Storia romana, appunti
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STORIA ROMANA. 20 SETTEMBRE 2016
Roma ebbe tre fasi di governo: Monarchia, Repubblica e Impero; le fonti storiografiche tendono a far iniziare la storia romana nel
753 a.C. con Romolo e a farla terminare nel 476 d.C. con Romolo Augustolo; essa può essere ricostruita attraverso diversi filoni,
storia agraria, storia dell’esercito o ancora la storia politica e istituzionale ecc.…
Roma ha una sua caratteristica: rispetto ai greci che fin dai tempi più remoti si sono occupati in maniera minuziosa della loro storia
partendo dai miti e arrivando alla storia a loro contemporanea, Roma nei suoi primi secoli di vita non ha avuto una sua storiografia;
questa è nata durante le guerre annibaliche e il primo annalista fu FABIO PITTORE della famiglia dei FABII nel III secolo a.C.,
quindi cinquecento anni dopo la fondazione della città. In tempi arcaici esisteva la tradizione orale tramandata di padre in figlio
nelle grandi famiglie aristocratiche; tramandare il passato di Roma voleva dire tramandare la grandezza delle famiglie e proprio per
questo esistevano diverse tradizioni, poiché ogni famiglia la raccontava a favore proprio. L’unica tradizione scritta dei tempi più
antichi di Roma era quella dei pontefici: essi non erano propriamente sacerdoti come lo si intende oggi, ma erano politici che si
occupavano di questioni religiose; c’erano diversi collegi sacerdotali, ma quello dei pontefici aveva un compito particolare→ ogni
fine anno trascrivevano su delle tavole i fatti principali che sono avvenuti nel corso di quello: guerre, nomi di personaggi illustri, fatti
attinenti alla sfera del divino. Le tavole non si sa che fine facessero; secondo alcuni venivano imbiancate – per essere riutilizzate –
e le notizie trascritte venivano riportate su tavole di cera e poste in un tempio. Secondo altri invece le tavole venivano portate
direttamente al tempio e appese. 22 SETTEMBRE 2016
Uno dei problemi della storia di Roma è la sua periodizzazione; secondo le fonti antiche Roma sarebbe stata fondata il 21 aprile
753 a.C., è ovvio che non si ha la certezza esatta della data di fondazione ma sicuramente si ha la certezza di un insediamento
stabile intorno alla metà dell’VIII secolo a.C.
Congiuntamente alla data di fondazione le fonti forniscono la data di fine dell’Impero Romano d’Occidente, nel 476 a.C. quando
Odoacre depose il giovane imperatore Romolo Augustolo; il problema è che le fonti attingono dalla filosofia della storia. Se si
considera come data di crollo dell’impero romano il 476 d.C. sì da importanza alle invasioni barbariche, un barbaro che depone un
imperatore romano.
Andrè Piganiol, storico e archeologo francese in uno dei suoi scritti sostenne che un barbaro uccise l’imperatore e che lo
o stato non versasse in stato di crisi. In questa ipotesi la caduta dell’impero romano d’occidente è dovuta a fattori esterni. È
una teoria come un’altra; perché una civiltà inferiore è riuscita a distruggere una civiltà superiore? Piganiol nell’intento di
scrivere il libro pensava alla Germania del suo tempo (la Germania tre le due guerre), quindi è ovvio che il punto di vista
moderno andò a influenzare l’ottica che si aveva sul passato.
Michail Ivanovič Rostovcev, storico russo scrisse la storia sociale di Roma che fu di gran voga nei primi anni ’50 del ‘900;
o all’interno del libro c’era la tesi secondo cui la civiltà classica scendendo nelle masse produsse al suo interno nuovi
barbari. La civiltà greco-romana era elitaria, studiavano solo i ricchi o almeno chi se lo poteva permettere, la cultura allora
non era penetrata nelle masse (eccezione dell’Atene del V secolo a.C. governo di Pericle dopo le guerre persiane).
Quando una cultura diventa democratica, cioè filtra nel popolo si abbassa di livello inevitabilmente; questo è ciò che
accade all’interno dell’impero romano da un punto di vista sociale e culturale e economico. Lo si può notare a partire da
Caio Mario II secolo a.C. con la riforma che riguardò l’esercito; fino ad allora l’esercito era composto da soldati che
potevano armarsi da soli senza il sussidio dello stato, quindi l’arruolamento andava in base al censo. Si aveva quindi un
esercito cittadino, reclutato dallo stato e autofinanziato; la necessità di truppe porta Caio Mario ad aprire le file
dell’esercito anche ai ceti più abbienti che non si potevano permettere la spesa di un armatura; lo stato recluta proletari,
volontari, spesati dallo stato e anche non cittadini, facendo diventare l’esercito mercenario.
Rostovcev affermava che Roma divenne grande grazie all’esercito cittadino, ma che poi per svariate cause col passare
del tempo questo divenne mercenario; una volta il comandante dell’esercito era il console (la più alta carica dello stato)
che veniva eletto ogni anno e che rimaneva in carica un anno; questo faceva sì che non si creassero legami tra il
comandante e l’esercito, ma nel momento in cui il condottiero non è più il console ma un uomo che rimane i carica più
anni porta alla creazione di un forte legame tra i soldati e il loro capo. Ciò fa sì che l’esercito diventi una forza politica
perché non risponde più allo stato ma al suo generale. Sarà proprio l’esercito quella forza che per tutta la durata
dell’impero creerà e distruggerà imperatori; le file erano composte da povera gente ignorante, semianalfabeta che vedeva
nell’esercito un modo di riscatto dalla vita umile, i loro alleati provenivano dalla loro stessa classe; una vera e propria
rivoluzione contro la civiltà classica.
Rostovcev non aveva mai visto di buon occhio le masse, egli aveva provato sulla sua pelle la Rivoluzione d’ottobre del
1917, era ossessionato dall’idea che le masse avrebbero distrutto la civiltà russa prima e quella occidentale poi; nella
periodizzazione hanno sempre un peso le preoccupazioni del presente.
Edward Gibbon, storico inglese, secondo la sua interpretazione della storia romana ci sono due fattori di crisi:
o 1) La vittoria del Cristianesimo che aveva snaturato la civiltà classica.
2) I barbari
1 Gibbon precorre Piganiol; la crisi dell’impero romano d’occidente è dovuta alla fusione di elementi interni ed esterni. Se a
determinare la crisi del mondo romano è il Cristianesimo la deposizione di Romolo Augustolo è solo un episodio della
storia romana; per alcuni l’impero romano capitolò con l’Editto di Milano del 313 d.C. emanato da Costantino che
prevedeva la libertà di culto o nel 312 d.C. quando ci fu la battaglia di ponte Milvio dove Massenzio si scontrò con
Costantino; quest’ultimo fece incidere sugli scudi dei soldati il simbolo di Cristo. Il punto è che se l’imperatore era cristiano
dichiarato il popolo era davvero libero di professare un’altra fede? Gli anni intorno al 390 d.C. sono cruciali su piano
politico e religioso; in questo periodo l’imperatore fu Teodosio che proclamò il Cristianesimo religione di stato come
conseguenza gli altri culti vennero perseguiti. A Milano Teodosio si inginocchia davanti al vescovo di Milano ponendo il
potere polito in soggezione del potere religioso; secondo altri la fine dell’impero romano è la notte di natale dell’800 d.C.
momento in cui Carlo Magno si fa incoronare imperatore del Sacro Romano Impero Germanico.
Per la storia di Roma la tradizione orale e quella scritta sono fondamentali; la storiografia romana nasce durante le guerre
annibaliche; prima di allora si tramandavano esclusivamente fatti eccezionali il più delle volte legati alla sfera del divino. I romani
erano molto attenti e rigorosi nelle cerimonie religiose per ottenere il consenso divino, tutte le sconfitte venivano spiegate
affermando la rottura del rapporto tra Roma e le divinità; erano molto attenti ai segni divini, come il movimento degli astri. Infatti
secondo i romani il cielo era la casa degli dei, un’idea di origine etrusca. Le tavole dei pontefici davano delle indicazioni sulla vita
pubblica romana e la loro attenzione per il movimento degli astri porta al concepimento dei calendari; in questi manufatti veniva
indicato quando si doveva svolgere la vita pubblica, quando dovevano essere celebrate le feste e quando non si doveva svolgere
la vita pubblica. In età repubblicana cominciò a emergere l’idea di tenere il conto degli anni della città, il tempo veniva tenuto
conficcando un chiodo nel muro di un tempio; era utile indicare gli anni e per questo vennero creati i Fasti→ erano liste che si
occupavano degli imperatori dei magistrati, delle festività ecc.…
I più importanti erano i Fasti Consolari, delle liste in cui anno per anno era indicato il Console in carica: egli era la più alta carica
dello stato, ve ne erano due e venivano eletti ogni anno. Oltre ai consoli si cominciò a redigere le liste dei Pretori, degli Edili e poi
più in là quando venne creata la carica anche quella dei Censori.
I nomi dei “magistrati” romani appartengono tutti alle Gentes di Roma (la storia di Roma è la storia delle grandi famiglie
aristocratiche).
Nel periodo più arcaico di Roma subentrarono in città i Clan, gruppi di persone composte da 4000/5000 individui; la struttura
clanica ha come nucleo vincoli di sangue e di clientela. Quando un individue del clan era in difficoltà il capo clan interveniva sia
questi fosse una persona ricca sia che questi fosse povero; il clan è un gruppo compatto.
Com’è il rapporto tra Roma e i clan che vengono annessi ad essa? Il clan è originariamente estraneo alla vita cittadina, un esempio
è l’episodio che riguardò il clan dei Fabii: nel 477 a.C. (età repubblicana) Roma è già proprietaria di possedimenti sulla riva destra
del Tevere, questi sono di proprietà del clan dei Fabii. Veio, in conflitto con Roma, attacca e brucia alcuni dei terreni dei Fabii.
Questo è un vero atto di guerra, il clan appartiene alla civitas di romana, ma la città prende tempo e i Fabii scendono così in guerra
contro Veio; questo episodio serve per affermare che la struttura clanica e quella civica non sono sempre in accordo.
Da dove arrivavano i clan?
I clan generalmente provenivano dalla dorsale appenninica, e da qui si spingevano a valle in cerca di terre fertili e vicino al mare,
ma che non fossero paludose; i gruppi clanici erano composti da centinaia di unità, il più famoso fu quello dei Claudi il cui capo era
ATTA CLAUSUS (romanizzato APPIO CLAUDIO) sabino per nascita come altri due re di Roma (TITO TAZIO e NUMA
POMPILIO). Appio Claudio portò il suo clan sotto le mura di Roma, già età repubblicana, e chiese di poter entrare in Roma con il
suo gruppo e avere delle terre a disposizione; i romani un po’ per paura un po’ per prudenza decisero di concedere ad Appio
Claudio e alla sua famiglia di vivere entro le mura della città, mentre i 5000 componenti del clan avrebbero ricevuto terre, al d fuori
le mura, da coltivare con la clausola che tutti divenissero romani. Un episodio analogo e precedente ad Atta Clausus fu SERVIO
TULLIO. In età monarchica quando sul trono di Roma sedeva il re etrusco TARQUINIO PRISCO un clan comandato dai fratelli
CELIO e AULO VIBENNA arrivò a Roma e si stabilì su uno dei sette colli romani, che avrebbe preso nome di CELIO, appunto da
uno dei due fratelli; essi avevano un luogo tenente chiamato MASTARNA. Questo Mastarna altri non è, probabilmente, Servio
Tullio, che succederà sul trono a Tarquinio Prisco.
Un altro clan che si presentò sotto le mura romane fu quello di APPIO ERDONIO che arrivò con un gruppo di 4000 uomini;
questa volta però il clan non fu ammesso in Roma perché questa accresciuta in grandezza e forza poteva ora tenere testa ad un
gruppo consistente. La convivenza tra gruppo clanico gruppo civico resiste ma quest’ultimo diventa via via il più forte in quanto il
clan comincia a perdere le sue prerogative come ad esempio la legge del taglione. In questa situazione serviva una personalità
abbastanza forte (il Re) che amministrasse a giustizia; ciò provoca lo sgretolamento del corpo clanico in unità più piccole le
GENTES (singolare è GENS). La gens è un gruppo considerevole di persone che hanno in comune la caratteristica di ritenersi
discendenti da uno stesso antenato. Tutti i membri della stessa gens hanno lo stesso NOMEN (nome di famiglia), e la gens si
regge sul rapporto clientelare.
26 SETTEMBRE 2016
Quello di cui si sta parlando è il modo in cui veniva tramandato il tempo più arcaico di Roma; le memorie gentilizie sono le memorie
di ogni singola gens→ formata da varie famiglie che riconoscono un antenato comune. All’inizio del III secolo a.C. si usava dare al
cittadino romano 3 nomi:
2
EX: LUCIUS CORNELIUS SULLA (Lucio Cornelio Silla), PUBLIUS CORNELIUS SCIPIONES (Publio Cornelio Scipione), CAIUS
CORNELIUS LENTULUS; tutti quelli che hanno come secondo nome Cornelius fanno parte della gens CORNELIA; la gens con il
passare del tempo perderà la sua unità politica, ma non quella religiosa, ogni gens ha le sue tradizioni, i suoi culti, le sue divinità. A
mano a mano che si sviluppa la vita cittadina i clan e le gentes perderanno di valore e tenderanno a diminuire.
Si supera la fase clanica a favore della civitas, l’organizzazione gentilizia non è frutto della civitas, essa preesiste quest’ultima che
nasce dal compromesso e dall’accostamento delle varie gentes. La gens a sua volta arriva dalla frammentazione dei clan più
grandi diffusi in Italia Settentrionale esistenti già nel VI secolo a.C.; è la parte più importante del clan che va a formare la gens.
EX: il clan dei Claudi è il gruppo da cui discenderà la gens Claudia.
I principati etruschi erano clan, i principi si impadroniscono dei governi delle loro città: i Vibenna prendono il controllo di Veio.
Si installano in luoghi già abitati. L’unico esempio di clan che si è installato in un luogo dove non c’era già un’unità abitativa fu
quello che si stanziò a Murlo; qui ci sono le tracce di un palazzo polifunzionale, come quello di stampo minoico a Creta e di stampo
miceneo a Corinto, Micene o Argo. Il palazzo non è solo la residenza del principe, in esso sono presenti locali per i nobili, i clienti e
per la distribuzione delle attività e dei beni. Quindi il palazzo è un luogo dove imperversano politica, religione ed economia. Tipici di
Murlo sono gli ACROTERI in terracotta con indosso un copricapo simile a quello dei butteri e dei cowboy. Gli acroteri sono delle
statue che si trovano in cima e ai lati del fontone di un edificio, in genere un tempio. È l’insediamento stesso che va ad interagire
con la città e comporta come conseguenza il frammentarisi stesso del gruppo. Il potere a Roma ha carattere politico, religioso ed
economico.
Il cittadino romano ha due caratteri distintivi:
1) Appartenenza ad una tribù territoriale (distretto)
2) Trianomina, cioè tre nomi. Originariamente i nomi erano due il nome proprio della persona e il nome della gens di
appartenenza e sono detti PRENOMEN e NOMEN; i prenomen erano pochi (Aulus, Decimus, Lucius, Publius, Cneous,
Marcus, Magnus, Sestus, Septimus, Quintous, Tiberius, Titus), i nomi gentilizi invece erano molti, tra i più famosi si
ricordano Cornelius, Fabius, Valerius. Più tardi per distinguere le varie famiglie all’interno della gens venne aggiunto il
CONGNOMEN; era una specie di soprannome in genere legato a caratteristiche fisiche del soggetto, con l’andar del
tempo divennero ereditari divenendo una sorta di cognome; il cognomen non è mai stato obbligatorio però in quel caso se
un cittadino aveva solo prenomen e nomen per essere sicuri che fosse cittadino di Roma si andava a vedere se
apparteneva ad una delle tribù territoriali. Per quel che concerne le donne, esse avevano obbligatoriamente un nome
derivante da quello della gens, ma al femminile; se le figlie erano più di una le veniva dato un numero; Ex. Cornelia Prima,
Cornelia Seconda Cornelia Terza ecc. Oppure le veniva dato un nome derivato da quello della madre; Ex. Se la madre si
chiamava Claudia: Cornelia Claudia, Cornelia Claudilla. In età imperiale si è riscontrato che alcune persone avessero 3 o
4 cognomen; l’ingigantimento della nomeclatura era una conseguenza dell’adozione.
L’adozione poteva essere di due tipi:
1) Adozione di un minore: ADOPTIO
2) Adozione di un maggiorenne: ADROGATIO
In genere questa procedura serviva sia per fini politici sia per fini economici; le famiglie senatorie nel giro di poche generazioni si
ritrovavano impoverite questo perché tutti i figli erano eredi del padre, comprese le donne, non esisteva la legge secondo cui il
primogenito era erede universale, quindi un patrizio divideva i suoi appezzamenti tra i suoi figli, da grande proprietà si passava a
sempre più piccole proprietà; per ovviare a questo graduale impoverimento si ricorreva o ad alleanze matrimoniale o alla pratica
dell’adozione.
