di essere poi entrato in conflitto con lui. Il 20 giugno del 70 Cicerone
smascherò e ridicolizzò il suo competitore ed ottenne il diritto all’accusa. L’inchiesta, condotta in lungo e in
largo per la Sicilia fu accuratissima. Il 5 agosto il Foro era gremito di folla. Cicerone passò subito
all’interrogatorio dei testimoni che sfilarono per 9 giorni davanti al tribunale. Ortensio inizialmente tentò di
giocare la tattica di controinterrogare i testimoni ma la rievocazione delle crudeltà di Verre ogni volta
suscitava commozione ed indignazione tra il pubblico e così Ortensio ritenne opportuno tacere. Verre fuggì
a Marsiglia con un cospicuo bottino di denaro e opere d’arte riconoscendo così la propria condanna. Verre
visse tranquillamente a Marsiglia per altri 26 anni in mezzo al lusso. Si dice che sia morto nel dicembre del
43, ucciso per ordine di Antonio in quanto si era rifiutato di donargli dei preziosi vasi corinzi. La sua morte
seguì di pochi anni quella del suo antico accusatore. VIII
GLI ANNI DELL’ASCESA POLITICA
Cicerone ricoprì la carica di edile nel 69 e doveva organizzare gli spettacoli pubblici. I costi degli allestimenti
ricadevano sulle sue spalle e anche se egli era abbastanza ricco non lo era tanto da competere con i grandi
magnati per cui esercitò il proprio ruolo senza sforzi eccessivi ma senza neanche deludere la popolazione.
Nell’anno della sua edilità Cicerone difese Fonteio, ex governatore della Gallia accusato di reati simili a
quelli commessi da Verre. Fonteio viene difeso sostenendo che non ha oppresso degli italiani o dei greci
semi-romanizzati ma i galli che vengono dipinti come barbari, incivili e nemici dei romani. Non conosciamo
l’esito del processo. Nel 68 acquistò la villa di Tusculum che risistemò in base al gusto greco. Cicerone
ambienterà nella villa e nel giardino i dialoghi retorici, filosofici e politici. In questo periodo scrisse Pro
Caecina che è l’unica orazione in cui Cicerone si addentri nelle sottigliezze della giurisprudenza. Intanto i
pirati erano divenuti i pirati del Mediterraneo e rappresentavano una grave minaccia per le città affacciate
sul mare. In Italia in prezzo del pane aumentava sempre più e Roma era di fronte al pericolo di carestia e
tumulti plebei. Nel 67 il tribuno Gabinio fece approvare una legge che conferiva a Pompeo poteri
straordinari per risolvere il problema della sicurezza sui mari. Si ritrovò ad avere 500 navi, 120.000 soldati e
5000 cavalieri. Egli agì con grande efficienza e nel giro di poche settimane sgombrò dai pirati il
Mediterraneo. Nel 66 Cicerone veniva eletto alla pretura con il voto unanime di tutte le centurie. Nello
stesso anno il tribuno Manilio propone di trasferire a Pompeo il comando della guerra contro Mitridate.
Cicerone scese in campo per appoggiare la proposta di Manilio con un discorso tenuto di fronte al popolo
Pro Lege Manilia. Nel discorso in favore di Pompeo egli sostiene che il prestigio e la maestà dell’Impero
sono incrinati dai successi di Mitridate che mette in serio pericolo la pace e l’economia dell’impero. Fa
appello all’’orgoglio popolare ed elogia Pompeo dipingendolo come un nuovo tipo di generale, autorevole
ed efficiente ma nel contempo affabile e disponibile. Nello stesso anno della pretura, Cicerone cercò di
rinsaldare i legami anche con il partito aristocratico. Piacque alla nobiltà la sua difesa del figlio di Silla in un
processo per la restituzione delle somme che il padre, durante la dittatura, aveva prelevato dalle casse
dello stato. Tra le cause del 64 ricordiamo la difesa di Quinto Gallio da un’accusa di brogli elettorali.
L’accusatore era Marco Calidio, il quale accusava Gallio anche di un tentativo di avvelenamento nei suoi
confronti. Cicerone ottenne l’assoluzione dell’imputato.
