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Il fregio A (un adventus) celebrava nella versione originaria Domiziano, il cui volto venne poi trasformato in
ritratto di Nerva. L’imperatore, in veste da viaggio, è immerso in una processione di carattere militare (a
seguito della vittoria in Sarmazia del 93 d.C.). Intorno a lui, una cerchia di personaggi (divinità e figure
ideali) che lo guida verso una meta (frammento perduto). Il fregio B raffigura invece un Vespasiano che si
rivolge ad un uomo togato di fronte a lui, ma che si muove in direzione delle Vestali (che con Roma
rappresentano una meta dell’imperatore). Si tratta ancora di un adventus ma non di tipo militare, bensì civile
(Vittoria lo incorona con la corona civica).
Nel complesso, al tempo dei Flavi la diffusione di manifestazioni sui monumenti ebbe un calo. E il numero di
monumenti dedicati a Domiziano e ancora ben conservati è basso. L’esagerato amore di Domiziano per gli
archi portò al disgusto del pubblico, che doveva invece essere orientato al consenso. I soggetti sono
principalmente due: la virtus della gloria militare e la pietas, all’insegna di un tradizionalismo enfatico.
I motivi panegirici sono la novità. Divinità e personificazioni nelle scene del cerimoniale producono una
sorta di enfatica eccitazione visiva (in ciò riprende l’arte greca).
Da Vespasiano a Domiziano. Immagine di sovrani e moda, di Paul Zanker. Vespasiano si presentò ai
suoi cittadini con una immagine artistica strabiliante: vecchio sdentato, dal cranio squadrato e dal volto
rugoso, così diverso dai volti idealizzati e inespressivi degli imperatori e principi precedenti.
Ciò doveva enfatizzare la sua vicinanza ai comuni cittadini, in netto contrasto con la povertà espressiva dei
predecessori. Ma già Nerone, con la sua elaborata acconciatura, poteva essere definito un precursore.
Tito e Domiziano, nei primi ritratti, mostrano una certa rassomiglianza al padre: le forme pienotte (nel caso
di Tito veramente grasse) e la bocca carnosa, caratteristiche esuberanti, corrisposero al variare del gusto del
tempo. I principi erano considerati uomini di rara beltà (cfr. Tacito e Svetonio su Tito). Domiziano fu cultore
dei capelli e delle acconciature, arrivando pure a scriverne un trattatello per un amico.
Volti ben pasciuti e acconciature di lusso rientravano in quello stile di vita prezioso, dispendioso e
godereccio. Grande fu lo stacco fra il parsimonioso Vespasiano e i figli, quindi.
Ma l’immagine varia col tempo e col gusto. Capita che Domiziano diventi asettico e distante, idealizzato e
tranquillo nel busto del Palazzo dei Conservatori; o assuma un superbissimus vultus (Plinio il Giovane) in un
ritratto persiano su medaglione, con la presenza di una piccola Minerva a conferire protezione divina. Se
Augusto voleva farsi vedere come principe, Domiziano si presenta come dominus e deus. Con buona pace
del padre.
I Flavi e Roma, di Filippo Coarelli. La scelta di indicare come dies imperii il momento dell’acclamazione
da parte dell’esercito ad Alessandria, e non quello della designazione del Senato, costituisce una novità
dirompente all’interno del mos romano. Così come la scelta dell’ufficio di propaganda di divulgare i
“miracoli” del “principe taumaturgo” (nel Serapeo della città): si tenta evidentemente di creare un’aura
carismatica intorno a un personaggio che, per origini familiari e caratteristiche personali, ne era sprovvisto.
Quando Vespasiano giunse a Roma, all’inizio dell’autunno del 70 d.C., la città appariva sfigurata dalle rovine
dei vecchi incendi (quello neroniano in primis del 64 d.C.). La nova urbs descritta da Tacito fu quindi
sostanzialmente opera dei Flavi: strade larghe, altezza degli edifici limitata, nuove piazze e portici per
proteggere le facciate degli isolati. Insomma, un vero e proprio piano regolatore.
Un atto squisitamente demagogico, da “imperatore operaio”, ci viene descritto da Cassio Dione e Svetonio:
“Dando inizio alla ricostruzione del Tempio di Giove Capitolino, per primo iniziò a sgombrare i ruderi di sua
mano, e caricandosene una parte sulle spalle, la portò via”.
Per accrescere la sua maiestas e auctoritas, decise di ampliare il pomerio della città nell’area del Trastevere
rispetto a quanto già stabilito da Claudio (75 d.C.), come permesso dalla quinta clausola della lex de imperio
Vespasiani. Il tracciato di entrambi, però, ricalca in gran parte quello delle Mura Aureliane.
Il Templum Pacis. Fu il progetto monumentale e programmatico (terminato nel 75 d.C.) più notevole della
ristrutturazione urbanistica della città voluta da Vespasiano. In esso, dice Flavio Giuseppe, erano conservati
antichi capolavori della scultura e della pittura e vasi d’oro tolti al tempio dei Giudei.
Costruito per celebrare la pace (militare esterna e interna) e dopo aver reso più salda la struttura dell’impero
romano, esso rappresenta una doppia vittoria: sul nemico internazionale e sulla guerra civile.
Il tipo edilizio cui appartiene il Templum Pacis (che consta di un grandioso quadriportico con vari ambienti
annessi e con un’aula destinata alla divinità tutelare) ci appare adatto a scopi sostanzialmente non cultuali, in
cui l’aspetto religioso si presenta come puro supporto ideologico per funzioni diverse, di carattere
commerciale o amministrativo.
L’opera di Domiziano. Se con Vespasiano e Tito si pongono le basi economiche, amministrative e ideali per
la nascita della nova urbs, il vero realizzatore della rinnovata struttura urbanistica e architettonica della città,
che apre la via alle grandi opere del II secolo d.C., è Domiziano.