Ex. PUBLIO CORNELIO SCIPIONE (figlio di SCIPIONE L’AFRICANO) adotta LUCIO EMILIO PAOLO (figlio dell’omonimo che
sconfisse Perseo a Pidna). Dopo l’adozione si chiamerà Publio Cornelio Scipione, perdendo nomen e prenomen di origine; capita
molte volte che gli adottati volgiano tenere parte del nome della famiglia di origine arrivando anche ad avere nomeclature
smisurate; nel caso sopra diventerà PUBLIO CORNELIO SCIPIONE EMILIANO (distruttore di Cartagine).
L’atto dell’adozione è un affare di stato infatti l’adottante sia che adotti un bambino sia che adotti un adulto deve presentare tutta la
documentazione della pratica di adozione al Comizio Curiato, l’assemblea del popolo, perché ad esso doveva essere nota
l’intenzione dell’adottante e perché solo il popolo nella sua interezza poteva approvare, perché egli sempre nella sua interezza può
avere il consenso degli dei. Il comizio curiato ha il potere di sancire adozioni per tutto il periodo della repubblica; queste
particolarità mettono in evidenza la centralità della gens che ha conservato il ricordo dell’antica Roma.
Moltissimi ricordi dell’antica Roma sono ricordi gentilizi, di singole gens, oppure di sacerdoti, i cui atti hanno significato pubblico,
essendo i sacerdoti stessi uomini che in quel periodo ricoprivano cariche pubbliche politiche; esistono degli elenchi che indicano i
titolari delle cariche pubbliche dalla creazione della Repubblica; questi elenchi sono chiamati FASTI.
Il detentore di una carica pubblica viene chiamato genericamente MAGISTRATO; succede che a volte nei fasti vengano aggiunti
anche i fatti più importanti che accadono nel corso di una magistratura. La storiografia e l’antiquaria sono essenziali per la
ricostruzione della storia; tra le svariate fonti che si possono utilizzare per ricostruire ogni aspetto della Roma antica ci sono le
IMAGINES MAIORUM: sono le immagini degli antenati; nell’antichità c’era l’usanza di prendere in letto di morte l’imago di cera del
defunto, questa veniva messa nell’atrio delle famiglie patrizie in armadi chiusi con grate; le gentes avevano molte imago, i romani
credevano che i defunti partecipavano ancora alla vita della famiglia. Queste imagines si accrescevano di secoli e così fu
necessario scrivere il nome ad ognuna; ben presto a maggior lustro della famiglia si comincia a scrivere sotto il nome l’insieme
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delle cariche pubbliche che l’individuo ha ricoperto in vita. L’insieme delle cariche pubbliche viene definito CURSUS HONORUM
cioè la carriera politica di un uomo; insieme a questo vennero annoverate anche le azioni di guerra, RES GESTAE, imprese
compiute. Le tre componenti rivestono grande importanza per la trasmissione della storia romana. 27 SETTEMRE 2016
Quando un centro abitato diventa città?
Weber affermava che si ha una città quando vi è un centro di consumo; la formazione della città presuppone l’esistenza di
istituzioni civiche (organizzazione del comune, sindaco, assessori, polizia…). Essi si fondano sul riconoscimento comune di
appartenenza ad una comunità; il corpo civico deve avere un insieme di motivazioni morali, un mondo comune per stare insieme
(religione, politica, spiritualità); in questo ambito rientra il concetto di appartenenza e tolleranza. È dalla formazione del corpo civico
che nasce l’esigenza di tramandare i ricordi del pericolo più antico di Roma; la prima città di Roma aveva le mura intorno al
Palatino e in essa vi erano le porte che portavano all’esterno della città; una di queste porte veniva chiamata TIGILLUM
SORORIUM. Perché veniva chiamata così? Gli antichi romani spesso e volentieri quando c’era qualcosa che non sapevano
spiegare un nome per esempio cercavano di spiegarlo razionalmente facendolo derivare da un episodio mitico legato alla parte più
arcaica della storia di Roma; si racconta nelle fonti che in età monarchica Roma era in guerra con la città di Albalonga e per
decidere le sorti di questa faida scelsero di far combattere 3 fratelli romani, gli Orazi, contro 3 fratelli albani, i Curiazi. Durante il
duello i primi che caddero furono due degli Orazi, il terzo con astuzia si diresse verso Roma riuscendo a dividere i 3 fratelli rivali e
uno a uno li uccise conquistando così la vittoria per Roma. L’Orazio spoglia delle armi i suoi avversari (è tradizione nell’antichità
che il vincente abbia come ricompensa l’armatura e le armi del vinto) e fa ritorno a Roma dove viene accolto dal popolo in festa,
solo una persona non festeggia; sua sorella fidanzata con uno dei Curiazi riconosce l’arma del suo amato e piange, il fratello irato
dall’affronto la uccide sotto la porta che in suo onore verrà chiamata Tigillum Sororium. Quando a Roma nasce una coscienza
antiquaria nasce una coscienza storiografica; il primo romano a parlare di Roma sarà FABIO PITTORE appartenente alla gens
Fabia, nel III secolo a.C. quasi 500 anni dopo la fondazione di Roma; Pittore scrive in greco perché ancora non esiste una
narrativa storica romana. A partire dal IV secolo a.C. TIMEO di TAORMINA inserisce la storia di Roma negli annali greci, ma
ancora la civiltà romana non è così espansa da preoccupare i greci; paradossalmente sono proprio i greci a essere i primi a parlare
di Roma.
Da dove traeva Pittore le modalità di scrittura dei greci?
Tutta l’Italia costiera meridionale dall’VIII secolo a.C. era puntellata di colonie greche che andarono a formare quella che oggi
chiamiamo MAGNA GRECIA. Oltre al queste ve ne furono altre in Sicilia; l’influenza greca penetra lentamente a Roma comunità
conservatrice, diffidente e culturalmente arretrata, mentre invece viene ben assimilata in Etruria; i principi etruschi studiavano
greco e assorbivano i principi dell’arte greca. Gli influssi greci entrarono a Roma con gli Etruschi nel VI secolo a.C.; insieme
all’influenza artistica arriva anche quella letteraria. La storiografia greca a cui si accostano i romani, riflette il modo di pensare dei
greci che è impregnato di sentimento religioso ma razionale; i greci volevano sempre capire il come, il dove e il quando venivano
create le cose o perché succedevano gli eventi; i romani non si ponevano queste domande se non in modo molto elementare,
mancava il modo filosofico che avevano i greci.
Per i romani tutto era collegato al rapporto popolo-divinità, l’uomo romano per eccellenza, l’uomo Pius doveva essere un buon
padre di famiglia, buon politico, buon soldato, pietoso nei confronti degli dei (timoroso) da cui deriva il consenso per qualsiasi
attività; la vittoria in battaglia dipende dal volere degli dei che sono in favore dell’uomo. La grazia degli dei c’è quando l’uomo è in
pace con essi, la PAX DEORUM, si è in pace quando si eseguono i dovuti riti e i dovuti culti.
_Non si hanno ricordi precisi del conflitto fra etruschi e romani per quel che concerne l’affare del sito del Tevere nel V secolo a.C.
Secondo le fonti si presentò alle porte della città il re di Chiusi PORSENNA che chiese di poter entrare a Roma; ORAZIO
COLCLITE a capo dell’unico ponte il Sublicio e da solo affronta gli Etruschi; alle sue spalle i romani segano il ponte (di legno) e ci
sono due versioni: o sopravvive o muore. Questo è uno dei tanti exempla su cui si studiava storia romana e da questi che emerge
la virtù del buon romano; sono propri di una mentalità primitiva, ma nonostante ciò hanno un profondo ethos. Altro exempla legato
a questo episodio vede MUZIO SCEVOLA deciso ad uccidere Porsenna ma sbaglia persona e uccide uno schiavo e per questo si
punisce bruciandosi la mano destra. Altro exempla: Porsenna rapisce delle nobildonne tra cui Clelia che riesce a convincere le
altre a scappare attraversando il fiume; il re di Chiusi colpito dal coraggio decide di togliere l’assedio. Dionigi di Alincarnasso e Tito
Livio scrivono entrambi sulla storia di Roma, uno dice che la città è divenuta grande per le sue virtù morali (Tito); fa storia secondo
la tradizione, egli scrive in età Augustea. Ottaviano diventa padrone di Roma dopo la Battaglia di Azio nel 31 a.C.; egli ha la
capacità di recuperare tutti i valori morali della tradizione romana; come? Dopo Azio, Augusto assume cariche pubbliche ma non si
pone come padrone assoluto dello stato romano e tra lui e il senato comincia una lunga opera di trattive che portano alle Sedute
Senatorie del 27 a.C.
Si presenta in senato e restituisce lo stato a Roma (senato e popolo); il senato gli riconosce virtù eroiche e dedica ad Ottaviano
uno scudo su cui sono incise le 4 virtù del romano che comanda su Roma:
Virtus
Pietas
Giustitia
Clementia
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Questo avviene nella I seduta senatoria mentre nella seconda conferiscono ad
Ottaviano il titolo di AUGUSTUS; questa carica ha valenza religiosa deriva dagli
Auguri coloro che osservano il volo degli uccelli e da Augere, colui che rende
grande Roma. La sua non è una monarchia ufficiale ma lo è per le sue virtù
eccezionali e quindi sta al di sopra degli altri (appena la dinastia Giulio-Claudia si
estinse cominciarono le lotte per la successione).
Augusto salvò il popolo dalle guerre civili e si pose come obbiettivo la Pace→ Pax;
in contemporanea sembra che realizzò una fine della storia romana come se
questa fosse destinata a terminare con la figura di Ottaviano. Come altri imperatori,
oltre Cesare volle regalare a Roma un foro, riprese la propaganda dei poeti e dei
filosofi: uomo della provvidenza, reincarnazione delle doti del Pius Eneas.
Foro di Augusto: Questo si inserisce in un tessuto urbano già costruito,
o ma si inserisce in uno spazio con grandi limiti. La sua realizzazione fu lunga, soprattutto per gli standard romani. Il tempio
del Foro, cioè la struttura principale, viene votato da Ottaviano il giorno prima della Battaglia di Fillippi. Ottaviano promette
di dedicare il tempo a Marte, Dio della Guerra. Ottaviano cerca l'appoggio del Dio della guerra, ma in un'accezione
particolare, cioè quella di ultore che vuol dire vendicatore. Infatti Ottaviano vuole vendicare gli assassini di Cesare. Il
complesso del Tempio e del Foro verrà inaugurato solo nel 2 a.C., cioè quasi quarant'anni dopo l'inizio dei lavori. Quindi
chi aveva partecipato alla battaglia di Filippi, all'inaugurazione del Tempio non ci sono più. Ottaviano è ancora vivo, ma
solo perché alla battaglia di Filippi aveva solo 20 anni. I tempi di costruzioni così lunghi si possono giustificare con la
guerra civile e una serie di conflitti interni che rallentamento il corso dei lavori. Però quarant'anni sono tempi lunghi. Uno
dei motivi della lentezza dei lavori è quello di far dimenticare l'occasione della dedica, cioè il fatto che il tempio viene
promesso durante una guerra civile, in cui gli avversari però sono romani. Inaugurare un Tempio a Marte Vendicatore per
l'assassinio di un romano per mano di altri romani significava aprire una ferita ormai chiusa da tempo. Il Tempio viene
inaugurato, dedicandolo alla divinità a cui era stato promesso (non si poteva rompere un patto del genere nella religione
romana), tuttavia si dedicava a Marte Ultore indirizzandolo ai nemici esterni, quindi Marte vendicatore di tutti i nemici
esterni allo Stato Romano. Il complesso è una grande piazza, chiusa da due portici laterali molto profondi. Questi sono
ampliati ulteriormente da due esedre, cioè due sale circolari coperte. Sono collocate, oltre portici molto profonde, in una
zona molto protetta. Dentro la piazza si trova il tempio, perché non era possibile porlo al di fuori, infatti alle sue spalle ci
sono le pendici del colle. Alle spalle del foro di Augusto si estende il quartiere della Suburra, cioè un quartiere popolare. È
un quartiere composto da edifici facilmente infiammabili. Quindi per cercar di preservar il complesso del foro, alle sue
spalle viene ideato un muro, alto circa 30 m, costruito in materiale ignifugo (che non si distrugge con il fuoco). Il materiale
che costituisce il muro è pietra gabina e peperino. Attualmente del Foro di Augusto si vede la parte della piazza che
comprende il Tempio e le due esedre. La ricostruzione del foro è stata fatta sulla parte della porzione in vista, dello studio
dei materiali raccolti da fine Novecento ad oggi. L'intero complesso è collocato all'interno di un quadrato immaginario di
dimensioni 120 x 120 m (400 piedi romani x 400). Però la forma non è quadrate. Infatti si tratta dell'ingombro massimo
dell'intera struttura. La piazza ha una dimensione di 10 x 50 m, cioè lo spazio completamente libero. Il tempio è lungo 50
m e appoggia su un podio alto 3,5 m. Questo complesso è caratterizzato da un uso abbondante di marmo, tutte le sue
superfici erano marmoree. Quindi il marmo veniva usato per rivestire le pareti, ma anche le colonne, i pavimenti e le
alzate sono tutti rivestiti in marmo. I romani impiegavano un materiale prezioso come il marmo solo per ricoprire la
struttura e non per costruire direttamente con quel materiale. Il marmo è usato per gli elementi liberi, invece le strutture
sono costruite in materiale locale, regionale e poi rivestite in marmo. Oltre all'impiego massiccio del marmo all'interno del
Foro, il marmo impiegato nel foro è nella maggior parte colorato. Si tratta di una grande novità. Con il Foro di Augusto
compare un impiego abbondante di marmi colorati, che però sono più preziosi. Ogni colore è associato all'origine stessa
del marmo, cioè dal territorio da cui proviene. Il marmo viene preso da una cava specifica, in Turchia, Egitto e via
dicendo. Oltre alla scelta estetica del colore, del disegno e della qualità del marmo, c'è anche la possibilità di dimostrare
che l'Impero partecipa alla bellezza di questi monumenti. Quindi durante l'età augustea molte delle cave di marmo
passano al demanio imperiale. Infatti il marmo è il materiale più pregiato e più costoso in assoluto.
Il Tempio di Marte Ultore è un edificio significativo, con la sua costruzione viene messo a punto una decorazione
architettonica che diventerà tipica nell'arte imperiale. La cella interna è molta vasta e viene riproposto il modello di Venere
Genitrice, anche se in formati ridotti. L'abside sul fondo crea uno spazio speciale per le statue di culto. Qui il Tempio è sì
dedicato a Marte, ma sappiamo che nella cella, a fianco a Marte, c'erano Venere ed il Divo Giulio. Da una parte la famiglia
e l'esaltazione della famiglia a cui Augusto appartiene, dall'altra parte Roma e le ragioni che hanno portato a far grande lo
Stato Romano, rientrano nel programma del Foro. Nelle esedre erano collocate le statue di numerosi personaggi,
disposte secondo un preciso programma. I frammenti ritrovati sono tanti, ma mal ridotti. Entrando nel foro il lato sinistro
era dedicato alla famiglia Giulia, quindi nell'esedra di sinistra, cioè uno spazio composto da nicchie di grandi dimensioni
disposte lungo la parete, trovavano posto Enea con il figlio Iulio ed il padre Anchise.
5 Poi i re di Albalonga. Speculare a questa parte c'è Romolo trionfatore. Anche in questo caso non abbiamo la statua
originaria, ma conosciamo l'iconografia da testimonianze di altro tipo. Al centro della piazza nel 2 a.C., al momento
dell'inaugurazione del Foro, il senato dedicata una quadriga ad Augusto. A questo viene dato l'appellativo di Padre della
Patria, cioè il padre di tutto i romani.
Se Augusto ottiene un titolo di questo tipo, ottiene un potere assoluto su tutti i cittadini. Da questo momento il titolo verrà
dato ad ogni imperatore. Non è un titolo solo onorifico, ma ha un valore specifico a livello giuridico. Anche l'attico dei
portici era colorato. Nella parte altra del portico c'erano una serie di figure femminili, cariatidi, e degli scudi con Ammone
nel centro. Il significato delle cariatidi è stato discusso dagli studiosi, la maggior parte vi vedono immagini di popolazioni
sottomesse. Secondo la leggenda le cariatidi sono le donne di Cari che per un torto commesso devono pagare, scontare
la pene. Quindi in questo senso è la sottomissioni delle popolazioni conquistate e sottomesse. Di conseguenza il loro
significato è trionfale. Ammone invece rimanderebbe alla conquista dell'Egitto. Questo riporta ad uno dei significati
possibili attribuibili ai fori imperiali: questi erano costruiti con i bottini di guerra. I fori imperiali possono essere collegati ai
generali trionfali. Questi offrivano edifici al popolo romano, con lo scopo di rendere eterno il loro ricordo. Nella pianta del
Foro c'è un ambiente asimmetrico, dovuto alla particolare condizione in cui il Foro è costruito. La struttura in questione è
una struttura a se stante privilegiata. L'ambiente è rivestito in marmi molto pregiati, dove prevale un marmo bianco venato
di porpora. Con questo viene rivestita la base di una statua colossale, altra circa 12 m. I frammenti ritrovati non
permettono di riconoscere il soggetto. L'ambiente è molto prezioso, è collocato in fondo al Foro, in una posizione protetta,
è unico ed è conosciuto come Aula del Colosso. Il fondo dell'ambiente era rivestito di lastre di marmo bianco, dipinte di
azzurro (realizzate con il lapislazzulo). Quindi azzurro, porpora ed oro che stanno ad imitare una stoffa decorata che fa da
sfondo alla statua. Il tutto sta a sottolineare la preziosità del luogo.
