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Estratto del documento

L’imperatore si avvaleva anche di funzionari scelti tra l’ordine equestre. I più alti funzionari erano i prefetti,

tra i quali spiccava il prefetto del pretorio che comandava la coorte pretoria (la guardia del corpo del

principe). Poi c’erano il prefetto urbi (a cui spettava il controllo di Roma e del territorio circostante), il

18

prefetto annonae (si occupava dell’approvvigionamento di Roma), il prefetto vigilum (a capo del corpo dei

pompieri).

L’organizzazione del territorio

Augusto riorganizzò il sistema provinciale romano, dividendo tra province senatorie e province imperiali.

 Le province amministrate dal senato erano completamente pacificate (non avevano dunque

bisogno della presenza delle legioni), erano guidate da governatori (proconsoli o propretori)

affiancati da questori, i quali avevano competenze finanziarie.

 Le province che invece richiedevano la presenza di legioni (per necessità di difesa o di controllo)

erano governate da Augusto stesso, in virtù del suo imperium proconsolare, che gli conferiva il

comando degli eserciti. In queste province inviò dei propri legati (consoli o pretori), coadiuvati da

procuratori, i quali si occupavano dell’amministrazione finanziaria. Le province erano chiamate a

versare due imposte: una uguale per tutti e l’altra dovuta ai possessori di terre.

Dalla metà del primo secolo d.C. il numero delle province senatorie restò fisso. Le province amministrate

dal senato erano:

 

In Occidente Africa proconsolare, Betica, Gallia Narbonese, Sicilia, Sardegna.

 

In Oriente Macedonia, Acaia, Creta, Cirenaica, Cipro, Ponte, Bitinia, Asia.

L’Egitto rappresentò un’importante eccezione: venne trasformato in un territorio alle strette dipendenze di

Augusto e venne amministrato da un prefetto dell’ordine dei cavalieri. I senatori non potevano accedervi se

non dietro autorizzazione dell’imperatore.

Il latino era la lingua ufficiale dell’impero, la lingua del potere. Ma il processo di latinizzazione non venne

imposto da Roma: se i Galli si latinizzarono, i Britanni preferirono rimanere fedeli alla loro lingua originaria

senza incorrere in sanzioni imperiali. Augusto ad esempio fece tradurre in greco le Res Gestae, mentre

Nerone si rivolgeva in greco ai Greci. Nell’impero si parlavano dunque lingue diverse: il latino ebbe più

fortuna nelle province occidentali, mentre in quelle orientali solo l’élite e i notabili (interlocutori

dell’autorità romana) conoscevano il latino, mentre la popolazione locale continuava a parlare la propria

lingua (soprattutto il greco).

L’Italia, dopo le guerre civili, riuscì a riprendersi grazie alle conquiste di Augusto che aprirono nuovi mercati.

Durante l’età imperiale, la situazione dell’Italia fu caratterizzata da due importanti elementi:

 l’esenzione dalle tasse;

 l’autonomia delle comunità locali.

Gli Italici fin dal 167 a.C. erano stati esentati dal pagamento del tributo (tassa sulle persone e sul

patrimonio), anche se con Augusto furono introdotte nuove tasse (sull’eredità, sulle vendite, sulle vendite

degli schiavi) che andavano in parte a compensare i mancati introiti del tributo.

In seguito alla guerra sociale del 90 a.C., l’Italia era ormai una realtà omogenea: il latino si era imposto

come lingua ufficiale a scapito delle lingue locali, furono realizzate nuove strade e dedotte nuove colonie. 19

L’Italia non era una provincia ma era divisa in 11 regioni, le città della penisola conservarono le loro antiche

magistrature (tuttavia l’imperatore e il senato potevano intervenire nelle questioni interne) e godevano di

una certa autonomia (ma dovevano uniformarsi ai dettami del senato e dell’imperatore).

Successivamente alcune competenze passarono a funzionari imperiali (come la riscossione delle imposte

sulla successione), mentre la giurisdizione penale – un tempo in mano a organi municipali – passò a

funzionari romani: il prefetto della città e il prefetto del pretorio. Dal II secolo d.C., a causa del cattivo

stato delle finanze cittadine, vennero creati nuovi funzionari imperiali (i curatores rei publicae) con il

compito di gestire le finanze, il servizio dell’annona, l’amministrazione dei beni pubblici delle città in

difficoltà.

Adriano divise l’Italia in 5 distretti giudiziari (Roma e quattro circoscrizioni territoriali), con a capo dei

consolari. Con Marco Aurelio i consolari divennero iuridici di rango pretorio, il cui compito era amministrare

la giustizia. Con i Severi anche in Italia si affermarono le figure dei correctores (già presenti nelle province),

incaricati del controllo delle finanze, dell’amministrazione complessiva e della giurisdizione. La condizione

dell’Italia era ormai vicina a quella delle province: tale processo si concluse con Diocleziano, il quale inserì

l’Italia nel sistema provinciale.

Il mondo delle città e le loro condizioni giuridiche

La città dell’epoca imperiale, per il suo ruolo di mediazione tra il vertice e le realtà locali, doveva essere

stabile e garantire il versamento regolare delle imposte. La città divenne col tempo sempre meno la sede

della partecipazione alla gestione degli affari comuni, dato che la direzione politica e militare era avocata a

Roma, ma restò il luogo della decisione politica solo a livelli locali.