Il fatto non emerge adeguatamente dagli studi moderni a causa della damnatio memoriae e della perdita
parziale delle Historiae di Tacito. La ricostruzione segue il grave incendio dell’80 d.C., che sotto Tito
distrusse Campo Marzio, il Campidoglio e le zone intermedie (forse anche il Foro e il Palatino).
Le novità introdotte coinvolgono l’ambito delle distribuzioni di grano alla plebe (la Porticus Minucia
Frumentaria), quello degli spettacoli (Odeum e Stadio) e del culto imperiale (Templum Divorum). Un
equilibrio totalmente diverso da quello voluto da Augusto, che nei riflessi architettonici vedeva la diarchia
principe (area orientale del Foro – Palatino) – senato (area occidentale del Foro – Campidoglio).
Il Tempio di Vespasiano. Tale costruzione (80-87 d.C.) viene eretta ai piedi del Campidoglio, invadendo così
lo spazio riservato alle istituzioni repubblicane.
L’Equus Domitiani. Trasferimento del luogo di esposizione dei diplomi militari, spostamento della Moneta
(zecca) dal Campidoglio alla Valle del Colosseo e di una parte almeno degli archivi dell’Aerarium nel
palazzo costituiscono altrettante manifestazioni del sistematico esautoramento delle prerogative senatorie in
favore di quelle imperiali, messo in atto da Domiziano.
Anche la ricostruzione di edifici di antichissima tradizione repubblicana, come il Tempio di Giove Capitolino
e la Curia, manifestano la politica decisionista dell’imperatore, che ha apposto appunto il suo nome su di
esse, senza menzionare i precedenti autori.
Ma la demolizione dell’autorità dei patres è evidente nell’Equus Domitiani, gigantesca statua equestre
innalzata nel centro del Foro repubblicano a seguito del trionfo sui Catti e sui Daci (90-91 d.C.), e
testimoniata da una moneta dell’imperatore e dalle Silvae di Stazio.
Templum Novum, Minerva, Biblioteca Domus Tiberianae. Un altro settore dove l’intervento dell’imperatore
appare massiccio è quello posto immediatamente a sud del Foro. Il Templum Novum, posto fra Palatino e
Campidoglio, fu danneggiato dal famigerato incendio dell’80 d.C., ma venne ricostruito da Domiziano
insieme alla biblioteca che vi si trovava.
La Via Sacra e l’Arco di Tito. Con l’avvento dei Flavi, la Domus Aurea venne distrutta e furono edificati al
suo posto il Colosseo e le Terme di Tito. Le aree adiacenti alla Via Sacra, invece, furono riutilizzate per
edifici di carattere utilitario (ove, per esempio, si dispiegava il monopolio di stato su spezie e medicinali o il
magazzino del “frumento pubblico”). Tutto ciò in ossequio alla politica accentratrice e demagogica della
dinastia flavia.
La Via Sacra (secondo Galeno) aveva inizio dal Tempio di Venere e Roma. L’Arco di Tito invece è collegato
alla via che saliva al Palatino: rappresentò un ingresso solenne sulla strada che, provenendo dalla valle del
Colosseo, andava a concludersi al palazzo imperiale.
La sua apparenza di “arco trionfale” è smentita dall’iscrizione, che non riporta formule tradizionali del
genere, ma solo una semplice dedica del Senato e del popolo romano al “Divo Tito”. Anche le scene del
trionfo giudaico presentano un aspetto selettivo, concentrato sul solo Tito, mentre sappiamo che fu celebrato
collettivamente da Vespasiano e da Tito in quadriga, con Domiziano che seguiva a cavallo. Simile a questo,
esiste sulla stessa via un arco dedicato a Vespasiano.
La scelta di “sacralizzare” questo percorso con monumenti dedicati ai due primi imperatori flavi conferma
l’assoluta centralità dell’elemento dinastico nella politica di Domiziano. Tutto ruota intorno al palazzo
dinastico, scardinando le vecchie convenzioni.
Adonaea e Templum Gentis Flaviae. All’ingresso del palazzo, si trovava un luogo di culto di Adone,
riccamente ornato con arazzi e altre opere d’arte, aperto al pubblico in occasione delle feste. Il Templum
Gentis Flaviae non è altro che la dimora sul Quirinale (quartiere ad malum Punicum) dove Domiziano venne
al mondo e dove Vespasiano si trasferì quindi nel 51 d.C.. Domiziano la trasformò quindi in tomba gentilizia
e luogo di culto.
La Roma dei Flavi. L’architettura, di Pierre Gros. L’edilizia dei Flavi presente tre caratteristiche salienti.
1) La presenza in prima persona nell’ambito delle costruzioni. Vespasiano, per esempio, dà l’esempio
rimuovendo le rovine del Campidoglio, trasportando sulla propria schiena sacchi di macerie, con lo scopo di
spingere i cittadini ad imitarlo. Una politica demagogica, popolare, populista, in rottura con l’oligarchia
senatoria.
2) Il restauro della città non è altro che lo specchio e l’espressione del ripristino dello Stato.
3) L’ideazione di progetti di grande portata mirati alla creazione, nell’antico centro amministrativo e
religioso così come in Campo Marzio, di grandi complessi dotati di unità monumentale e funzionale, che
facilitano i contatti fra quartieri dando allo spazio urbano una maggior coerenza e respiro.
La ricostruzione integrale del Tempio di Juppiter Optimum Maximus (70 d.C.) mostrò la sollecitudine di
Vespasiano verso il popolo: egli infatti rifiutò i servigi di un ingegnere (mechanicus) per il t