L’idea del principato doveva avere una rappresentazione monumentale che è riflessa nel Foro di Augusto; tutta la storia di Roma si
specchia nella Gens Giulia che si conclude con Ottaviano, il Pater Patria. La storia romana riassume il grande passato di Roma in
sé, il mito di Augusto è la fine della storia di Roma; è una visione propagandistica teologica. È propria anche di Livio che accetta
l’ideologia augustea che cambierà sostanza con il Cristianesimo. 29 SETTEMBRE 2016
Si parla di una storiografia allineata al regime augusteo, Augusto, per quanto Princeps clemente, non era disposto ad accettare un
contraddittorio di tipo politico, comandava solo lui e non tollerava voci di dissenso. La visione finalistica della storia romana, che
doveva culminare con Augusto, comporta anche un recupero di miti e storie mitiche, già diffuse ampiamente da secoli, a Roma e
nel Lazio, ed ora usate come celebrazione del regime augusteo.
Il manifesto propagandistico della letteratura del periodo augusteo è l’Eneide, ci sono ascendenze di Roma che non sono greche,
bensì troiane; si trattava poi di accostare alla storia di Enea altre storie, per formare un corpus mitico coerente per la fondazione di
Roma, città destinata a diventare padrona del mondo.
L’esaltazione di Enea si fa attuale nell’Età Cesariana, perché alla stirpe di Enea veniva attribuita la gens Giulia, gens che aveva
adottato Augusto, quindi la saga di Ascanio, figlio di Enea, che fonda Albalonga ed Enea che fonda Lavinium sono tutte leggende
che poi confluiscono nella storia dei gemelli che discendono dai re di Albalonga; quindi l’elaborazione storiografica va di pari passo
con l’elaborazione mitica.
Molti parlavano dei rapporti tra i popoli del Lazio ed Ulisse, vi era una tradizione che parlava della morte di Ulisse per mano del
figlio che generò con la maga Circe.
Un altro eroe molto attestato in Italia era Diomede, eroe che avrebbe colonizzato dalla coste pugliesi fino alle coste venete, e
sarebbe stato particolarmente venerato a Padova.
In epoca storica i rapporti tra Romani e Greci non erano buonissimi, quindi si decide di porre come capo della stirpe il troiano
Enea, che nella sua storia aveva fama di essere “pio”, “Pius”, perché scappa da Troia in fiamme portando con sé i Penati, ovvero
le statuette divine di Troia, ma si porta anche sulle spalle il padre Anchise e per mano Ascanio o Iulo, mentre la moglie di Enea,
Creusa, viene da lui persa di vista e non verrà più ritrovata.
Secondo alcune fonti Enea sbarca a Cartagine e intreccia una relazione con Didone, ma poi se ne va e Didone lo maledice e
questo sarà l’antefatto della discordia tra Roma e Cartagine.
La storia di Roma presentata da Livio e Dionigi di Alicarnasso parla di una storia lineare, che ha un progresso, ed Augusto
rappresenta il culmine di tale progresso. La storia lineare è sempre ottimistica.
Fede della classe dirigente nel destino florido di Roma, quindi si parla di un destino imperiale di Roma.
Questa fede nella grandezza di Roma è molto sentita, vi è la consapevolezza che la grandezza di Roma deriva dall’alleanza di
Roma con gli dei.
Riprendono il mito di Roma: Carlo Magno, gli Ottoni, gli Asburgo, il Fascismo…
La fede nei destini di Roma accompagna gran parte della storia delle idee di Roma in Età Imperiale.
Ma non tutti avevano una concezione lineare ed ottimistica della storia di Roma poiché, se la storia è un progresso continuo, che
culmina con Augusto, dopo questo punto vi è la discesa, la rovina, e infatti dopo il massimo splendore comincia l’involuzione.
Coloro che hanno tale pensiero, soprattutto chi non era d’accordo con il regime augusteo, cercano di spiegarlo con l’età dell’uomo:
l’uomo ha avuto una nascita, una crescita, una giovinezza, una robusta maturitas, poi la vecchiaia; in questo caso la concezione
lineare è parabolica, e prevede l’idea di decadenza.
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La storia parabolica poteva essere piegata ad una teoria ciclica, soprattutto per chi considerava la storia di Roma dal punto di vista
costituzionale, quindi secondo le sue forme di governo: la storia di Roma è contrassegnata dai 7 re di Roma, con infanzia
monarchica, poi Roma aristocratica, poi “in un certo senso democratica”, al tempo delle guerre civili, dai Gracchi a Roma, poi
Roma sprofonda nella decadenza, quindi nelle guerre civili viene vista una sorta di vecchiaia; alla fine delle guerre civili vi è
Augusto, che quindi in questo senso viene visto come il compimento di una storia parabolica. Ma Augusto impone a Roma un
governo di tipo monarchico, quindi permette a Roma di rivivere un’altra infanzia, e dopo vi sarà un altro ciclo. Quindi con Augusto
la storia, che era parabolica, diventa ciclica.
Generalmente la storia ciclica è negativa, come per Tacito, mentre nel caso di Augusto è ottimistica e propagandistica. Nella storia
ciclica non è presente un finalismo, la storia ciclica tende a ripetere sé stessa ed i propri errori, quindi sia la propria evoluzione, sia
la propria involuzione.
Rostolveff dice che ciò accade perché gli uomini sono sempre gli stessi e fanno sempre gli stessi errori.
La storia lineare viene accolta anche nel mondo cristiano, ma la differenza è che con il cristianesimo il fine è dopo la storia,
nell’aldilà. Il pensiero razionalistico, che non si identifica con il pensiero cristiano, che tipo di concezione hanno? Lineare, con il fine
che si realizzare alla fine di un lungo processo storico, esempio è il Marxismo: in antichità prevale il sistema schiavistico, poi vi è il
sistema medievale che è feudale, e poi vi è il periodo industriale, quindi vi è un progresso, perché sempre più persone vengono
sfamate. Quindi la storia umana è un continuo progresso, che con la vittoria del proletariato, arriverà ad un momento in cui tutta
l’umanità sarà felice; ma la felicità sarà sempre nella storia, non al di là della storia. Quindi cristianesimo e marxismo sono
imparentati, ma il cristianesimo vede il finalismo al di fuori della storia, mentre il marxismo vede il finalismo all’interno della storia.
Noi sappiamo molto poco dei primi 5 secoli della storia di Roma, al punto che in Età Illuministica, molti studiosi iniziarono ad
elaborare delle teorie ipercritiche sulla possibilità di fare la storia antica.
Gli storici hanno iniziato a parlare delle storia di Roma nel 3 Secolo A.C., ma se tutti i secoli prima presentano aspetti di forte
oscurità, noi possiamo azzardare di costruire delle teorie: gli ipercritici più radicali pensano che non si possa dire niente. Mentre,
tutti coloro che accettavano come storici tutte le tradizioni mitiche, ricostruivano la storia del passato su basi mitiche
Ma nella seconda metà del Settecento si crea una corrente, che è intermedia tra le due correnti: si può parlare della storia di
Roma, ma esercitando una critica razionalista su ciò che si può sapere, come De Beaufort e Niebuhr.
Niebuhr era un filologo danese, e figlio di un diplomatico e primo grande viaggiatore dell’Occidente in Oriente, che non è né
commerciante né missionario, che andò fino in India, a Bombai. Niebuhr impara dal padre che il mondo antico non si limita
all’Occidente. Niebuhr conosce: un grande filologo italiano dell’Ottocento, Angelo May, che scoprì un sistema per leggere i testi
scritti e riscritti su uno stesso supporto e conosce Leopardi, che apprezzerà molto. Niebuhr pone i problemi della gens e della
civitas, ma è anche il primo che studia scientificamente il problema dell’“ger publicus”. Per ricostruire la verità storica però gli
studiosi dovevano distinguere il vero dal troppo e dal vano, quindi Niebuhr arriva all’essenza delle cose.
De Beaufort legge i testi ed esercita la ragione; enuncia un principio: se noi abbiamo un monumento epigrafico, come un sasso
scritto, molto antico, è di questo che dobbiamo servirci per ricostruire la storia antica di Roma, perché quello che scrivono gli storici
può essere corrotto. Il documento epigrafico è qualcosa di oggettivo, quindi è un documento coevo alla storia che sto scrivendo.
Giacomo Boni in una zona del Foro Romano trova un’Area Sacra, che era stata più volte pavimentata, ed uno dei rifacimenti è
stato fatto in pietra scura, nel 6 Secolo A.C., denominata Lapis Niger. Boni solleva le lastre della pavimentazione e scopre un
complesso sacro, forse il “Volcanal”, un santuario del Dio Vulcano, e qui trovò un altare, il basamento di una colonna tronco –
conica, ed un parallelepipedo di pietra, con sopra un’antichissima iscrizione, risalente al 6 Secolo A.C., scritta in un latino arcaico,
ma forse tale iscrizione conteneva delle invettive, maledizioni, nei confronti di chi passava di lì, quindi era una zona interdetta al
passaggio, chi passava di lì diveniva “sacer”.
Una parola che era scritta su questo parallelepipedo è “RECEI”, quindi viene attestato il re. Per la prima volta si trova un’iscrizione
epigrafica che attesta la presenza di un re nel 6 secolo A.C., quindi questo è un esempio dell’importanza della documentazione
epigrafica rispetto alla fonte letteraria.
Boni trova poi la base di un bicchiere su cui è inciso “REX”.
Lo storico Polibio, è un greco, che afferma che il 1° Trattato di navigazione tra Roma e Cartagine risale al 1° anno della
Repubblica, 509/508 A.C.; dal punto di vista della tradizione letteraria, Polibio è l’unico che parla di un trattato tra Roma e
Cartagine in epoca così antica. De Beaufort analizza il trattato di cui parla Polibio, e qui si dice che l’influenza di Roma arrivava a
Sud fino a Terracina, e le scoperte successive dimostrano che l’affermazione di Polibio era vera. De Beaufort dice che leggendo
bene l’opera di Polibio si legge che il trattato tra Roma e Cartagine, nel giuramento che sancisce il trattato, i Romani giurano su un
dio che è “Giove Pietra”, un dio che in età storica non è noto, un dio che è quindi molto arcaico. Quindi la venerazione del dio
“Giove Pietra” porta a pensare ad un dio molto antico, quindi questo elemento può essere datato al 1° anno della Repubblica,
quindi forse è vero anche che Roma controllava un grande territorio; questo significa ricostruire frammenti di verità storica secondo
il metodo critico.
Livio racconta la storia della caduta di Tarquinio il Superbo, dopo la sua cacciata vengono eletti due consoli, Giunio bruto e
Tarquinio Collatino; ma il popolo inizia a rumoreggiare contro Collatino, perché si chiamava Tarquinio, quindi Collatino si ritira, ed
al suo posto diventa console Publio Valerio Publicola.
Nel Novecento gli archeologi scavano a Satricum, Pomezia, nel tempio di Mater Matuta, e nel basamento del tempio scoprono che
una pietra è stata poggiata nel pavimento con un’iscrizione interna che recita sicuramente una dedica al dio Marte: “Poplosio
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Valesiosio suodales Mamertei”, ovvero “I compagni (sodali) di Publio Valerio dedicano a Marte” ma “suodales” si riteneva fosse
una parola del 2 Secolo A.C., ma qui compare su un’iscrizione del 5 Secolo A.C. Quindi questo Publio Valerio potrebbe veramente
essere Valerio Publicola, che prima non era certo fosse veramente esistito.
I Greci quando parlavano della fondazione di una città si chiedevano: Perché? Come?
Noi non sappiamo quando nasce Roma, anche se sono stati fatti molti progressi. Certamente Roma non è uno dei primi centri
laziali che fioriscono, anche se aveva una caratteristica che favorì la sua posizione geografica, si trovava sulla riva sinistra del
Tevere, in un punto in cui il Tevere compie una curva, per scendere verso sud-ovest ed immettersi nel Mar Tirreno. Roma era
collocata “sulla via commerciale dei frigoriferi”, perché Roma si trovava sul Tevere, sulla strada grazie alla quale da Ostia veniva
trasportato verso l’interno il sale. Il sale era un importante strumento di conservazione.
Roma sorge relativamente tardi perché dove il Tevere curva rallenta la sua corsa, al punto che dà origine all’Isola Tiberina, e il
Tevere in caso di piene si riversava nella valle del Foro; quindi tutta l’area del Teatro di Marcello, Sant’Omobono, venivano allagate
dalle ricorrenti piene, quindi era presente la malaria. Ecco perché i colli di Roma erano abitati solo sulle cime, al di sotto era
malsano.
Il Foro quindi era adibito a cimitero. Nel Foro confluivano le piene del Tevere, ma anche tutti i torrenti, quindi i Romani
canalizzarono questi corsi d’acqua, questa tecnica i Romani la impararono dagli Etruschi.
È solo in età moderna che si riuscì a fermare le esondazioni del Tevere con gigantesche mura.
Vi era un santuario dedicato a Portumnus, che era il protettore dei marinai e del porto.
L’Africa e l’Egitto erano produttori di grano per Roma, prima lo era la Sicilia, ed il servizio dell’annona si occupava di tali rifornimenti
di grano.
Quando però nasce la città ed il Foro diviene il centro della città, e dopo opere di bonifica viene pavimentato, la zona cimiteriale
viene spostata sul Colle Esquilino.
Ma vi sono due tipi di tombe, che spesso convivono: inumazione e cremazione.
Nel mondo laziale, a est del Tevere, vi è una sepoltura arcaica, che funge per gli studiosi da “fossile guida”, ovvero l’ “urna a
capanna”, che recano le ossa del morto, le ceneri, e oggetti miniaturizzati, come armi per gli uomini, o pesi del telaio per le donne.
L’urna a capanna è tipica della civiltà laziale, e tombe di questo tipo di trovano a Gabii, Acquacetosa…
Mentre a Nord del Tevere, nel mondo etrusco, sepoltura tipica era il “biconico villanoviano”, ovvero un vaso, che aveva varie
forme, che sopra aveva un coperchio. A volte, al posto del coperchio viene posto un elmo, che identifica l’urna di un guerriero.
Detto villanoviano perché il primo esemplare fu trovato a Villanova, Bologna.
Il mondo etrusco si evolve prima del mondo romano, ha rapporti con il mondo laziale, ma non immediatamente con Roma. Il
mondo etrusco ha rapporti con la Campania, dove vi sono i Greci, che hanno fondato Cuma e Pitecusa (Ischia). Greci ed Etruschi
si odiavano cordialmente, perché erano rivali nel commercio del Mar Tirreno. Pare che nell’8 Secolo A.C., quando gli Etruschi
andavano verso la Campania, invece di passare per la zona di Roma che era malsana, passavano attraverso la strada dei laghi,
quale il lago di Albano, di Nemi. Roma, più tardi si sostituì ai vari centri, come Albalonga.
Due, tre secoli dopo, si inserirà un’altra potenza, Cartagine. 3 OTTOBRE 201
Le prime fasi dell’origine di Roma si svolgono in un contesto storico e geografico in cui i popoli latini che vivono sui colli sono
comunque in contatto con altre popolazioni italiche, Cumani ed Etruschi, i quali non erano necessariamente situati a Roma, nella
zona dei colli; anzi la zona dei colli era evitata per le sue malsane condizioni climatiche. Comunque, tra il XI e VIII secolo a.C., i
rapporti tra questi mondi sono frequentissimi perché il Lazio, intorno a Roma, è una terra di passaggio.
La storia è vista come un insieme di pezzi, tessere che formano complessivamente un puzzle.
Con le tessere, possiamo ricostruire il quadro e la storia. Ma quante tessere sono quantitativamente necessarie per giustificare e
provare dei fatti storici? Nel caso non dovessimo avere delle tessere, cosa si fa? Si operano delle congetture, delle ipotesi e giudizi
basati su dati non probanti che costituiscono un perito ed un dovere dello storico; ma la ricostruzione, ricomposizione e
scomposizione dei dati, deve essere critica ed onesta. La congettura permette di “ricostruire fino a prova contraria” dei dati e fatti
storici, ma quello che diciamo non ha nessuna certezza di esattezza.
