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OTTAVIANO “AUGUSTO” E “PRINCIPE DELL’IMPERO”:
Dopo lo sfacelo del regime oligarchico restava ad Ottaviano di dare un nuovo
ordinamento allo stato di cui si era fatto padrone per presentarlo come restaurazione
dell’antica res pubblica. Secondo l’espressione che l’imperatore usò quando scrisse le
Res Gestae Divi Augusti, la sua autobiografia, egli si spogliò della potestas eccezionale
esercitata, ma ottenne in cambio il riconoscimento della sua auctoritas che lo poneva al di
sopra di tutti gli altri magistrati dello Stato.
Gli fu conferito il titolo di Augustus, che significava “accresciuto”, “innalzato al di sopra
degli altri”, e ricevette, inoltre, l’imperium proconsolare per dieci anni, periodicamente
rinnovato, sulle province non pacificate che furono dette “imperiali”, e su quelle
pacificate dette “senatorie”. Nel 23 ottenne un nuovo imperium proconsolare maius et
infinitum e l tribunicia potestà che, rinnovata di anno in anno, consentiva all’imperatore
di convocare il senato e di far votare delle leggi.
Augusto non volle, a differenza di Cesare, assumere la figura del dittatore, ma preferì
essere “principe”, ossia primo cittadino fra gli altri cittadini.
Augusto riformò il nuovo ordine sul privilegio della classe senatoria e della classe
equestre, e ciò significava che determinate funzioni erano riservate esclusivamente ai
senatori o ai cavalieri. Il senato perdeva, quindi, l’antica funzione di supremo moderatore
della vita politica dello stato ed ora invece era in balia dell’imperatore, che aveva la
facoltà di introdurvi chi volesse.
La classe dei cavalieri, cioè la ricca borghesia che aveva lottato contro l’oligarchia
nobiliare, ebbe una posizione di privilegio e gli appartenenti all’ordine equestre avevano
il comando dei corpi ausiliari che fiancheggiavano le legioni: le alae di cavalleria e le
cohortes di fanteria, reclutate nelle province.
Nelle legioni, composte di cives Romani, essi potevano raggiungere il grado di tribunus
militum, in sottordine al comandante. Poiché le forze navali furono considerate a livello
inferiore rispetto a quelle di terra, ai cavalieri e non ai senatori fu affidato il comando
delle due flotte principali dislocate a Miseno e Ravenna. Agli appartenenti equestri
Augusto riservò, poi, i posto direttivi con il titolo di praefectus e procurator. Notevoli
erano anche, fra le cariche riservate ai cavalieri, quella di praefectus vigilum, con
funzioni di polizia urbana e vigili del fuoco, e quella di praefectus annonae, che doveva
curare l’approvvigionamento della plebe urbana.
Importante fu il riordinamento dell’amministrazione finanziaria che fu suddivisa in vari
uffici di cui erano a capo numerosi procuratores, appartenenti all’ordine equestre. Tale
riordinamento, accanto all’antico tesoro dello stato, vide sorgere due nuove casse,
l’aerarium militare e il fiscus imperiale, imposto per assicurare le entrate necessarie per la
pubblica spesa, in particolare per il mantenimento dell’esercito.
Quella di Augusto fu una politica soprattutto di consolidamento della pace e della
sicurezza ed egli fu esaltato come restauratore della famiglia e della religione e come
fondatore della Pax Augusta.
Pacificò la Spagna definitivamente per merito di Agrippa, assoggettò la Rezia e il Norico
e al di là dell’Eufrate abbandonò i propositi di guerra. Ci fu, inoltre, una riorganizzazione
territoriale e amministrativa dell’Italia ripartita in 11 regiones e dell’Urbe suddivisa in 14
regiones, comprendenti ciascuna numerosi vici e si ebbe un forte impulso alla costruzione
di opere pubbliche e un incremento dei centri cittadini in Italia e nelle province.
Roma si avviò a diventare il principale centro di cultura, oltre che il centro politico
dell’impero.
LA CONSERVAZIONE DEL PRINCIPATO NEL PROBLEMA DELLA
SUCCESSIONE:
Informandosi di filosofia stoica, Augusto concepì la sua lunga opera come un dovere
senza mai lasciarsi abbattere da avversità domestiche e dalla salute cagionevole. In
mancanza di discendenza maschile pensò come ereditiero dell’impero prima a Marco
Claudio Marcello, figlio di sua sorella Ottavia a cui nel 25 diede in sposa sua figlia
Giulia. Due anni dopo Marcello morì e le sue speranze ricaddero su Agrippa che diede a
Giulia come secondo marito nel 21.
Anche Agrippa morì nel 12 e restavano i figli da lui avuti con Giulia e Augusto sperò di
trovare un successore tra i primi due che adottò come figli chiamandoli Gaio Giulio
Cesare e Lucio Giulio Cesare. Ma i due morirono prematuramente.
Augusto si rassegnò quindi che la successione andasse al figliastro Tiberio, figlio di Livia
Drusilla, nato nel 42 e già maturo di esperienza. Tiberio negli ultimi tempi, amareggiato
per le preferenze dimostrate ai giovanissimi Gaio e Lucio, si appartò a Rodi per otto anni
e fu, poi, costretto ad adottare, perché gli succedesse, il figlio del fratello Druso,
Germanico.
Tiberio successe ad Augusto nel 14 dC, quando egli morì.
Cap. XI
CONSOLIDAMENTO DEL POTERE IMPERIALE: I
GIULIO-CLAUDI
TIBERIO:
Tiberio rifiutò il titolo di "Imperator" ed ogni forma ufficiale di onori divini. Il suo ideale
sarebbe stato quello di instaurare una stretta collaborazione col senato nel governo
dell'impero, ma il sistema del principato rendeva difficile tale collaborazione.