IX
IL CONSOLATO
Nel 64 Cicerone fu eletto console per l’anno seguente. Il successo di Cicerone fu dovuto soprattutto al
modo con cui egli aveva costruito la sua carriera di oratore e poi i suoi interessi nei vari settori della vita
pubblica. Sulla tecnica della campagna elettorale ci informa il Commentariolum Petitionis ( manualetto
della campagna elettorale) dovuto a Quinto, fratello di Cicerone. Tra i consigli che Quinto dà al fratello nel
Commentariolum c’è quello di mirare all’appoggio di tutti, aristocratici e popolo. I suoi avversari, Catilina e
Ibrida, godevano del favore dei populares ma non rinunciarono a spuntarla su Cicerone che divenne
console. Fin dal primo giorno della sua elezione Cicerone diede prova di determinazione. Attaccò di fronte
al senato la proposta di legge agraria presentata dal tribuno Publio Servilio Rullo. Ritornò diverse volte
sullo stesso argomento. La legge naturalmente era ostacolata anche dall’aristocrazia preoccupata per la
perdita delle terre. Deciso a stroncare la proposta di Rullo, Cicerone, parlando sia di fronte al senato che di
fronte al popolo, pur facendo ricorso ad argomenti analoghi seppe modularli con grande abilità adattando
lo stile e le parole. Di fronte al senato sottolineò i pericoli derivanti dall’approvazione di una tale legge; di
fronte all’ assemblea popolare, che potenzialmente era interessata a giovarsi delle legge Rullo, egli cercò di
convincerli che la plebe non ne avrebbe tratto i benefici che si aspettava ma solo danni in quanto sarebbero
andati a vivere nelle zone peggiori d’Italia, in terre riarse o malsane. La legge non giunse mai a votazione e
ciò fece sì che tra le masse impoverite molti partecipassero alla cospirazione di Catilina. La situazione
sociale stava diventando esplosiva ed il popolo era trascinato verso la ribellione violenta per cui personaggi
come Catilina erano esposti alla tentazione di avventure pericolose. Si era infatti sparsa la vice che costui
avesse proclamato che solo un uomo spiantato e coraggioso poteva mettersi alla testa dei diseredati.
Catilina tentò per due volte di essere eletto console senza riuscirvi ed allora decise di tentare la via della
sollevazione violenta. Egli riuscì a raggruppare gente di ogni risma: ceti diseredati, emarginati, nobili
inquieti e briganti. Con Catilina inizialmente si schierò anche parte della plebe urbana cioè artigiani e
lavoratori salariati. Ma i seguaci più fedeli egli li trovò tra il ceto contadino impoverito. Un ex centurione
sillano, Manlio, piccolo proprietario terriero fallito, radunò presso Fiesole in Etruria, reparti armati di coloni
sillani, pieni di debiti e disposti all’insurrezione. Il piano era che l’esercito di Manlio doveva muovere verso
la capitale mentre Catilina e il gruppo maggiore di congiurati avrebbero occupato la città appiccando
incendi e facendo strage dei personaggi politici più in vista. Il console venne a sapere della congiura da
Fulvia, l’amante di Quinto Curio, uno dei complici di Catilina che aveva deciso di ritirarsi dalla congiura.
Inoltre arrivarono molte lettere anonime che mettevano in guardia dalla congiura. Cicerone ottenne che
fosse pronunciato il Senatus Consultum Ultimum che conferiva ai consoli pieni poteri. Ciò rese impossibile
ogni azione dei congiurati a Roma ma intanto l’esercito di manlio aveva impugnato le armi. In una riunione
Catilina enunciò il proposito di lasciare Roma per ricongiungersi con Manlio a Fiesole ma prima si doveva
eliminare Cicerone. Il console venne informato da Fulvia del progettato attentato alla sua vita e riuscì a
sventarlo facilmente. Contro Catilina però Cicerone non aveva prove concrete per cui doveva costringerlo a
uscire allo scoperto. L’8 novembre, Cicerone, nel tempio di giove sul Palatino, pronunciò la prima catilinaria
nella quale sostenne la necessità di respingere i nemici n