Quando si può parlare di una forma urbanistica a Roma? Grazie agli annalisti romani, a partire dal III secolo a.C., vengono offerte
diverse date riguardanti fondazione della città di Roma (Ab urbe condita), anche se si è generalmente unanimi nel riconoscere
tendenzialmente intorno all’ottavo secolo o, addirittura, al nono secolo a.C., più precisamente nell’814 a.C. che è la data della
fondazione di Cartagine; in quest’ultimo caso, l’annalista voleva offrire un sincronismo tra la fondazione di Roma e quella di
Cartagine, ma la maggior parte degli annalisti preponeva VIII secolo come datazione della fondazione di Roma e questa proposta
era legittima: l’archeologia ha scoperto e restituito una serie di centri abitati in cui si affermarono le grandi aristocrazie (i cosiddetti
“clan”) nel Lazio Antico (detto “Latium Vetus”) che risalgono all’ottavo secolo; Roma è una città antica che sorse sul Tevere, nel
Latium Vetus. Le antiche città del Lazio furono progressivamente conquistate dai romani a partire dall’età regia; le città del Latium
sopravvissute alla conquista romana (ad es., Gabii, Ficana ecc.) testimoniano, attraverso la restituzione i reperti archeologici,
l’esistenza di comunità governate da principi, i siti dei clan di influenza etrusca e greca. Tutte le altre città, invece, scomparvero in
seguito alla conquista romana.
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Tra le varie datazioni date dagli annalisti sulla fondazione di Roma, che variano dal 814 al 717 a.C., alla fine prevalse la datazione
di un antiquario, Marco Terenzio Varrone, il quale sosteneva che l’origine di Roma fosse collocata nell’aprile 754/753 a.C. (presso i
romani, l’anno comincia a luglio). Ma come faceva V. a proporre questa data?
L’unica data documentata e certa della storia di Roma è il 509 a.C., in cui, dopo la cacciata di Tarquinio il Superbo e la caduta dei
re, venne istituita la Repubblica (che corrisponde alla 67esima olimpiade).
Varrone sapeva, grazie alle tradizioni orali, che a Roma erano esistiti sette re di Roma, prima della Repubblica; ipotizzando un
regno di una generazione per ognuno dei sette re di Roma (ogni generazione, per Varrone, durava 35 anni), si risaliva a ritroso,
partendo dal 509 a.C., al 754/753 a.C. Quindi, 35 x 7 = 753.
Numerose sono le città del Latium citate da Plinio il Vecchio, in Naturalis Historia, tra cui la città di Alba Longa, sorta sul lago
Albano. Malgrado tutti gli scavi intono al lago di Albano, Albalonga non è mai stata trovata, probabilmente fu rasa al suono, ma non
ne è rimasto proprio nulla e questo è molto strano. Secondo la leggenda, Albalonga fu fondata dal figlio di Enea, Ascanio, ed è
importante per la presente del santuario dedicato a Giove Laziale (o Iuppiter Latialis) sulla riva.
Un’altra città importante era Aricia, che sorgeva lungo la via Appia, importante per il santuario dedicato a Diana Nemorensis (da
“nemorense” che significa “dei boschi”, infatti il tempio sorge in mezzo ai boschi, sul lago di Nemi; inoltre, Diana era la dea della
caccia che viveva nel bosco).
Intorno ai suddetti templi si sono costituite delle vere e proprie anfizionie, ovvero delle associazioni sacrali che riunivano gruppi di
popolazioni limitrofe aventi in comune il culto di una stessa divinità. Tutti i territori che si riconoscevano fedeli ad una stessa divinità
rientravano nelle cosiddette “anfizionie” ed i santuari non erano solo i luoghi di culto, dove si facevano i sacrifici, bensì un luogo di
ritrovo, con una valenza politica. Ma qual è la differenza tra le anfizionie greche e quelle laziali/romane? Nel mondo italico, il
rapporto politico-religioso è molto più forte e stretto, piuttosto che nel mondo greco; in Grecia, era possibile trovare due città
appartenenti ad una stessa anfizionia che si facevano la guerra tra loro. Il tempio di Diana e Iuppiter, nell’VIII secolo, sono dei
centro religiosi con una valenza politica, intorno ai laghi di Nemi ed Albano. La leggenda sull’origine di Roma è strettamente legata
due città importanti: Lavinium, città fondata da Enea, e Alba Longa. Enea giunse a Laurento nel Lazio e qui i Troiani si scontrarono
con la tribù locale dei Latini comandata dal re Latino: rimane poco chiaro se Latino sia stato sconfitto o chiese la pace, fatto sta che
Enea ne sposò la figlia, Lavinia, ed insieme si trasferirono nella città da loro fondata, ovvero “Lavinium”. Turno, re dei Rutuli,
scatenò una guerra contro Latini e Troiani, probabilmente perché Lavinia era stata a lui promessa, ma venne sconfitto. Latini e
Troiani, unificati da Enea in un sol popolo chiamato Latino, sconfissero Etruschi e Rutuli ed Enea uccise Turno. Secondo il
racconto di Livio, Lavinium era una città ricca e fiorente, tanto da avere una popolazione in eccesso; probabilmente, per questo
motivo, Ascanio (figlio di Enea), dopo 30 anni dalla sua fondazione, abbandonò Lavinium per andare a fondare la città di Alba
Longa. Molti anni dopo la morte di Ascanio, Numitore divenne re di Alba Longa, il quale aveva un fratello,
Amulio, invidioso di lui, perché avrebbe voluto regnare. Per raggiungere il suo scopo, A. fece imprigionare N., uccise tutti i suoi figli
maschi, tranne la sua unica figlia femmina, Rea Silvia, la quale fu rinchiusa nel Tempio di Vesta e costretta a farsi sacerdotessa
(quindi doveva rimanere vergine); A. poteva considerarsi tranquillo e sicuro di diventare re, ma il dio Marte si invaghisce di Rea
Silvia e la rende madre di due gemelli, Romolo e Remo. A. adirato, fece uccidere rea Silvia e ordinò che i due fratelli fossero
immediatamente uccisi, ma il servo incaricato non trova coraggio e abbandona i due fratelli in un cesto di vimini nella corrente del
fiume Tevere. La cesta si arena sulla riva, presso la palude del Velabro, tra il Campidoglio ed il Palatino e furono trovati dal pastore
Faustolo, il quale li crebbe come figli. Una volta cresciuti, Romolo e Remo vengono a conoscenza delle loro origini, tornano ad
Alba Longa ed uccidono Amulio, mettendo sul trono il loro nonno.
Romolo e Remo ottengono il permesso di fondare una nuova città nel luogo in cui sono cresciuti: Romolo vuole chiamarla Roma
(sul Palatino) e Remo vuole chiamarla Remora (sull’Aventino). Cosi i due fratelli si affidarono al responso degli dei i quali
stabilirono che la scelta su dove fondare la nuova città sarebbe spettata a chi avesse visto più uccelli in cielo (il cosiddetto
fenomeno dell’“augurio”); a questo punto, nacque una feroce contesa tra i due sulla corretta interpretazione dei segni nel Cielo che
finì con l’uccisione di Remo da parte di Romolo e quest’ultimo traccia con un aratro i confini sacri della città di Roma, sul Palatino,
formando la “Roma quadrata”.
Ma cosa c’era prima della nascita di Roma? Noi sappiamo da Plinio il Vecchio, in Naturalis Historia, che prima che Roma
nascesse, in un periodo definito “età preurbana”, esistevano trenta populi confederati (preromani) discendenti tutti dalla città di
Alba Longa e, per questo, definiti “populi albenses” situati sui monti. I triginta populi albenses erano una lega organizzata attorno
ad un centro religioso situato sul Monte Albano (o Mons Albanus, l’attuale Monte Cavo) su cui veniva venerata una comune
divinità, in questo caso era Iuppiter Latialis, ed il centro politico era Alba Longa. Plinio il Vecchio, in Naturalis Historia, fa un elenco
dei populi albenses, tra cui i Velienses, occupanti la Velia, oppure i Querquetulani, occupanti il Celio (considerato il colle etrusco
per eccellenza). Le notizie di Plinio possono essere un indizio di gruppi o popolazioni che erano insediate sui colli prima della
nascita della città di Roma, infatti essi non erano chiamati romani, ma prendevano il nome in base al sito che occupavano (N.B. si
tratta, sempre, di congetture!). Più tardi, quei siti faranno parte di Roma, in P. abbiamo una concezione pre-urbica, si tratta di
un’ipotesi legittima da fare, precedente alla formazione della città.
A Roma veniva celebrata una festa chiamata “Septimontium”: si trattava di una festa religiosa romana pre-urbana, probabilmente
istituita da Numa Pompilio, che consisteva in una processione lungo i sette monti (da cui prende il nome “Septimonitum”). Ma i
“sette monti” non corrispondono ai “sette colli”, ma si riferiscono ad una fase più antica di Roma. I montes non c’entrano nulla con i
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colli, infatti tra i montes ce n’è uno che porta il nome di Suburra, che non è un colle romano, bensì una via malfamata di Roma
dove le imperatrici andavano a divertirsi; tra i montes, però, c’è il Palatino, che sarà anche un colle di Roma.
Come avvenne la fondazione di Roma?
Finora abbiamo visto che il 753 a.C. è la data ritenuta come l’origine della città e che compare nelle fonti letterarie, non senza un
alone “mitico”. Ma non si è ancora trattato sul come avvenne la fondazione di Roma, di cui esistono due teorie:
Atto di fondazione da parte di Romolo: secondo gli antichi, Roma viene fondata in una data precisa che coincide con l’atto
o di Romolo il quale traccia il confine della città sul colle Palatino, formando la cosiddetta Roma quadrata, che costituisce il
primo agglomerato urbano romano, chiamato così per la forma romboidale delle mura che ripercorrevano il solco di R.;
per questo si dice che Roma ebbe le sue origini sul Palatino. Nessuno credeva a questa teoria fino a quando, non troppo
tempo fa, l’archeologo italiano Andrea Carandini ha effettuato degli scavi a Roma che hanno portato alla luce tracce di
capanne e di mura databili intorno al VIII secolo a.C. che hanno avvalorato i dati forniti dalla tradizione letteraria circa la
“mitica” fondazione della città da parte di Romolo. Carandini sostiene che le fonti letteraria contengano la verità, ma la
datazione è l’unico dato con cui non riesce a ritrovarsi. Quando Romolo, secondo la tradizione, fonda la città quadrata ed
il Palatino si dota di mura, gli abitanti pensano che quella delimitata sia una zona sacra, chiamata “pomerium” che
coincide, a grandi tratti, con l’interno delle mura, anche se non c’era una totale aderenza. Il termine “pomerium” deriva da
“post-moerium” (Dopo le mura) e, dal punto di vista sacrale, definisce il territorio di Roma da quello dei potenziali nemici;
per la sua valenza sacrale, era proibito attraversarlo con le armi e solo fuori di esso cominciava “imperium militiae”, ma
questo tabù verrà infranto nel corso delle guerre civili.
Azione di sinecismo (dal greco, significa “andare ad abitare insieme”), intesa come la progressiva unione in un vero e
o proprio centro urbano (civitas) dei vari insediamenti dispersi sui colli; in altre parole, i gruppi che abitavano sui colli, forse
per difesa militare, vollero unirsi, formando una civitas (pastorale), riconoscendo il potere ad un Rex. Ma l’agglomerazione
dei popoli non era un’operazione indolore: ogni singolo gruppo perdeva delle autonomie proprie; formare un corpo civico
comporta la perdita di alcune autonomie locali, infatti il “corpo civico” è diverso dal “corpo tribale”. Secondo questa teoria,
lo sviluppo di Roma da centro proto-urbano a città-stato fu frutto non dell’opera di un singolo fondatore, bensì di un lento e
costante processo di accorpamento dei villaggi sorti sui colli romani. La teoria di sinecismo non è mai stata affermata in
maniera determinante, ma è stata riesumata dai moderni per la somiglianza del fenomeno con la fondazione di Atene e,
di qui, è automatico il parallelismo tra Romolo e Teseo, fondatori, rispettivamente, di Roma ed Atene. Secondo i moderni,
la città di Roma nasce nel momento in cui vengono istituiti spazi comuni e sacri; Ia città nasce quando il centro urbano in
questione ha spazi destinati ad una comunità ed alle istituzioni che reggono la comunità stessa; ad es., la Regia (sede del
Re) o la Curia (edificio del Senato) o il Comitium. Quindi, le grandi dimensioni di un centro non sono l’indice di una città,
ma si può parlare di civitas solo quando abbiamo degli spazi pubblici, all’interno dello città destinati alla comunità; anche
un villaggio di piccole dimensioni, con spazi pubblici, può essere considerato una città, o almeno una sua forma pre-
urbana. La progressiva formazione di una civitas, in senso politico ed urbanistico, è un processo molto lento e questo
rende difficile affermare che Roma sia stata fondata in una data X, differentemente dall’atto di fondazione che da un
puntuale “hic et nunc”.
La fondazione di Roma, in ogni caso, avviene in un centro malsano, probabilmente, la causa era la difesa comune, lo
stanziamento di popolazioni. I latini che si insediano a Roma, i quali costituiscono una civiltà disomogenea, ma imparano le varie
attività utili alla comunità dai loro vicini etruschi, ad es., costruire opere idrauliche. Il mondo etrusco era molto più avanzato, anche
dal punto di vista religioso, infatti essi erano maestri nel leggere volo degli uccelli ed interpretarne il messaggio (il cosiddetto
“augurio”). Gli etruschi leggevano anche le viscere degli animali, ad es., il fegato di Piacenza, un modello bronzeo del fegato di una
pecora, diviso in regioni marginali ed interne, ognuna recante il nome di una divinità etrusca; il fegato fungeva da guida pratica
perché ‘mediante l’analisi dei segni di sua regione si interpretava il volere divino di una specifica divinità (la ritualità romana veniva
dal mondo etrusco). 4 OTTOBRE 2016
Il Pomerium la linea sacra che viene tracciata da Romolo per determinare i confini della nuova città viene identificato secondo la
tradizione con le mura originarie; l’idea del pomerium è di origine etrusca e consiste in una linea immaginaria che divide Roma dal
restante territorio.
All’epoca di Silla il pomerium si rese necessario ampliare il pomerium a tutta l’Italia peninsulare, entrare all’interno di questa linea
armati era atto sacrilego, vi era una sola eccezione: la cerimonia del Trionfo; a un generale vittorioso il senato gli riconosceva il
trionfo e costui poteva entrare a Roma con l’esercito armato con toga porpora (caratteristica della divinità). Nel momento del trionfo
il comandante veniva identificato con il dio Giove; in età repubblicana il console entrava sopra di un cocchio con alle spalle uno
schiavo che gli ricordava che era mortale, arrivava fino al tempio di Giove Capitolino dove deponeva la toga e l’esercito le armi. Il
pomerium è uno spazio in qualche modo che riflette lo spazio celeste (gli etruschi avevano una ripartizione precisa del cielo),
riflette le tradizioni etrusche. La prima Roma si sviluppa nell’ambito del mondo latino, ma l’accelerazione della sua crescita è
dovuta all’influenza etrusca; Roma è appetibile per le popolazioni vicine, è via di transito pel le saline. Secondo le fonti Albalonga si
sviluppò prima di Roma precisamente 300 anni prima; nel passaggio dall’Etruria Toscana a quella campana, la zona di Roma
veniva evitata in quanto malsana perché paludosa, e così si prendeva un’altra via. Dopo la sua fondazione Roma subisce
numerose opere di bonifica (come la creazione della Cloaca Maxima, la fogna, Vi secolo a.C.) e ciò fa sì che i commerci che prima
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prendevano lunghi percorsi ora possono tagliare per la città bonificata; gli etruschi per arrivare in Campania non prendono più il
passo tra i colli Albani; ciò porta delle conseguenze sullo sviluppo di Roma. Seguendo questa linea si può ipotizzare che Albalonga
non sia stata distrutta da Roma almeno in senso materiale ma almeno in modo commerciale; può esserci stata un’atrofizzazione
della città a causa dello spostamento delle vie commerciali. La fioritura di Roma sarebbe contenuta nell’attività del fondatore:
Romolo avrebbe dato a Roma la prima costituzione. Quest’idea del re-fondatore-legislatore era di origine greca, e rende poco
credibile la figura stessa di Romolo; fra il VII e il VI secolo a.C. Roma ha un Rex (re) e delle istituzioni; il re romano è particolare: è
un capo militare, riceve dal popolo in assemblea l’Imperium (secondo alcuni lo riceve a inizio del regno secondo altri gli viene
rinnovato ogni anno), cioè la capacità militare-sacrale e giuridica di condurre in guerra il popolo romano; quindi è un potere che
attinge la divino. Il popolo si radunerebbe in un’assemblea generale per concedere l’imperium al re; il popolo era ripartito in CURIE
cioè unità di voto; le curie erano 30 e ogni cittadino romano doveva appartenere ad una di esse (la curia può essere definita come
una contrada, un rione); durante l’età augustea si diceva che molti romani non conoscevano la curia di origine. Le assemblee del
popolo è il COMITIUM e in età monarchica è nel Foro Romano; indica sia il luogo sia l’assemblea (comizio).