Egli proseguì una politica estera fatta di cautela e moderazione e pose un freno allo
spirito avventuroso del figlio adottivo Germanico che da tre anni operava oltre il Reno
senza pervenire a risultati concreti e lo richiamò per una missione diplomatica presso i
Parti. Raggiunto un accordo col re di questi, Germanico al ritorno dalla Siria morì
improvvisamente.
Intorno alla sua famiglia si raccolse un circolo di opposizione ispirato dalle mire
ambiziose di Seiano, prefetto del pretorio di Tiberio. Questo cavaliere si era preposto
d'impadronirsi in qualche modo del potere facendo il vuoto nella famiglia imperiale e per
prima cosa gli riuscì di eliminare col veleno Druso, dopo averne sedotta la moglie Livia.
Mentre Tiberio si ritirava a Capri nauseato dagli equivoci e dai malintesi che da sempre
avevano caratterizzato i suoi rapporti con il senato, Seiano metteva nella peggior luce
presso di lui la vedova di Germanico, Agrippina, provocando la deportazione di lei e del
figlio maggiore.
Nel 31 Tiberio lo innalzò a suo collega nel consolato e la sua prolungata assenza da Roma
aveva spinto lo stesso Seiano ad ordire un complotto per sbarazzarsi di lui.
Questi, però, fu avvisato da sua cognata Antonia, la vedeva di suo fratello Druso, e riuscì
ad architettare un piano per sbarazzarsi del ministro. Ormai 73enne Tiberio si ritirò a
Capri e gli successe Gaio, figlio di Germanico, che si impadronì del potere alla sua morte,
avvenuta a Miseno nel 37.
CALIGOLA:
Gaio non aveva alcuna esperienza, ma aveva il favore del popolo e soprattutto
dell'esercito come figlio di Germanico. Detto Caligola da "càliga", la calzatura dei
legionari, il giovane principe ispirò i primi mesi di governo ad una politica moderata e
liberale, ma di li a poco Caligola scivolò verso uno sfrenato assolutismo che si manifestò
anche nell'imporre il culto divino della sua persona.
Egli non seppe sfruttare l'enorme potenziale bellico dell'esercito romano e, infatti, non
concluse nulla nè nella Gallia nè in Britannia. Dopo il fallimento di due congiure, una
terza riuscì e Caligola fu ucciso.
CLAUDIO:
I pretoriani acclamarono, a quel punto, imperatore Claudio, fratello di Germanico e zio di
Caligola, 51 anni, appassionato di studi storici, istruito da Tito Livio ed amante
dell'erudizione. Vissuto appartato dalla vita pubblica, egli era fedele alla concezione del
"principato civile", e si preoccupò di consolidare il regime rendendolo più efficiente
mediante la creazione di una burocrazia capace di coadiuvare l'imperatore nel disbrigo
dei molteplici affari di governo.
Per le varie branche dell'amministrazione furono istituiti appositi uffici e la direzione ne
venne affidata non all'ordine senatorio o equestre, ma a liberti della famiglia imperiale. I
liberti si trasformarono, quindi, in veri e propri funzionari imperiali.
Claudio si decise ad intervenire in Britannia e nel 43 veniva ridotta a provincia la regione
sud-orientale. Intanto aveva dato inizio ad una serie di campagne per allargare la
conquista e difenderla dal nord. Per il resto si attenne ad una prudente difesa dei confini,
rinforzando le fortificazioni sul Reno e sul Danubio e riducendo a provincia il regno
vassallo della Mauretania.
Una cura particolare fu dedicata allo sviluppo delle opere pubbliche, fra cui si ricorderà la
costruzione di due nuovi acquedotti, la sistemazione del porto di Ostia e il
prosciugamento in Abruzzo del Lago Fucino.
Verso il 49 si ebbe in Roma il primo provvedimento anticristiano.
Intanto la moglie Messalina si era sposata in segreto nel 48 con Gaio Silio, un ambizioso
patrizio, con cui si accordò per la destituzione di Claudio, ma l'imperatore riuscì ad
ucciderla. Per nulla più rispettabile si dimostrò Giulia Agrippina, che Claudio sposò, pur
essendo suo zio, l'anno successivo. Questa era una donna molto ambiziosa che riteneva di
aver diritto ad un posto di primo piano nella vita dell'impero.
Dal precedente matrimonio Agrippina aveva avuto un figlio, Lucio Domizio Enobarbo,
ed ella si propose di assicurargli la successione del principato a danno dei due figli di
Claudio e Messalina, Tiberio Claudio Britannico e Ottavia.
Dopo aver fatto fidanzare Ottavia con Domizio, ottenne, nel 50, di farlo adottare da
Claudio con il nome di Nerone. Agrippina avvelenò Claudio e con l'appoggio di Afranio
Burro, prefetto del pretorio, fece sì che il figlio fosse acclamato imperatore dai pretoriani
nel 54.
NERONE:
Il potere imperiale era così venuto nelle mani di un giovane appena 17enne. Nerone
risentiva dei benefici influssi, oltre che di Burro, suo devoto, anche di Seneca, ed egli
inaugurò il suo governo con la solenne dichiarazione di voler rispettare le attribuzioni del
senato e dei magistrati e di voler tenere ben distinte la sua domus e la res publica.
Prò a questo Nerone rimase fedele solo per alcuni anni.
Dapprima la madre Agrippina, ostacolata nelle mire di imporre i suoi volri come regina-
madre, minacciava di voler appoggiare le rivendicazioni dinastiche di Britannico, ma il
suo gioco portò soltanto l'eliminazione di questo. Poi nel 59 si opposse all'ingresso nella
famiglia imperiale di una donna ambiziosa come Poppea, ma Nerone, deciso