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PARTE SECONDA: L’ETÀ DELLA NOBILITAS REPUBBLICANA
III L’eredità dei patrizi
La caduta della monarchia etrusca portò ad un ripristino del controllo delle gentes sulle strutture istituzionali,
escludendo i plebei; durante i primi secoli della repubblica (509-III sec.) Roma dovette affrontare incessanti contrasti
con le popolazioni limitrofe, con un esercito che comunque faceva affidamento sui plebei ricchi.
1. L’egemonia nel Lazio
La storia di Roma si configura come un continuo scontro con i popoli con cui viene in contatto. La fine della monarchia
etrusca non coincise con quella della loro cultura, né delle loro mire sulla città in crescita: in questa prospettiva si
inserisce la notizia di una conquista di Porsenna, re di Chiusi o di Veio, dopo la cacciata di Tarquinio, cui si opposero i
Latini alleati con Aristodemo di Cuma, che sconfissero nel 506 ad Aricia. Nella Lega dei Latini Roma però non
rientrava, e infatti la prima azione fu muovere contro l’Urbe: lo scontro decisivo avvenne sul lago Regillo,
probabilmente risoltosi in parità, poiché il foedus che ne derivo fu aequum; esso stabiliva la pace fra Romani e Latini,
reciproco sostegno e spartizione del bottino, oltre a diritti comuni (foedus Cassianum); altro foedus quello stipulato con
gli Ernici. Gli scontri con gli aggressivi Volsci ed Equi si svilupparono per tutto il V sec., nonché coi Sabini; versò metà
secolo le guerre ripresero, con le vittorie nel 458 con Cincinnato e nel 431 con Postumio Tuberto; ma la pace giunse
solo nel 396. Su questo fronte Roma era aiutata da Latini e Ernici, ma a nord si confrontava da sola con la città etrusca
di Veio, per ragioni commerciali: il primo conflitto risale al 483-74, condotto dalla gens Fabia, il secondo al 437-26, il
terzo, decisivo, al 306-396; la lontananza dei cives produsse una crisi economica, che portò all’istituzione di uno
stipendium per i soldati. Veio venne distrutta da M. Furio Camillo, il suo territorio inglobato. L’alleanza coi Latini
cominciò ad organizzare lo spazio conquistato, con diverse colonie. Nel 390 i Galli Senoni, parte dei gruppi celtici che
da decenni avevano strappato il nord Italia agli autoctoni, invasero e saccheggiarono Roma,per poi ritirarsi in Romagna
e qui allearsi ai Siracusani. In seguito all’attacco, Roma dovette affrontare una reazione antiromana dall’interno e
dall’esterno, con Volsci, Equi ed Etruschi alleati ad Ernici e ad alcune città latine, desiderose d’autonomia; Ernici,
Volsci ed Equi vennero sconfitti ed inglobati, i Latini firmarono un nuovo foedus Cassianum nel 358, fortemente in
perdita; nel 354 caddero i maggiori centri di resistenza, Tivoli e Preneste. Nuovamente i Latini si volgeranno contro
Roma durante le guerre sannitiche, per venire definitivamente sconfitti.
2. La lenta costruzione di una civitas
Durante le guerre sul territorio, Roma sviluppa una dinamica conflittuale ma progettuale, dietro impulso dei plebei, ora
perfettamente inseriti nei meccanismi della città e dell’esercito. Nei primi anni della repubblica si hanno infatti continui
scontri/confronti fra patrizi e plebei, le cui rivendicazioni formeranno le principali istituzioni romane. Con la crisi della
monarchia, le gentes avevano assunto la supremazia sui plebei, male inseriti nel censo. La prima fase della contesa si
indirizzò in un’organizzazione complessiva della plebe, con una secessione sul monte Sacro nel 494, di ritorno da una
campagna militare; qui si diedero una fisionomia istituzionale, specie nelle figure dei tribuni plebis, con ius
intercessionis, ius auxilii, sacrosanctitas e possibilità di presentare proposte di legge, rogationes, ai concilia plebis;
venne istituita anche l’edilità plebea; il superamento della secessione (leggenda vuole grazie a Menenio Agrippa) rientra
nell’ideologia di concordia ordinum elaborata nel IV sec. Altra tappa decisiva fu l’istituzione di un apparato normativo
scritto: nel 451 fu costituita la magistratura straordinaria dei decemviri legibus scribundis, che, viaggiando in Grecia,
stilarono dieci tavole di leggi approvate poi dai comizi centuriati; l’anno successivo un collegio di cinque patrizi e
cinque plebei aggiunse altre due tavole (fra cui il divieto di matrimonio fra patrizi e plebei). Redatte le tavole, il leader
della commissione Appio Claudio avrebbe tentato di procrastinare i poteri decemvirali in assoluti, ma fu fermato da
Marco Orazio e Lucio Valerio, consoli nel 449. La pressione plebea non si arrestò, e nel 445 il tribuno della plebe Gaio
Canuleio fece votare un plebiscito sull’abrogazione del divieto di matrimonio, permettendo alte cariche anche ai plebei,
oltre al’istituzione dei tribuni militum, con potere consolare ma mancanza di honos; inoltre nel 409 la questura venne
aperta ai plebei. La situazione post-gallica riaprì di nuovo i conflitti: i tribuni Gaio Licinio Stolone e Lucio Sestio
Laterano nel 376 proposero una legislazione, accettata da Furio Camillo nel 367, sui debiti, de modo agrorum, e
sull’apertura ai plebei del consolato; nel 326 la lex Poetelia Papiria impedì la schiavitù per debiti. Nel 443 era stata
istituita la censura; nel 300 la lex Ogulnia aprì ai plebei la partecipazione ai collegi sacerdotali superiori; nel 287 la lex
Hortensia stabilì che i plebiscita avessero valore per tutta la comunità, superiore alla patria potestas.