Il COMIZIO CURIATO che poteri aveva e da chi era composto?
Il Comizio Curiato era composto da tutti i cittadini di Roma (curia co-viri(a); viri vuol dire uomini, le donne non esercitano diritto di
voto, co vuol dire insieme); pare che venga convocato in età monarchica solo pe 2 ragioni:
1) Per conferire l’imperium.
2) Per ratificare le adozioni (un uomo può cambiare gens)
Secondo gli storici greci e romani le 30 curie sarebbero state riordinate in 3 tribù:
Ramnes
o Tizies
o Luceres
o
Latini e Sabini vennero in guerra con i romani al tempo di Romolo→ Ratto delle Sabine (probabile co-reggenza Romolo-Tito Tazio
re dei sabini); delle tre antiche tribù non si sa niente mentre le altre si sa che il numero 30 è legato alla legione; tutte le istituzioni
hanno significato religioso e polifunzionale.
Il buon romano è padre, militare, cittadino; tra vita civile e vita militare c’è una stratta connessione. A Roma in età più recente
l’esercito è organizzato sulla legione, in età repubblicana è composta da 3000 fanti e 300 cavalieri, il numero dei soldati appartiene
ad una tradizione che si è diffusa in epoca tarda in quanto in età arcaica si combatte con il sistema della falange. Secondo le fonti
quindi l’organizzazione militare nella Roma arcaica era la legione e ogni curia doveva fornire 100 fanti e 10 cavalieri (1000 fanti e
100 cavalieri per tribù).
Il re regna in modo assoluto?
Il re ha potere assoluto però è guidato (limitato) dai capi delle gentes (PATRES FAMILIA) gli anziani; quando questi si radunano
vanno a formare il SENATO una vera assemblea; gli ultimi re etruschi cercheranno appoggio del popolo per limitare il potere dei
nobili; questi detenevano già in età arcaica il potere economico e i possedimenti terrieri; hanno proprietà private e la possibilità di
utilizzare anche le terre pubbliche dietro pagamento di un canone (tendono ad impossessarsi delle terre pubbliche); i discendenti
dei Patres sono i Patrici cioè i Patrizi; non esiste un patriziato politico ma solo il gruppo formato dai capi delle gentes che secondo
la tradizione sono 100.
L’assemblea dei nobili non ha poteri obbliganti, ma funge da consigliera del re, quindi ha un potere consultivo. La durate del regno
di un sovrano era vitalizio anche se esisteva una cerimonia denominata REGI FUGIUM secondo il quale un re poteva essere
cacciato o ucciso dal suo successore; la monarchia però non sembra essere ereditaria, in tempi remoti sembra infatti che dopo la
morte di un re per un periodo di 4/5 gg il potere sacrale passasse nelle mani del senato (Interegum), in quanto uno dei compiti del
re era quello di prendere gli Auspicia. Dopodiché veniva eletto un nuovo sovrano (i figlio di un sovrano defunto come si vedrà
tenteranno sempre di prendere il potere senza successo); ruolo importante spetta alla Regina Vedova che fa da tramite tra la casa
reale e il senato influenzando l’elezione del successore. Alcuni sovrani del periodo monarchico vengono ritenuti dei legislatori e
altri ritenuti dei riformatori; entrambe le caratteristiche secondo le fonti sono proprie di Romolo; secondo i romani in età monarchica
ci fu una successione alternata di re pacifico e re guerriero. Ovviamente è un falso mito così come la durata di ogni singolo regno
35 anni.
Durante l’elaborazione della costituzione romana, Roma viene influenzata dagli etruschi la cui civiltà si sviluppa prima; alcuni dei
capi clan etruschi prendono il potere delle loro città. Il mondo etrusco era un luogo costituito di città raccolte in una confederazione
(12 città) che si sviluppano in Toscana, Emilia e nel mantovano; sono state rinvenute delle iscrizioni che apparentemente ci dicono
alcuni dei nomi di re di queste città, ma in realtà non conoscendo a pieno la lingua etrusco non si ha la certezza; quei nomi
direbbero altro: Lauchme cioè Lucumone sarebbe il titolo del re di una città, lo Zilath corrisponerebbe al pretore romano mentre
Purth, Porsenna sarebbe Re. 6 OTTOBRE 2016
Degli Etruschi non si sa con precisione da dove siano venuti; la loro lingua utilizzava i caratteri greci, ma il lessico e la cultura di
lingua etrusca rimangono ancora ad ora un mistero. Del mondo etrusco dal punto di vista grafico sono giunti a noi più di tutto
iscrizioni funerarie. Se si pensa alle iscrizioni aramaiche, si può fare lo stesso ragionamento rivolto alla lingua etrusca.
Le città etrusche fioriscono quasi tutte nello stesso periodo e sono governate da dinastie principesche. Dal punto di vista scientifico
sono molto avanzati, se per esempio si pensa alla costruzioni di acquedotti, da cui i romani hanno imparato l’arte perfezionandola,
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ma sono maestri anche nell’ arte di discernere il volere degli dei (lettura delle viscere degli animali o capire il volo degli uccelli). Da
questo punto di vista passano ai Romani questa letteratura sapienziale dal punto di vista religioso, tramite anche libri rituali, che
parlano in dettaglo delle loro pratiche religiose e divinatorie; gli auguri e gli aruspici sono di origine etrusca. C’ erano anche dei libri
acherontici, che riguardavano l’aldilà. Dal punto di vista religioso la più importante importazione romana dal mondo etrusco è il
tempio.
•Il tempio etrusco ha tre celle, cioè tre stanze ben separate, destinate a tre divinità. Quella centrale destinata al dio “Tin” o “Tinia”
(greco “Zeus”, latino “Iupiter”), le atre due celle sono destinate a “Uni” o latino Iuno (Giunone) e infine a “Merva” (Minerva), cioè la
divinità che presiede alle guerre e rappresenta la sapienza. L’idea delle triade divina passerà al mondo romano tra fine VII e metà
VI secolo a.C., quando sul Capitolium verrà elevato un grandissimo tempio a “Iupiter, Iuno e Minerva”, la triade etrusca appunto
(per opera di Tarquinio Prisco).
Siccome gli antichi non comprendevano bene la loro lingua, non sapevano bene da dove venissero. Per Erodoto venivano dalla
Lidia, un territorio situato nell’ odierna Turchia, nella penisola Anatolica. In seguito a guerre o carestie gli Etruschi si sarebbero
mossi da Oriente verso Occidente; quando nel 1885 fu trovata a Kaminia, incastonata nella colonna di una chiesa, quella che poi è
stata chiamata la “Stele di Lemnos”, apparve subito chiaro che i caratteri incisi erano molto simili a quelli dell’alfabeto etrusco, e
sembrò quasi scontato confermare le teorie secondo cui gli Etruschi, la cui origine è sempre stata un mistero, provenissero
dall’Asia Minore. La lingua, secondo le più recenti teorie, è etrusco arcaico con alcuni adattamenti locali. Non è però ancora chiaro
se il rinvenimento nell’isola di Lemno significa che ci sia stata una fase linguistica comune dell’area mediterranea (di cui Etruria e
Lemnos sarebbero due testimonianze con la conseguente origine degli Etruschi dall’Asia Minore) o se nell’isola abbia vissuto un
gruppo di Etruschi che l’hanno colonizzata. Avrebbero dunque fortissime influenze orientalizzanti. Secondo lo storico Dionigi di
Alicarnasso, gli Etruschi sarebbero stati autoctoni, nati lì, in particolare nella zona dell’odierna Toscana, sviluppatasi da popolazioni
già presenti da tempo nel territorio italico. Sarebbero potuti essere anche quei popoli del mare che nel XII secolo a.C. avrebbero
devastato Atene, chiamati “Tirsenoi”, cioè i “Tirreni”, il nome dato agli etruschi dalle altre popolazioni. Sarebbero arrivati dal mare e
avrebbero così dato il nome al Mare Tirreno; forse ci sarebbero addirittura gli Achei o i Sardi (Scerdan) all’origine del popolo
etrusco.
La lingua etrusca veniva definita una lingua indoeuropea, finché gli approfondimenti linguistici avrebbero indotto a parlare in
particolar modo di un perì-indoeuropeo. Questo spiegherebbe le profonde differenze tra la lingua etrusca e le altre lingue dette
indoeuropee. È tramontata l’ipotesi che gli etruschi potessero derivare dalla cultura e dal territorio germanico.
Il mondo etrusco è un mondo di città che occasionalmente si alleano in confederazioni. 12 tra le città del sud e del nord. 12 è un
numero molto simbolico nel mondo etrusco. Queste confederazioni erano molto labili, potevano farsi e disfarsi nel giro di poco
tempo, combattersi o allearsi dunque a seconda della convenienza di quel tempo; nel mondo latino e romano invece, saranno
legami molto coesi. Queste alleanze come già detto, non saranno presenti né nel mondo etrusco né tantomeno in quello greco.
Tra gli etruschi e le bande armate c’è un rapporto stretto. I principi sono i capiclan e hanno un sistema clientelare. Tracce di
clanismo e di capiclan ci sono pervenute sia dal mondo latino sia da quello sabino sia da quello etrusco.
Gli etruschi vengono a contatto con i romani. Il V° Re di Roma sarebbe venuto da Tarquinia. Gli ultimi tre Re sarebbero personaggi
provenienti dall’ Etruria (in particolare da Tarquinia e da Vulci). Questa tradizione se veritiera, confermerebbe che il mondo etrusco
e le città Tarquinia e Vulci avrebbero prevalso su Roma. Ma in realtà no; si tratta di principi che si muovono alla ricerca di nuove
sedi. Tarquinio Prisco è un Re e personaggio estremamente emblematico. Il personaggio indica varie provenienze delle tradizioni
attorno alla sua figura. Tarquinio Prisco verrebbe da Tarquinia. Il padre era un greco e si chiamava Demarato, nobile di Corinto,
trasferitosi per ragioni politiche a Tarquinia. Essendo un possidente viene accolto benevolmente e il figlio Tarquinio cerca di fare
carriera politica a Tarquinia, arrivando a sposare una nobile, la famosa Tanaquil. Cerca di diventare Signore di Tarquinia, non ce la
fa e prende la via dell’esilio volontario a Roma. Con il suo clan si sposta a Roma appunto. Arriva sulla riva destra del fiume e li
accade il fatto molto famoso dal punto di vista mitico. Arriva un aquila che cadendo in picchiata, gli prende il cappello, e dopo un
volo nell’ aria, glielo rimette. La moglie profetizza per il marito un destino importante. Il marito viene accolto e scelto come
educatore dei figli, dal Re Anco Marcio. Quando Anco Marcio muore, Tarquinio Prisco prende il potere e i figli di Anco Marcio
tenteranno di uccidere Tarquinio Prisco. La moglie sarà fondamentale alla morte del Re per fare sì che il Re successivo potesse
prendere la corona. Da questo episodio, come da altri, si nota l’effettiva importanza della donna nel mondo etrusco a differenza di
quello romano.
Secondo la tradizione, Tarquinio Prisco avrebbe raddoppiato il numero di Senatori, chiamati “conscritti”, che si affiancarono ai
“patres” già esistenti. Questa notizia va messa in relazione ad altri due elementi: la politica edilizia e la notizia secondo cui
Tarquinio Prisco sarebbe ricorso ad un “Magister populi”, un comandante del popolo. Gli ultimi Re andranno a perdere o vedranno
solamente diminuito il loro potere militare e religioso. Il “Magister populi” sarebbe il capo dell’esercito, che lo conduce in guerra al
posto del re. Non è una carica stabile, che poteva essere attribuita dal Re. Il fatto che alla fine dell’Età Monarchica ci siano questi
caratteri, fa pensare che l’aristocrazia tenda a impadronirsi di alcuni poteri del sovrano. È per quello che il Re si appoggia all’
elemento popolare, per compensare l’arroganza dell’aristocrazia. Secondo alcuni la figura di Tarquinio Prisco più che regia,
sembrerebbe una figura tirannica, alla maniera greca (“Tyrannos”, che non vuol dire despota assoluto e sanguinario, ma colui che
governa appoggiandosi al popolo). Il primo grande “tyrannos” nella storia greca è Pisistrato.
Tarquinio Prisco ad un certo punto muore. Alla sua morte è Tanaquil che fa in modo, durante i giorni dell’Interregno, che al trono
ascenda un altro personaggio, Servio Tullio. Servio Tullio già per gli antichi era un enigma. Gli autori romani dicevano che era
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romano, figlio di Cresia, una schiava di guerra, che era rimasta gravida in seguito all’ intervento di un fallo scolpito sulla parete di
un camino. La sua nascita fa pensare al miracolo, ma anche alla sua pericolosità. Questa è la tradizione romana.
Ma la tradizione etrusca era nota all’ Imperatore Claudio, zio di Caligola e fratello di Germanico. Claudio era uno studioso di storia
etrusca. La notizia non avrebbe importanza se non si collegasse ad un altro episodio della vita di Claudio e cioè un fatto accaduto
durante l’ottocentesimo anno dalla fondazione di Roma. In quell’ anno gli abitanti della Gallia della Francia chiedono di poter
accedere alle cariche pubbliche romane, infatti possedevano già la cittadinanza romana. Claudio accetta la richiesta e dimostra
che la storia di Roma è la storia di un continuo progresso grazie all’ arrivo di genti provenienti dall’esterno; non esiste una storia di
Roma solo interna, già a partire dalla prima alleanza con i sabini. Roma è diventata grande grazie all’ apporto degli stranieri. Il
parere dell’imperatore equivaleva alla legge, ed ora l’imperatore era Claudio. I Galli francesi aristocratici, sono gratissimi, e
incidono il discorso di Claudio sulla pietra, (questo monumento è collocato a Lione in un luogo pubblico). Lo storico Tacito riporta
nei suoi Annales il discorso di Claudio. Risulta però, come per ogni documento, più affidabile quella dell’epigrafe.
L’ epigrafe dice una cosa impressionante riguardante Servio Tullio; in sostanza anticamente i Re governarono una città e non
potevano passare il potere ai successori della loro casa. Giunsero a Roma molti stranieri ed esterni, come Numa Pompilio, che era
Sabino. Tarquinio Prisco era anch’ esso straniero. Servio Tullio, se si ascoltano gli etruschi, era un etrusco, ed era un amico e
sodale fedelissimo di un tale Vibenna, un capoclan che viene da Vulci, città etrusca. Questo clan è retto da due fratelli, i capi del
clan Aulius e C(o)elius Vibenna. Il personaggio che è sodale non si chiamava Servio Tullio, ma aveva un nome etrusco, cioè
Mastarna. Anche questo nome è scritto in vario modo. Questi popoli dopo essere stati nell’ Italia centrale per molti anni, si vedono
privati del loro capo. Diventerebbe capoclan quindi Mastarna, che con tutto il clan si presenterebbe alle porte di Roma. I romani li
accettano e li fanno sistemare sul colle, che dal nome del loro capo C(o)elio Vibenna, prende il nome di Colle Celio. A questo
punto il capo Mastarna cambia il suo nome, in Servio Tullio, un nome latino. Entra come potente, ricco e nobile nella cerchia di
Tarquinio Prisco e grazie ai discorsi di Tanauil, riesce a succedere al Re Tarquinio Prisco.
Mastarna era davvero il nome di questo capoclan di Vulci? Non si sa bene. Mastarna forse non è un nome proprio, ma il nome di
una carica, la forma etrusca della parola latina “magister”, cioè il “Magister populi” di C(o)elio Vibenna. Questa figura sarebbe
molto diffusa nell’ Italia centrale.
La tradizione che deriva dall’ Imperatore Claudio trova un corrispettivo clamoroso con la Tomba François di Vulci. I dipinti di questa
tomba sono di proprietà privata. Questo dipinto occupava una camera in cui erano dipinti una scena di prigionieri troiani sgozzati
sulla tomba di Patroclo. In un altro dipinto viene rappresentata la scena di sterminio, che occupa non solo una parete, ma qualcosa
di più; è rappresentato nell’ angolo un uomo prigioniero, legato per le mani. Sulla parete compare un altro personaggio, che ha
sotto l’ascella due spade e con le mani libera il prigioniero. Questi personaggi recano il loro nome, il personaggio imprigionato è
C(o)elio Vibenna, mentre il liberatore è Mastarna. 10 OTTOBRE 2016
Servio Tullio è al centro del periodo della grande Roma dei Tarquini, cioè in re provenienti da Tarquinia e Vulci. Le fonti
attribuiscono ai re capacità politiche e militari mentre al senato capacità di consiglio; c’è un ampliamento del territorio di cui fa parte
quello conquistato l’Ager Romanus, e quello controllato da Roma ma non conquistato; la città esercita la propria egemonia sui
centri religiosi più importanti perché sono luogo di raccolta dei latini. Alla caduta dei re il territorio romano era di 822 Km , 5/6 volte
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più grande delle città latine; dopo il periodo dei Tarquini è possibile che Roma abbia contato decine di migliaia di abitanti con
istituzioni che mutano via via che il territorio si ingrandisce sempre più. L’accelerazione che produce la fioritura di Roma viene dal
mondo etrusco influenzato da quello greco.