Notevole fu l’incremento delle città durante i primi tre secoli dell’impero. Nelle province occidentali e

africane, dove le strutture urbane mancavano o erano insufficienti, lo stato romano svolse un’opera di

urbanizzazione intensa, creando nuovi centri e adeguando quelli esistenti agli schemi urbanistici

propriamente romani. Dove erano presenti villaggi e tribù furono dedotte nuove colonie.

Ad eccezione delle grandi metropoli (Roma, Cartagine, Alessandria, Antiochia), le città imperiali avevano

una popolazione limitata (un migliaio di persone), anche a causa degli insufficienti mezzi di sussistenza.

Non è semplice definire le diverse situazioni giuridiche delle città: esse variavano in relazione alle condizioni

precedenti al dominio romano, ai rapporti che si stabilirono con il potere centrale ecc. Mentre in Italia la

situazione è piuttosto chiara poiché a partire dal 90 a.C. venne avviato un processo di municipalizzazione

che in alcuni decenni portò ad un’organizzazione omogenea, nelle province la situazione è molto più

complessa.

Nel complesso si possono distinguere due categorie di città:

 le comunità di tipo romano, municipi e colonie, le cui istituzioni erano identiche a quelle di Roma

 le città peregrine, estranee al mondo romano, che conservavano i loro diritti civici.

Le città peregrine rappresentavano la maggioranza delle comunità cittadine provinciali; i loro cittadini

erano peregrini (stranieri) rispetto a Roma, in quanto non avevano la cittadinanza romana.

Si possono distinguere quattro tipi di città peregrine (anche se tale distinzione non era mai molto netta): 20

 

liberae tale condizione era garantita da una concessione di Roma e non da un trattato. Dopo

Augusto non fu più concessa libertà alle nuove città;

 

liberae et immunes si trattava di città libere che avevano anche il privilegio di essere esentate

dal pagare le imposte;

 

liberae et foederatae queste città libere avevano garantita la loro condizione da un trattato

(foedus) in cui erano fissati i loro diritti. Solitamente il trattato andata a perpetuare una condizione

già esistente di città alleata, garantendo un alto grado di autonomia alla città (ma solo

amministrativa). Queste città erano numerose solo in Gallia, in seguito alle concessioni di Cesare;

 

stipendiariae si trattava di città soggette a tributo, che dipendevano dal governatore della

provincia ed erano tenute a rispettare la legge provinciale, godevano pertanto di una limitata

autonomia. Una certa libertà era loro garantita da Roma, che permetteva loro di continuare a

vivere con le loro istituzioni, il proprio diritto, di continuare a giudicare alcuni reati in propri

tribunali, di riscuotere le imposte e in alcuni casi di battere moneta.

In età imperiale le comunità di cittadini romani erano divise in municipi e colonie, anche se tale distinzione

non era molto chiara neanche agli eruditi del tempo poiché le due istituzioni erano molto simili. Lo statuto

di colonia era comunque avvertito di maggior prestigio.

I municipi erano città peregrine, i cui abitati avevano ottenuto da Roma la qualità di cittadini. In Africa, ad

esempio, Claudio compì un’imponente opera di municipalizzazione in Mauritania, provincia di recente

acquisizione, in cui 8 città cambiarono statuto tra il 41 e il 54 d.C.

I municipi di diritto latino comparirono nel I secolo d.C. Il diritto latino, ignorato nelle province orientali,

venne esteso da Vespasiano alla Spagna (73-74) e si estese in tutta la Gallia Transpadana, in parte

dell’Africa e nelle province danubiane. Il diritto latino (ius Latii) concedeva l’importante vantaggio di poter

accedere alla cittadinanza romana attraverso l’esercizio di una magistratura. Pertanto, almeno nelle

province occidentali, la concessione dello ius Latii rappresentò un importante mezzo di integrazione delle

élite locali e favorì l’adozione di istituzioni di tipo romano.

Le colonie di cittadini romani furono create attraverso la deduzione di gruppi di cittadini, solitamente

veterani; in alcuni casi andavano a costituire una nuova città, in altri si stabilivano in una città preesistente

che veniva innalzata al rango di colonia.

Il titolo di colonia poteva essere concesso anche a città peregrine, senza che vi fosse un invio di coloni: lo

statuto di “colonia onoraria” venne concesso da Traiano e Adriano a comunità di antica municipalizzazione,

soprattutto in Africa proconsolare e nelle province danubiane.

Settimio Severo accentuò la promozione delle città peregrine, elevò molti municipi al rango di colonie,

trasformò molte colonie latine in colonie di diritto italico (Africa, Grecia, Siria, Anatolia). Il diritto italico (ius

Italicum), che rappresentava la condizione giuridica del territorio romano in Italia, prevedeva l’esenzione

dai tributi per terre e per persone e la piena proprietà della terra. Augusto estese il diritto italico ad alcune

colonie in Oriente.

Con la concessione della cittadinanza romana ai membri delle città peregrine si presentò il problema delle

due patrie: la patria di nascita e la patria acquisita (Roma). Dei documenti (tavola di Banasa) imperiali ci

testimoniano la concessione della cittadinanza romana (in questo caso a membri di una tribù

Dettagli
Publisher
A.A. 2011-2012
31 pagine
38 download
SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-ANT/03 Storia romana

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher eowyn87 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia romana e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli studi Gabriele D'Annunzio di Chieti e Pescara o del prof Firpo Giulio.