IV La repubblica della nobilitas
1. La nuova aristocrazia e i suoi valori
Con l’accesso plebeo al consolato era iniziata la formazione di un nuovo ceto politico concluso nel 287 con
l’equiparazione dei plebisciti alle leggi (nel 342 si impose che uno dei due consoli fosse plebeo, l’altro vietò che si
potesse ricoprire la stessa magistratura entro dieci anni); per questo nuovo ceto nasce il termine nobilis, per chi ha
raggiunto il consolato: egli acquisiva lo ius imaginum, che rendeva la nobilitas una cognita virtus (da nosco), espressa
nell’honos; in questa realtà i rapporti sociali sono regolati dalla fides. Clima ideologico successivo agli scontri era
quello di concordia, concetto divinizzato.
2. Il funzionamento istituzionale
2.1 Res publica e civitas Dopo la monarchia si era instaurata una res publica, una res populi, la cui civitas era
constitutio populi; una concettualizzazione diversa da quella odierna, una comunità organizzata e percepita nella sua
immanenza, in cui vi è coincidenza fra dimensione pubblica e ufficiale. Le forme in cui agisce la civitas sono la
magistratura, le assemblee popolari e il Senato. Polibio teorizza una costituzione mista fra monarchia, oligarchia e
democrazia, in cui è però il populus il vero titolare, cui è la maiestas, pur essendo presupposto fondamentale il censo.
2.2 La magistratura Difficile è stabilire con certezza come si sia definito l’assetto istituzionale postmonarchico, ma
sicuramente l’imperium ereditato dal rex verrà, seppur limitatamente, ripreso dai massimi magistrati. Il primo elemento
di discontinuità è l’elezione popolare dei magistrati, in virtù della fides; il suo potere è limitato a scongiurare il regnum,
mediante collegialità e annualità. Un magistrato aveva, nei confronti del suo pari, lo ius intercessionis (solo il tribuno
della plebe lo aveva verso tutti); inoltre, un accusato dai magistrati poteva rivalersi verso il popolo con la provocatio ad
populum. I magistrati erano un ponte fra Senato e comitia/concilia. Comunque presente è il criterio censitario; il cursus
honorum si prefigurava come: questura, edilità, tribunato della plebe, pretura, consolato, censura; l’imperium era
attribuito solo agli ultimi tre. L’amministrazione della giustizia era in mano ai pretori, urbani e peregrini, gli edili erano
incaricati di compiti giuridici sulla gestione di fiere e mercati; gli aspetti economico-finanziari erano di competenza dei
consoli, edili e questori, ma i censori gestivano il patrimonio pubblico; la cura urbis era compito degli edili.
Determinante era il censore, che verificava l’andamento della società e la cura morum. Eminentemente politico era
invece il tribunato della plebe; al di fuori della magistratura era il dittatore, in carica per sei mesi, affiancato da un
magister equitum.
2.3 Le assemblee popolari Le assemblee rappresentavano lo spazio istituzionale della partecipazione dei cives alla res
publica, nei tre comitia (centuriati, curiati e tributi), nei concilia plebis e nelle contiones. Esse rappresentano il
complesso dei cittadini divisi per censo e per territorio (la contio è un’assemblea di massa); elemento comune è
l’organizzazione per gruppi. Il comizio curiato è formato da trenta littori rappresentanti le trenta curie romulee; il
comizio centuriato, convocato dai magistrati cum imperio, ha criterio censitario (formazione militare); il comizio tributo
ha base territoriale, in base a tribù rustiche o urbane; il concilum plebis, convocato da magistrati plebei. I comizi
centuriati eleggono i magistrati cum imperio, i tributi quelli sine imperio, i concilia quelli plebei; solo i primi possono
dichiarare guerre. L’unica sede in cui il civis poteva manifestare la propria posizione era la contio, aperta a tutti i
presenti in città.
2.4 Il Senato Esso era il regista della vita politica a Roma: i senatori erano ex magistrati, tali a vita; la loro esperienza ne
conferiva un’autorevolezza di giudizio che diveniva auctoritas del Senato stesso. L’assemblea senatoria era convocata
da un magistrato, con principio gerarchico, ed essa disponeva delle sententiae, che riguardavano la gestione dello stato.
3. L’esercito
Carattere dell’ordinamento militare romano, garante del suo successo, fu la leva civica, non ricorrendo mai a mercenari.
L’assemblea centuriata propone l’assetto militare, dai Tarquini falangitico, con fanteria pesante, leggera e cavalleria.
Durante la seconda guerra sannitica fu introdotto l’ordinamento manipolare, più agile: i manipoli, formati da due
centurie, erano disposti su tre linee, hastati, principes e triarii (i leves erano aggiunti ai primi). Importante riforma fu
quella di Gaio Mario, che organizzò i trenta manipoli in dieci coorti, reclutando a base volontaria i capite censi (oltre a
scegliere l’aquila come unico segno). Le quattro legioni in due gruppi consolari erano affiancate dalle alae sociorum.
Inoltre, dall’originale reclutamento breve, si passò a forme più stabili, per guerre lunghe e stipendiate.
V L’espansione in Italia
1. Fasi e modalità
1.1 I prodromi Il governo della nascente nobilitas portò ad un’epoca di espansione territoriale verso nord e sud, su tutta
la penisola. Dopo la conquista gallica i popoli limitrofi tornarono ad azioni ostili, scongiurate da Roma anche con un
foedus con i Sanniti, in risposta a quello fra Galli e Greci. Ma i Sanniti, popolo osco-sabellico spinto a sud da Etruschi e
Galli, con il loro esercito ben organi