Tarquinio Prisco portò molte innovazioni a Roma così come Servio Tullio; di questo personaggio si hanno due tradizioni quella
etrusca e quella romana.
Molto importante per capire la storia di Servio Tullio è la tomba FranÇois a Vulci; su una delle pareti affrescate partendo da sinistra
si vedono due personaggi Caile Vipinas (Celio Vibenna) che viene liberato da un uomo con due spade sotto il braccio Macstrna
cioè Servio Tullio; dopo di loro un uomo chiamato Laris Papathnas Velznach (ach vuol dire “da”) probabilmente di Volsini viene
ucciso da Larth Ulthes; vicino a loro Pesna Aremsnas Sveamach (= di Sveam, ossia Sovana) viene ucciso da Rasce. Alla fine della
parete Plsachs viene ucciso da Aule Vipinas cioè Aulo Vibenna. Sulla parete adiacente si vedono due personaggi, uno per terra
che sta per essere ucciso dal personaggio in piedi che gli punta contro la spada; il nome della vittima è Cneve Tarquinies
Riìumach (Cneo Tarquinio da Roma).
Che si tratti di Tarquinio Prisco?
o Quindi la successione invece che essere stata pilotata da Tanaquile è avvenuta in maniera cruenta sul campo di
o battaglia?
Mastarna avrebbe dunque ucciso Tarquini Prisco e preso il trono di Roma?
o
L’ biezione è che Tarquinio Prisco si dovesse chiamare Lucio e non Cneo. Risposta all’ obiezione; la traslazione del “prenomen” di
Tarqunio Prisco in lingua etrusca, e cioè “Laucme” sarebbe “signore”, e quindi il “prenomen” sarebbe potuto anche essere Cneo.
La tomba FranÇois è del IV secolo a.C. mentre gli episodi narrati nell’affresco sono del VI secolo a.C.
Perché raccontare di avvenimenti di due secoli prima?
Glorificare la famiglia dei Vibenna e dei loro parenti. È tutta una saga legata ai Vibenna? Non è detto che tutti gli episodi dei dipinti
apparatengano alle stesse persone. Può esserre una glorificazione della famiglia, non per forza solamente dei due fratelli Vibenna.
Tutta la rappresentazione non è detto che rappresenti un momento della storia dei Vibenna e che quindi intersechi la storia di
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Roma con i due Vibenna; potrebbe anche essere la glorificazione di Vulci intera; due secoli dopo, Roma comincia a far
sprofondare il mondo etrusco, che è già in decadenza. Gli Etruschi tendono in questo periodo a chiudersi in se stessi, in questo
periodo compaiono volti pensosi e angosciati nelle pitture, le rappresentazioni angoscianti dell’aldilà nelle tombe si fanno sempre
più insistenti, e Caronte comincia a comparire sempre più spesso in altre rappresentazioni tombali; si stente addosso il senso della
fine, naturalmente solo i più consapevoli capiscono che la loro civiltà sta finendo, per esempio i nobili di Vulci, che si rifanno al loro
passato glorioso.
Tra i parenti dei Vibenna non era presente, se non per acquisizione il Mastarna, che era un sodale e caro amico soprattutto di
Ce(o)lio Vibenna. Il prenome Cneo di Tarquinio non corrisponde al prenome dei due Tarquini che ci arrivano, che sarebbe appunto
Lucio (“Laucme”, “signore” in lingua etrusca) e non Cneo. Forse un fenomeno analogo c’è stato anche per il prenome di Mastarna.
Non è detto che sia il suo nome, ma solo l’indicazione della sua carica. Quale carica indica? “Magister”, il “magister populi”.
Secondo la tradizione sarà Tarquinio Prisco a portare sulla scena romana il MAGISTER POPULI che aveva solo comando militare,
potere di cui il re viene esautorato; non si sa l’origine dei “magister populi”, sappiamo solo che verrà seguito da un “magister
equitum”, e il “Dictator” sarà la figura più simile al “magister populi” nel periodo di XXX, con carica annuale e non collegiale.
Mastarna forse non è il nome ma il ruolo ricoperto, cioè il “magister populi” del clan Vibenna. Non ne siamo sicuri ma si avrebbe
questa situazione. Nel VI secolo a.C. i poteri principeschi tendonio a essere affiancati da poteri militari.
Il magister non è un fenomeno esclusivo del mondo romano, lo ritroviamo nel mondo latino e nel mond0 sub-etrusco. Secondo la
tradizione dopo molte imprese Celio Vibenna muore e Mastarna subentra al suo posto come capo clan; dopodiché va a Roma con
tutto il clan dove viene accolto e stabilito su uno dei colli che prenderà il nome di Celio da Celio Vibenna e alla morte di Tarquinio
Prisco prende il potere divenendo il nuovo re di Roma. Tra le fonti romane spicca una tradizione che vuole i figli di Anco Marcio
responsabili della morte di Tarquinio Prisco (tutto ipotetico), ma se la saga della tomba FranÇois fosse vera, la ricostruzione delle
fonti romane sarebbe da cambiare; a Servio Tullio vengono associate molte riforme:
Fu un grande costruttore di edilizia sacrale. In questo fu degno successore di Tarquinio Prisco. Costruì un tempio di
◦ Diana sull’ Aventino. I templi di Diana costituivano centri religiosi di primordine in tutto il Lazio, basti vedere le città di
Aricia e di Nemi. Qui si raccoglievano i Latini. È possibile che il re di questa grande città abbia cercato di coagulare in
torno a se i latini; i centri religiosi hanno un valore politico e costringere i latini a venire a Roma era una grande segnale.
Sull’ Aventino furono costruite le mura serviane. È in corso ancora oggi un dibattito sulla datazione delle mura serviane.
◦ Ai tempi si riteneva appartenessero al IV secolo a.C. Ma ora è ritenuto possano essere del VI secolo a.C. È difficile da
pensare, ma forse si riesce a capire siano dell’inizio dell’Età Repubblicana. Le mura vengono considerate come opera di
Servio Tullio. La cinta muraria del Palatino è territorio di Romolo. Colpisce il lunghissimo perimetro delle mura, che
prende quasi tutti i colli. Succede una cosa strana, che all’ interno delle mura c’è un colle considerato fuori dal
“pomerium”; all’origine il circuito delle mura e il “pomerium” coincidevano. Adesso ci sono le mura ma una parte è
esclusa dal “pomerium”, e in questo caso è il colle Aventino. Probabilmente l’esclusione di questo colle è da collegare
alla costruzione del santuario di Diana. Il santuario sarebbe stato un santuario di Roma e i Latini dovevano giungere
come stranieri, e ciò avrebbe potuto incrinare il rapporto con i latini. Pur essendo l’Aventino dentro le mura, conserva
una caratteristica di extraterritorialità. È un modo per avere riguardo verso il sentimento di indipendenza religiosa dei
popoli latini.
Secondo la tradizione Servio Tullio avrebbe creato 4 tribù urbane, ripartizioni territoriali all’ interno della città di Roma. La
◦ cittadinanza residente a Roma, era ripartita in 4 tribù che hanno valore territoriale e non genetico, come si dice invece
per le 3 tribù romulee. È un fenomeno che riguarda anche il mondo greco, e infatti pensando ad Atene si può pensare a
Clistene. Le tribù territoriali presuppongono sempre un ampliamento del corpo civico e una democratizzazione del corpo
civico. Non sono funzionali al dominio delle “gentes”, ma la forza delle “gentes” è tale che si riescano ad adattare al
concetto di territorialità. “Palatina, Collina, Esquilina, Succusana” sono i nomi delle 4 tribù. È più probabile che
inizialmente la prima tribù fosse quella “Collina”, del colle per eccellenza quella del Quirinale. Secondo una tradizione
Servio Tullio avrebbe introdotto anche le tribù rustiche, del territorio extra urbano, al di fuori delle mura di Roma,
secondo alcuni 17, per altri 21, anche alcune sulla riva destra del Tevere, la tribù “Romilia”. Potrebbe essere possibile.
Dall’ inizio del V secolo a.C. e quindi forse anche già nel VI secolo a.C. Non chiude all’ aristocrazia, che avverrà più
tardi. Succederà che le tribù urbane rimarranno sempre 4, e le tribù rustiche aumenteranno con l’aumento delle
conquiste e alla fine della Prima Guerra Punica saranno 31, per arrivare a 35 con le urbane. Fu allora che il Senato, capi
delle “gentes”, non più capi delle genealogie gentilizie, ma solo delle grandi famiglie ricche di Roma, la grande
aristocrazia di Roma, per detenere il potere stabilisce che la popolazione venga ripartita in altro modo; nelle 31 rustiche
devono essere inseriti i cittadini romani possidenti terrieri, nelle 4 urbane, i cittadini residenti in città che non abbiano
proprietà terriere. La popolazione di Roma dal punto di vista politico diventa sempre più proletaria. Roma non è mai
stata una democrazia e questo lo si vede nel voto; mancava il principio dell’uguaglianza politica.
Per alcuni avrebbe introdotto la moneta. Questo è da escludere. Roma nel VI secolo a.C. non aveva la moneta, che
◦ forse potrebbe essere collegata al III secolo a.C. Il Senato fu sempre espressione politica dei ceti agrari, e per questo ci
fu sempre una politica di conservazione.
I piccoli proprietari terrieri non avevano i soldi per andare a Roma per votare. Forse si può ricondurre a Servio Tullio la
creazione di qualcosa di simile. Fin da Età Micenea c’ erano pezzi di metallo che venivano usati come pezzi di scambio,
14 che andavano a peso e a loro garantivano un valore. Forma pre-monetaria potrebbe risalire al VI secolo a.C. ma la
moneta per come è intesa da noi è molto più tarda. Ma non è da escludersi del tutto una forma di accumulazione di
lingotti di metalli preziosi. Questa forma è detta “res signatum”, il cui valore era dato dal peso e dalla purezza del
metallo.
Servio Tullio diede a Roma un ordinamento censitario; divise la popolazione in classi di censo. Il sistema di valutare la
◦ ricchezza dei cittadini romani c’è anche senza l’uso della moneta. Si formano 5 classi di censo in cui vengono inseriti i
cittadini romani. 5 classi di censo funzionale a che cosa? I cittadini venivano divisi in tribù al rilievo dei loro valori
patrimoniali. La popolazione non venne convocata nell’ età di Servio Tullio ripartita in tribù, continua il comizio curiato in
parte, e in assemblea la popolazione veniva divisa tramite il censo. Probabilmente questo ordinamento censitario in
realtà è una riforma censitaria successiva. Servio Tullio avrà cominciato a distinguere le persone di alto censo da quelle
di basso censo. Nelle riunione avranno importanza solo i ricchi e sarà anche solo loro il diritto di combattere, quello che
nella tradizione viene definito “classis”, e quello dei più poveri sarebbe definita “infra classis”, che non combatteva, se
non in casi estremi. La divisione censitaria non riguarda solo Roma, ma anche l’Atene del V secolo a.C. introdotta da
Solone. 11 OTTOBRE 2016
La costituzione di Roma era molto elastica e ciò dipendeva dall’apporto di genti esterne; malgrado tutti i mutamenti Roma rimarrà
sempre una città-stato che ad un certo punto si ritrova capitale di un impero; le strutture politiche della città si flettono per
governare un impero.
Ma quando ciò non basterà più scoppieranno le guerre civili che porteranno alla nascita di un stato ibrido: una monarchia con
strutture repubblicane. L’aristocrazia gentilizia si evolve, si mescola con aristocrazie esterne; la prima trasformazione si ha già al
tempo di Servio Tullio, viene rimodellata la società, l’aristocrazia e l’urbanistica della città. Un grande territorio non può essere
governato da una costituzione come quella Romulea; la città diviene un centro di attrazione, viene monumentalizzata con splendidi
edifici sia di carattere politico che religioso (Foro Romano). L’aumento della popolazione fa sì che il corpo civico si stratifichi.
Questo fa sì che si venga a formare una nuova classe, come quella degli “equites”, la cui creazione si basa sulla ricchezza dei
possedimenti terrieri, aumentati da alcune riforme agrarie; la differenziazione è basata dunque sul censo (TIMOCRAZIA). Al
comando rimane comunque l’aristocrazia. Si deve a Servio Tullio l’“organizzazione centuriata”, anche se non è detto sia una
riforma propria del VI secolo a.C. Tutti i cittadini romani hanno più diritti e privilegi dei cittadini di censo elevato, che hanno invece
maggiori diritti ma anche maggiori doveri, come ad esempio il servizio militare. I soldati infatti dovevano autofinanziarsi, dovevano
provvedere al proprio armamento, a seconda dei propri mezzi economici. Mano a mano che si scendeva nelle classi censorie, o si
saliva, diminuivano quindi le spese per le armi, per le armature, per gli scudi, oppure salivano. La riforma centuriata però non è del
VI secolo a.C. ma dovrebbe essere di fine IV secolo a.C. nella sua forma definitiva.
Servio Tullio crea l’ “organizzazione centuriata”, anche se non è detto sia una riforma propria del VI secolo a.C. Tutti i cittadini
romani hanno più diritti e privilegi dei cittadini di censo elevato, che hanno invece maggiori diritti ma anche maggiori doveri, come
ad esempio il servizio militare. I soldati infatti dovevano autofinanziarsi, dovevano provvedere al proprio armamento, a seconda dei
propri mezzi economici. Mano a mano che si scendeva nelle classi censorie, o si saliva, diminuivano quindi le spese per le armi,
per le armature, per gli scudi, oppure salivano. La riforma centuriata però non è del VI secolo a.C. ma dovrebbe essere di fine IV
secolo a.C. nella sua forma definitiva. L’idea della stratificazione sociale costituisce un colpo all’aristocrazia gentilizia,
all’aristocrazia delle grandi gentes.
Nel VI secolo a.C. si rende necessaria una riforma riguardante la divisione territoriale dell’ager romano; in questa divisione il
Campidoglio e forse anche il Foro non rientrano nel territorio divisibie in quanto aree pubbliche e sacre, sono dunque
extraterritoriali. Le tribù del VI secolo a.C. hanno solo valore territoriale, ma l’appartenenza ad una di esse è parte integrante
dell’essere cittadino di Roma insieme alla nomeclatura del cittadino romano. La nomeclatura è costituita da nomen, prenomen e
cognomen.
Perché nascono le tribù territoriali?
Ciò di sicura non era funzionale per la nascita di una nuova assemblea. Le tribù territoriali servivano allo stato per gli accertamenti
fiscali; in pratica Roma creò ben presto un elenco di tutti i cittadini e dei loro beni, a scopo fiscale, che serviva per il pagamento dei
tributi e che poi ricoprì anche importanza fondamentale in ambito militare.
Più avanti, forse nel IV secolo a.C. l’organizzazione delle tribù (31+4) dà luogo a un nuovo comizio, nel quale tutti i cittadini romani
sono ripartiti in 35 unità di voto; si sa che esisteva un equilibrio di tipo demografico all’interno delle tribù. Queste non avevano
continuità territoriale; i cittadini romani residenti o non residenti a Roma, potevano essere convocati a partire dal IV secolo a.C. nel
COMIZIO TRIBUTO. Questo avrà funzione legislativa ed elettiva.
Come si vota?
Su proposta del magistrato o del pretore, il comizio tributo può approvare leggi; quando si deve eleggere un magistrato vengono
votati i candidati; questi sono i questori o gli edili curuli, i così detti magistrati inferiori. Il pretore e il console (magistrati dotati di
imperium), cioè i magistrati maggiori, vengono eletti nel Comizio Centuriato. Il comizio tributo è di certo il più agile; la proposta di
legge del magistrato oppure la candidatura alla questura, vengono proposte prima alle singole tribù, ed in seguito si vota all’interno
della tribù. La maggioranza dà il voto alla tribù; è la maggioranza che determina il voto della tribù, e il loro voto verrà contato come
una sola unità. Una tribù un voto per un totale di 35 voti. Il Comizio Tributo per quel che concerne le tribù rustiche era solo
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apparentemente democratico, perché solo i ricchi potevano votare, e solo loro avevano interesse a votare una certa legge o una
certa persona.
Il CONCILUIM PLEBIS invece, era l’assemblea della sola plebe, e non di tutto il popolo romano. I patrizi sono esclusi; anche
questo concilio aveva funzioni sia legislative che elettive. Qui vengono eletti i magistrati plebei, gli edili plebei e i Tribuni della
Plebe. Nella funzione legislativa, l’assemblea della plebe non poteva approvare leggi, poiché la “lex” è la norma che riguarda tutto
il popolo; ciò che riguarda il Concilium Plebis è il Plebis-scitum.
Problema della ripartizione della ricchezza agraria: fina dall’epoca arcaica i ricchi estraevano grandi ricchezze dai loro
possedimenti terrieri, e si divideva:
a) Coloro che coltivavano in prima persona.
b) Coloro che stavano bene e coltivavano con la loro famiglia.
c) Coloro che possedevano un piccolo terreno ma non riuscivano ad ottenere ricchezze.
Quest’ultimo finiva per vendere il proprio terreno ad un individua più ricco; allo strato questo non faceva bene. Il problema era
quello del sistema clientelare; lo stato riceveva però un colpo da questo impoverimento. Nella divisione che appartiene al IV-III
secolo a.C. al Comizio Centuriato, gli appartenenti all’ultima classe, non avevano più l’obbligo del servizio militare, poiché non
potevano pagarsi più l’armatura per andare a combattere. I due storici Dionigi di Alincarnasso e Tito Livio, ci dicono che le classi di
censo sono divise in base al reddito:
I° classe: 100.000 assi
o II° classe: 75.000 assi
o III° classe: 50.000 assi
o IV° classe: 25.000 assi
o V° classe: 12.500 assi
o
Gli unici che potevano permettersi l’intera armatura erano quelli della prima classe; tendenzialmente lo stato romano era
preoccupato dell’esaurimento della quinta classe, dal momento che era la più numerosa e tendeva facilmente a svuotarsi. Per
questo motivo nascono tanti progetti di riforma agraria tra cui quello dei Gracchi tra il 133 a.C. e il 121 a.C.; Roma aveva bisogno
di soldati perché aveva un vasto impero da controllare. Il comportamento della nobilitas era incoerente, poiché in parte vuole la
ricostituzione della V° classe, ma dall’altro boccia tutte le riforme che ne consentirebbero la ricostituzione. L’espediente per
riformare la V° classe è quello di continuare ad abbassare l’asticella della ricchezza della V° classe; lo sfruttamento verso i
contadini poveri stava diventando insostenibile, Roma stava fallendo nella riscossione dei tributi della parte più ingente del popolo
e cioè la V° classe. Quando anche i Gracchi falliscono sarà il consolo Gaio Mario a intervenire decidendo di pagare gli uomini
affinché si arruolino. Vengono pagati cittadini romani e mercenari e a partire dal I secolo a.C. l’esercito diventa proletario,
mercenario e volontario. La disoccupazione costrinse molti a divenire soldati; questa è la mezza soluzione al sistema agrario (uno
dei problemi la cui dorsale continuerà per tutta la storia di Roma). Da qui comincia un lento processo di decadenza. I membri delle
5 classi erano divisi in centurie e ognuna valeva un’unità di voto. Quante unità di voto avevano le singole classi?
1 classe: 80 centurie→ 80 unità di voto→ creazione di un’elites di 18 centurie di equites cavalieri che combattevano a
cavallo; 12 usavano cavalli pubblici e 6 uno privato.
2 classe: 20 centurie→ 20 unità di voto
3 classe: 20 centurie→ 20 unità di voto
4 classe: 20 centurie→ 20 unità di voto
5 classe: 30 centurie→ 30 unità di voto
Il voto era quindi organizzato: 80+18= 98 centurie, mentre tutte le altre insieme arrivavano a 95 centurie; siccome si votava in
origine, a partire dalle prime classi, le altre classi in pratica non votavano mai. 13 OTTOBRE 2016
Riforma centuriata:
In realtà è successiva al VI secolo ma già nel sesto secolo erano intervenute due riforme non sappiamo in quali modi (abbiamo
solo gli esiti successivi) ma le riforme sono partite nel secolo successivo, una ripartizione in senso territoriale della comunità
romana (tribù) e una ripartizione della popolazione per classi di censo. Le due riforme che sembrano diverse l'una dall'altra in
realtà appartengono allo stesso momento storico perché l'organizzazione territoriale serviva ad accertare il livello di ricchezze dei
cittadini romani, cioè la ripartizione è funzionale al rilievo delle ricchezze, al censimento. Le autorità ripartendo territorialmente la
città, potevano più facilmente rilevare i livelli di ricchezze dei singoli cittadini romani. Poi si prendeva atto delle differenze di censo
e in base a queste si distribuivano onori e oneri (tanti onori quanti oneri) onori: partecipazione alla vita politica, oneri: tributi e
partecipazione alla vita militare. La ripartizione in classi di censo faceva sì che come dal punto di vista politico, così anche dal
punto di vista militare, i compiti più gravosi spettassero agli aristocratici. Le 18 centurie di cavalieri costituivano una nuova classe.
Le classi di censo erano divise in centurie, la prima classe ne aveva 80 e tutte le altre ne aveva 20 tranne la quinta che ne aveva
30. A queste si aggiungono le 18 della classe dei cavalieri, alcuni dei quali avevano l'obbligo di presentarsi al servizio militare con il
loro cavallo, altri con il cavallo dello stato ma in questo caso erano obbligati a tenerlo bene se no venivano puniti. Così le classi
abbienti erano ripartite in 80+18 centurie: ciò creava una maggioranza all’interno della popolazione che si radunava in assemblea,
vi era una netta superiorità delle classi abbienti nell’assemblea popolare. 98 vs 90. A queste centurie andavano aggiunte 5
centurie, due di Fabri: genieri= i costruttori es. di ponti, 2 centurie di tubicines: suonatori di tromba e aulo. Trombe+ grido dei
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soldati grande effetto. Poi c’era 1 centuria di proletari che andava a combattere con forconi bastoni ecc. Quindi in totale si
raggiunge un massimo di 95 centurie contro le 98 delle classi abbienti. Pare che all’inizio quando iniziò a funzionare il comizio
curiato, si votasse per centurie ma la centuria che votata per prima era quella della prima classe ma quando si arriva a 96 ci si
fermava perché è già la maggioranza e quindi spesso la maggioranza si raggiunge solo con il voto della prima classe.
Poi il voto divenne un po' più democratico diminuendo da 80 a 70 le centurie della prima classe. Con il comizio organizzato in
modo centuriato si eleggevano i magistrati più importanti, coloro che avevano l’imperium, la capacità sacrale di comandare
l'esercito e quindi i comizi centuriati eleggevano i consoli e i pretori. Non c'era il senso della parità del voto, il voto dei singoli non
valeva in modo uguale per tutti: il comizio centuriato fu sempre il comizio in cui si radunava tutto il popolo romano ma guidato dalla
sua aristocrazia. I romani avevano già il comizio curiato dell’età repubblicana. Il comizio centuriato diventa quello più importante
della prima età repubblicana e verrà affiancato dal comizio tributo. Entrambi avranno rilevanza sia elettiva che legislativa, possono
votare leggi. A Roma una legge si proponeva attraverso un magistrato, uno dei magistrati andava nel comizio e proponeva il testo
di una legge e poi veniva sottoposta al voto del comizio. Nel suo aspetto legislativo ed elettivo il comizio centuriato di fatto non
esautorava il vecchio comizio curiato perché non eleggeva nessuno, non eleggeva il re. Ratificava però le designazione del re,
attribuiva l'imperium al re. Aveva rilevanza da un punto di vista sacrale. Il comizio curiato non eleggeva e non emanava leggi. Il re
lo faceva. Il comizio curiato veniva solo convocato per la concessione dell’imperium e nel caso di guerra. I rapporti di clientela
erano cogenti: obbliganti. Il comizio curiato non aveva capacità legislativa, anche quando interveniva nelle adozioni prendeva atto
di un adozione avvenuta e ne sanciva la sacralità del rapporto dell'adottato con la nuova gens. Quindi il comizio curiato interveniva
in pochissime occasioni e soprattutto dove era necessario che il popolo desse valore sacrale a delle decisioni. Fortissima valenza
religiosa. Anche il comizio centuriato ha questa valenza sacrale però è un po' più laico. Anche se ha una valenza di tipo religioso.
Quando il re viene cacciato vengono eletti annualmente i consoli: occorreva conferire loro l'imperium e occorreva per la
concessione dell’imperium il comizio centuriato! Questa volta non più comizio curiato. Nell'età più antica l'imperium era sempre
concesso dal comizio curiato. Possiamo capire che ci fosse una continuità del comizio curiato che dava l'imperium altrimenti non
sarebbe stata così duraturo nel tempo (il comizio curiato). Idea che il comizio curiato abbia continuato a dare l'imperium. Parleremo
di magistrature, a Roma le magistrature sono le cariche pubbliche riservate ad un ristretto gruppo di persone che appartengono al
senato oppure che dopo il rivestimento delle cariche pubbliche diventano senatori. Le cariche pubbliche si scaglioneranno in
diversi gradi, basta ricoprire anche solo la prima (la più bassa) per ricoprire poi il ruolo di senatore: senato: o nobili o abbienti.
Molto raramente poteva succedere che un non nobile o un non abbiente acquisisse la carica di senatore e in questo caso veniva
chiamato “homo novus” uomo nuovo, colui che non ha antenati appartenenti al senato. Era riuscito ad arricchirsi e si metteva sotto
la protezione di un senatore, si metteva in un rapporto clientelare, di dipendenza di un senatore (es. Cicerone, Gaio Mario, Catone.
Catone uomo benestante si mette sotto la tutela di un Valerio Flanco che lo aiuta a far carriera, lo presenta ai comizi tributi per
l’elezione alla questura). Una volta entrati in senato andavano avanti da soli con la carriera. Diventavano più importanti dei loro
protettori. In genere però la magistratura romana non si apriva eccessivamente agli uomini nuovi. I magistrati a roma non avevano
solo il compito di amministrare la giustzia(vedremo più avanti)
Sia la riforma censitaria che quella tributaria appartengono ad un periodo in cui in tutto il mediterraneo si ha una forte discesa
Queste riforme si rendono necessarie dove avviene un ampliamento numerico del corpo civico ma soprattutto un allargamento
della ricchezza, maggiore diffusione. Siamo di fronte a città che hanno dei territori da controllare (es. Roma controlla buona parte
del Lazio). Questo ampliamento deriva dal fatto che la città nella sua fioritura attira genti da fuori. Gli etruschi capiscono che Roma
ha tante potenzialità e infatti l’ingrandimento di Roma dipende dall'arrivo degli etruschi: Roma si ingrandisce diventa una potenza
economica e militare (ancora regionale come potenza e non nazionale). È così che le città laziali iniziano a fiorire (Lavinium, Gabi,
Pomezia) prima o poi queste finiranno tutte assorbite da Roma. Ma c’è una fioritura urbana, le città si aggregano in varie forme e si
creano regioni che hanno al loro interno legami privilegiati ad es. Mondo latino. Di fronte ad un pericolo esterno queste città
tendono a stringersi in alleanze, come anche per il mondo etrusco. La situazione del Lazio è che Roma ne controlla una buona
parte. Le città del mondo latino davanti ad una minaccia esterna es, Roma o Etruria si alleano, trovano una coesione. C'è il mondo
etrusco, il mondo laziale e Roma, il mondo greco, come grandi potenze. Si creano quindi giochi di rapporti politici inframezzati da
momenti di ostilità e guerra. L’ostilità maggiore era quella che divideva i greci dagli etruschi, ostilità commerciale. Tra etruschi e
greci continuo stato di frizione. Roma e il Lazio si inseriscono in questa grande polarità in maniera varia ma c'è un'altra potenza
che si inserisce in questo gioco: il popolo dei cartaginesi, sono commercianti come i greci. Rapporti quasi sempre di ostilità e nei
momenti di più duro confronto la tendenza degli etruschi è quella di allearsi con i cartaginesi, in genere nella grandi battaglie
vediamo cartaginesi ed etruschi da una parte e greci dall'altra. 535 a.C. Nelle acque di Alalia (tra Sardegna e Corsica) la flotta
greca e quella etrusco-punica si scontrano e la maggior parte degli storici ritiene che abbiano vinto gli etruschi. Colpo fortissimo
per i greci. Perché era la rotta per arrivare a Marsiglia (colonia greca) così rimangono tagliati fuori da quella tratta commerciale.
Battaglia di Alalia greci battuti. Passano nove anni, 526 e a Cuma (greca) i greci che giocano in casa i greci vincono contro i
cartaginesi. Il mondo etrusco inizia in quel periodo un declino ma il vero declino avviene quando i greci sconfiggono ancora gli
etruschi e cartaginesi nel 574 sempre a Cuma. Le vicende di Roma si inseriscono in questo quadro mediterraneo. A Roma
succede che continua un periodo di fioritura che dà luogo a riforme portate da personaggi provenienti dall’Etruria (Servio Tullio,
Tarquinio prisco.). Dopo Servio Tullio arriva Tarquinio il superbo, altro etrusco. Viene considerato un re “cattivo”. La figlia di Servio
Tullio sposa un altro Tarquinio e questo fomenta la cattiveria di Tarquinio il superbo. Governa da tiranno (nel senso di limitare il
potere dell'aristocrazia. Aristocrazia composta da genti nobili in parte di origine latina e in parte etrusca). Dobbiamo pensare che
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nell'ultima fase della monarchia di Tarquinio il superbo dovesse fare i conti sia con parte latine che etrusca: tra gli etruschi vi erano
sia amici che nemici del re, gioco politico. Le città latine che stanno intorno a Roma e le stesse città etrusche sono rette da
monarchie? Le monarchie garantiscono meglio una continuità. In questo periodo assistiamo a monarchie che non hanno potere
vitalizio, sembra che ci siano personaggi che hanno pieni poteri ma che durano in carica soltanto qualche anno. A un certo punto
Tarquinio il superbo viene esautorato per motivi personali: il figlio (sesto) avrebbe arrecato grave oltraggio a Lucrezia, etrusca.
Allora Bruto e Collatino (marito di Lucrezia) diventano magistrati di Roma: ha valore questa teoria? Visto che collatino è marito di
Lucrezia probabilmente il racconto personale è per giustificare il cambio istituzionale. I capi della congiura che hanno cacciato
Tarquinio erano bruto e collatino, entrambi sono parenti di Tarquinio perché nipoti di Tarquinio prisco e quindi la cosa ha fatto
pensare che si sia trattato di una congiura familiare, proveniente dalla stessa famiglia di Tarquinio. Tarquinio estromesso fugge
prima a Cere poi a Veio poi a Tarquinia e poi a Chiusi dove viene accolto dal re della città: Porsenna. Tarquinio chiederebbe a
Porsenna di poter rientrare in Roma. Porsenna marcia su Roma e assedia Roma ed è la prima volta che il re di una città etrusca
tenta di impossessarsi di Roma: qui avvengono tutti quegli episodi di eroismo: Muzio Scevola, Orazio Coclite ecc. Tutti questi
episodi di eroismo romano celebrato nascondono probabilmente il fatto che Porsenna riesce a conquistare Roma (per poco). Il
figlio di Tarquinio aveva chiesto aiuto ad una città latina: Gabi. Quindi sia mondo etrusco che romano. Porsenna però non agisce
mai a nome di Tarquinio, si disinteressa, prende la palla al balzo e va verso Roma. L'episodio più importante avviene qualche anno
dopo, il figlio di Porsenna, raccolto un grande esercito affronta le città latine che si sono ribellate alla presenza etrusca. Le città
latine si schierano contro gli etruschi. Tusculum invece non si muove perché il principe di Tusculum era genero di Tarquinio il
superbo. Non tutte le città latine si contrappongono agli etruschi ma molti sì. Le città latine si scontrano con l'esercito di Porsenna
ad Aricia, città latina e in aiuto dei latini corre il sovrano di Cuma: i greci contro gli etruschi. I latini secondo la tradizione vincono.
Porsenna e il figlio sono costretti ad andarsene e ad esserne contenti non sono solo i nobili di stirpi latina ma anche alcuni etruschi,
mentre altri saranno stati dalla parte di Tarquinio. Abbiamo l'elenco dei consoli a partire dal 509 a.C. Questi elenchi sono
sicuramente storici? Non saranno stati inventati dopo? Probabilmente sì ma i più grandi studiosi che si sono interessati dei
personaggi delle famiglie romane sostengono che i nomi dei consoli, dei magistrati, sono credibili fin dalle origini(509). Abbiamo
nei primi 50 anni della Repubblica molti consoli che appartengono alle famiglie etrusche= la cacciata di Tarquinio non ha
determinato la cacciata sistematica di tutti gli etruschi. Anzi molti personaggi etruschi hanno cariche nella Repubblica. A partire
dalla seconda metà del V secolo le famiglie etrusche tendono a diventare minore di numero, a rarefarsi. Il che vuol dire che
l'aristocrazia romana vincerà la sua lotta contro l'aristocrazia etrusca ma sarà un fenomeno molto lento. È importante anche perché
fin dalle origini i fasti consolari ci indicano la presenza di uomini di origine etrusca ma anche che fin dall'inizio compaiono accanto a
famiglie patrizie, anche nomi appartenenti a famiglie plebee. Plebei che ricoprono cariche all'interno della repubblica.
Probabilmente anche altre città del centro Italia subiscono lo stesso cambiamento: passaggio dalla monarchia alla repubblica. A un
certo punto collatino, marito offeso, è costretto ad abdicare dal consolato perché imparentato con Tarquinio il superbo. Al suo
posto viene nominato console un Publio Valerio (Valerio Publicola, vedi pietra Satricum): non è etrusco. Questa ricostruzione degli
eventi ha legittimità perché è una ipotesi con la quale collimano i dati a nostra disposizione. Basta un solo elemento nuovo e
cambierebbe la nostra ipotesi. Nella battaglia di Ariccia i popoli latini sconfiggono gli etruschi. I latini hanno un conto aperto anche
con Roma, a questo punto quindi i latini dichiarano guerra a Roma. 17 OTTOBRE 2016
La prima modificazione della costituzione avvenne sotto il regno di Servio Tullio mentre la seconda si ebbe con la fine dell’età
monarchica e la caduta dei Tarquini; secondo la tradizione Tarquinio il Superbo venne cacciato dopo una rivolta avvenuta
all’interno della sua famiglia e delle gentes etrusche. Da come si svolgono i fatti sembrerebbe in realtà un fenomeno ancora più
ampio; la rivolta delle casate gentilizie romane contro quelle etrusche. Avremmo un duplice fenomeno, una lotta interna tra le
singole famiglie etrusche o ancora molto più ampio, una lotta tra le famiglie etrusche e le aristocrazie romane. Quello che è
interessante è che le famiglie etrusche dovevano essere numerose e potenti a Roma, non contando solo quelle dei Tarquini. Non è
una caso che quando viene abbattuta la monarchia i “fasti consolari” testimoniano che nei primi decenni della Repubblica
compaiono consoli delle famiglie etrusche. Si assiste poi nella metà del V secolo a.C. ad una rarefazione di questi nomi etruschi
nei “fasti”, che tendono a diminuire, forse un tentativo di estromissione da parte delle “gentes” romane, con l’obiettivo di esautorare
nel loro potere politico le famiglie etrusche. • Questa lenta scomparsa delle famiglie etrusche è contemporanea allo scoppio dello
scontro tra patrizi e plebei. C’è un collegamento? All’inizio della Repubblica spesso abbiamo consoli plebei che tendono a rarefarsi
durante il corso del V secolo a.C. La caduta dei re avviene in un contesto complesso. I re etruschi di Roma non erano ben visti da
tutto il mondo etrusco. Con la Battaglia di Ariccia, nel 507-506 a.C. o per una ipotesi moderna nel 525 -520 a.C. i latini sconfiggono
gli etruschi, che se ne devono andare e terranno solo l’Etruria campana, ma dopo il 474 a.C. con la Battaglia di Cuma, in cui gli
etruschi vengono sconfitti da Ierone di Siracusa, anche l’Etruria campana cessò di esistere e gli etruschi furono costretti a refluire a
nord del Tevere. Dopo la vittoria dei latini contro l’esercito di Chiusi di Porsenna, nella battaglia di Ariccia, per le fonti avverrebbe
l’episodio determinante (questi racconti nascondono in effetti possibili fatti politici, ma vengono rivestiti dell’aspetto novellistico):
dopo la battaglia di Ariccia i latini si trovano in una posizione di forza e in una di queste città, che non era latina, la città di
Tusculum, si rifugia Tarquinio il Superbo. Si rifugia qui perché aveva come genero Ottavio Mamilio, signore di Tusculum. Per la
tradizione, l’esule Tarquinio il Superbo esorterebbe Ottavio a spingere all’ insurrezione i latini contro Roma. Perché? Secondo la
tradizione Ottavio Mamilio riesce a coagulare sotto di se i latini e insorgere contro Roma, in un periodo particolare per Roma di
lotta tra le famiglie etrusche e romane. Nel frattempo a Roma ci sono scontri tra romani ed etruschi ed entra i gioco un nuovo
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personaggio Spurio Cassio forse di origine etrusca e non di grande famiglia patrizia che arriverebbe al consolato e guiderebbe
l’esercito romano contro l’attacco dei latini. Questo attacco terminerebbe in una battaglia con uno scontro molto strano con una
vittoria romana in una località chiamata Lago Regillo nel 496 a.C., che ora non c’è più. Avrebbero vinto i Romani (forse) grazie
anche all’ intervento avvenuto dal cielo, da parte dei Dioscuri, Castore e Polluce. Questi sono due divinità greche segno che i
rapporti con il mondo greco sono forti.
Tre anni dopo, secondo la tradizione, lo stesso Spurio Cassio avrebbe contratto con i latini un’alleanza, un “foedus”, il “FOEDUS
CASSIANUM”. [Foedus, foederi, plurale foedera].
È un termine connesso con “fides”, che rappresenta la fedeltà e la lealtà, spesso rappresentata sulle monete con due avambracci
che si stringono. Ha una connotazione religiosa; il “foedus” è estremamente obbligante e non può essere disatteso. Chi viene
meno al “foedus” viene meno alla “fides”, ed oltre che essere poco leale è anche sacrilego. “Foedus romano”, i romani devono
correre in aiuto dei confederati, e viceversa, in caso di necessità militare, cioè la “mutua assistenza militare”. I romani non
potevano venir meno e viceversa, i greci invece con il loro concetto simile di “summachia” spesso venivano meno a questo patto di
fedeltà. È come se i romani con il “foedus cassianum” entrassero nella lega latina e ci entrassero in parità con le altre città latine,
su un piano paritetico. Che interesse avevano i romani? Dopo la vittoria del Lago Regillo, o forse la sconfitta, non è chiarissimo,
non si risolse nessuna situazione, tanto che il “foedus cassiuanum” recepì questo sostanziale equilibrio tra le città latine e Roma.
Ne consegue che qualsiasi atto di politica estera che vede Roma protagonista, non è atto della singola città di Roma, ma atto della
lega, come ad esempio la fondazione di una colonia.
Quindi è accaduta realmente la battaglia del Lago Regillo?
Allora perché dopo la vittoria Roma avrebbe creato un’alleanza con i latini?
Non si sa con certezza quello che è accaduto, ma è però evidente che Roma entra a far parte della Lega Latina; ne consegue che
qualsiasi atto di politica estera che a Roma protagonista è atto della lega e non della singola città.
Fino a quando dura questo patto?
Fino a quando i latini si ribellano e vengono sterminati nel 338 a.C. Il “foedus cassianum” dura più o meno 150 anni (dal 493 a.C.
anno del trattato del “foedus”), fino allo scioglimento della lega. In questi 150 anni, Roma non ha una sua politica estera e così le
città latine, ma solo la loro confederazione. Questo si tradurrà in un rapporto privilegiato sul piano del diritto civile e non solo su
quello della politica estera. Tra romani e latini si instaurano tre diritti fondamentali che li congiungono strettamente:
Diritto di Connubio: un romano e un cittadino latino, possono contrarre matrimonio e questo matrimonio è riconosciuto
o valido da tutte le città della lega. Quando due si sposano prendono dunque la cittadinanza del luogo di residenza. Prima
del trattato di alleanza latino-romano invece, quando un romano si sposava con una straniera, il figlio prendeva la
cittadinanza e la residenza con meno valore, quindi quella non romana.
Diritto di Commercio: tra Roma e le città latine, e tra le città latine stesse. Qualsiasi transazione veda coinvolti uomini di
o due diverse città della lega latina, acquisisce valore per tutta la lega latina. I rapporti commerciali sono dunque tutelati da
un diritto comune.
Diritto di Migratio: chi si recava in un giorno di comizio in una città di residenza diversa dalla sua, poteva votare anche in
o quella città della lega; se un romano andava per affari per due mesi ad Ariccia, in cui in quel momento erano presenti le
votazioni, avrebbe potuto votare lo stesso. Tramite la “migratio” temporanea o stabile, il cittadino della lega, acquisiva il
diritto di voto o la cittadinanza definitiva di quella città, diversa da quella iniziale.
Fin dai primi anni successivi al “foedus cassianum”, si forma un esercito della lega, e non delle singole città. Ovviamente se il
“foedus” fosse stato paritetico, avrebbe previsto che il comando dell’esercito della lega passasse di città in città. Invece assistiamo
ad un fenomeno diverso; ad un certo punto, dalla metà del V secolo a.C. il controllo dell’esercito tende ad essere un anno nelle
mani di un personaggio di Roma, e l’anno dopo nelle mani di un personaggio di una città latina, e così via. L’ alleanza non si
svolge più su un piano paritetico. Pare che il primo squilibri sia stato questo. Alla fine del V secolo a.C. Roma comincia ad esigere
un tributo dai cittadini della lega. Questo indica una posizione egemonica di Roma, che si riserva sempre più il diritto di chiedere
truppe alla lega e non soccorrere le città della lega. Probabilmente nel momento del “foedus” si era stabilito il contingente da
fornire, una rimanenza di questo probabile accordo è la “formula togatorum”, cioè numero di cittadini guerrieri da fornire alla lega.
Questo si vede avvenire spesso, nei momenti in cui per esempio Roma ha sconfitto gli Equi, i Volsci o i Galli, e quindi quando i
Romani sono molto potenti. Nel 340 a.C. avviene la sconfitta della lega latina e il suo scioglimento, quando arriva cioè l’apice dei
bisogni di Roma, ai quali i latini non riescono a sopperire e si rivoltano.
Le colonie romane prima del 338 a.C. non ce ne sono, sono invenzioni degli storici. Tutte le colonie sono colonie della lega latina,
non solo romane. Roma avrebbe contratto meno di 10 anni dopo, circa 7 anni dopo, un simile “foedus” con gli Ernici, a sud di
Roma, nel 486 a.C. (data tradizionale). La tradizione sembra coagulare intorno a Spurio Cassio tutti gli eventi che accadono nei
primi 20 anni della Repubblica Romana. Spurio Cassio non appartiene alle gens etrusche e ha grande seguito popolare. Gli viene
dato il comando durante l’attacco tremendo dei latini. A lui viene riferita una proposta di legge che doveva abolire il NEXUM, cioè la
schiavitù per debito. A Roma vigeva il mos, la consuetudine, e in seguito il diritto, che il debitore insolvente diventasse schiavo del
creditore. L’ uomo che soggiace al “nexum” si chiama “nexus”. Tutte le proposte, non solo a Roma ma in tutto il mediterraneo, dal
VII secolo fino al I secolo a.C. puntualmente vennero fuori. I tentativi riformatori volevano due cose: la riforma agraria e l’abolizione
del “nexum”. Questi due elementi furono sempre il motivo ricorrente che caratterizzarono la storia agraria di tutto il Mediterraneo.
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Persino Sparta ebbe un re che tentò la via di questa riforma agraria e di cancellazione dei debiti: CLEOMENE III. Diventano i
cavalli di battaglia dello stoicismo. L’ aristocrazia di Roma non volle mai mollare sul “nexum”, che venne abolito solo nel 326 a.C.
Cosa succedeva se un individuo era debitore di più creditori?
Secondo le Leggi delle 12 tavole siccome il “nexus” era un oggetto allora andava diviso tra i vari creditori; a lungo si è pensato che
la divisione del “nexus” fosse simbolica, ovvero lo teneva solo un creditore e gli altri venivano liquidati da chi si teneva il “nexus”,
mentre i giuristi ad oggi sostengono che il “nexus” venisse veramente diviso tra i vari creditori, per dare una sorta di segnale ai
debitori insolventi. In se l’istituto del “nexum” è terribile. Per la tradizione a Roma, Spurio Cassio sarebbe il primo legislatore a
volerlo abolire. Contro queste proposte insorge l’aristocrazia terriera gentilizia. Spurio Cassio viene accusato di aspirare alla
tirannide e venne ucciso, poco dopo la prima secessione della plebe (494 a.C.).
La plebe appare alla ribalta politica intorno al 494 a.C. attorno al monte sacro, forse l’Aventino. Qui vi era un tempio dedicato alla
triade plebea, “Cerere (dea delle messe), Libero (legato alla coltivazione della vite) e Libera (forse divinità agraria)”. Cerere viene
identificata con la dea greca Demetra, la divinità dei misteri eleusini. Nel momento in cui si va consolidando il sistema
repubblicano, la monarchia è caduta da poco più di 10 anni. Alla caduta dei re i romani eleggono dei capi, due personaggi che
governano per un anno, che si chiamano “consules”, e che hanno i poteri politici del re. Già in origine vigevano due principi:
A) Annualità
B) Collegialità
Questi rimangono i principi cardine, anche quando le magistrature si evolveranno. Solo due magistrature eluderanno questi punti
cardine: A) la magistratura del “dictator”, che non obbedisce a nessuna di queste caratteristiche, colui che possiede i poteri è uno
solo e ha a sua disposizione i 24 littori come il grande re, e viene dunque meno alla collegialità, ma resta in carica solo 6 mesi. L’
altra magistratura è la B) censura; i censori saranno due, ci sarà la collegialità, ma verranno eletti ogni 5 anni e resteranno in
carica 1 anno e 6 mesi. È un potente antidoto alle usurpazioni di potere di un singolo. I consoli avevano il potere di condurre
l’esercito (“imperium”), ma i consoli come gli altri magistrati avevano tutti una precisa “potestas”, un potere che inserisce alla
carica. Ad esempio il console edile era quello che controllava il preciso svolgimento del mercato. La collegialità è attestata dalla
seconda metà del V secolo a.C. Ci sono indizi di collegialità disuguali. C’è un serio dubbio che i primi magistrati si siano chiamati
consules, che è corradicale del verbo “consulere”, i cui significati sono “io provvedo a qualcosa” oppure “consiglio qualcuno”.
“Consulo” significa fare da supporto a qualcuno e non comandare. Il pretore, etimologicamente, sarebbe pre-itor, colui che
cammina davanti agli altri. Il pretore si insediò subito dopo il console, ed era dunque una carica già esistente con i “consules”.
Alcune fonti parlano di un “Pretor Maximus”; i primi magistrati non dicevano chiamarsi “consules”, ma pretori, che avevano insieme
a loro altre cariche collegiali di “consules”.
Nel V secolo a.C. Roma conosce un periodo di contrazione in cui occasionalmente vengono alla ribalta personaggi che hanno
comandi individuali, come i dittatori ad esempio oppure il “magister populi”. Questo è il periodo in cui in mezzo a queste situazioni
intricate compare la plebe, come un fulmine a ciel sereno nelle fonti. È improbabile che la plebe come appare in Livio, si sia
organizzata così velocemente apparendo dal nulla. Patrizi e plebei c’ erano già ed erano già separati nell’ età di Romolo, ma per
tutta l’età monarchica non sentiamo parlare di plebe. È improbabile che questo dualismo sia originario. Di fatto questo dualismo
emerge all’inizio della Repubblica. C’è un rapporto tra la fine del potere etrusco su Roma e la nascita della plebe? La risposta
dipende dalle ragione di costituzione della plebe e sulla sua formazione.
PLEBE→ Imparentata con il termine greco “plethos”, che significa insieme/amalgama di elementi diversi. È probabile che la plebe
si sia venuta formando come un conglomerato di elementi diversi, che hanno un’unica caratteristica comune, quella di essere
estromessi dal potere dai gruppi gentilizi. Patrizi e plebei potevano essere separati da motivi etnici? È possibile. A lungo si è
pensato che i patrizi potessero essere i primi abitatori di Roma e i plebei coloro che erano affluiti nel corso del periodo monarchico.
E viceversa, altri pensatori, sostengono il contrario. I grandi clan che erano allevatori di cavalli e cavalieri aristocratici sono i patrizi
che si impongono sulla plebe precedente, che sono gli abitatori originali di Roma, e sono i contadini e gli allevatori di pecore del
luogo. Livio dice che i plebei sono estranei al sistema gentilizio.
L’ipotesi etnica non è un’ipotesi del tutto escludibile. Ci sono altre almeno altre 3 ipotesi:
Cause politiche
Cause economico-sociali, più frequentemente indicate, ma non è vero, o almeno non è sempre vero.
Cause religiose 18 OTTOBRE 2016
Non si conosce né l’origine né la vera natura della plebe. Anche gli antichi sapevano poco, per un motivo semplicissimo: nell’
antichità si comincia a ricordare il conflitto tra patrizi e plebei nelle opere storiografiche del II –I secolo a.C., tre secoli dopo
l’avvenimento dello scontro. In questi secoli si ributtava sull’ antichità un’interpretazione che risentiva dei problemi contemporanei,
come ad esempio quello agrario. La tendenza è quella di interpretare il conflitto tra patrizi e plebei tra grandi agrari e contadini
poveri. La spiegazione agraria ed economica doveva essere ripresa da quelle filosofie che avevano il loro cardine nel concetto
base di lotta di classe. Secondo un’interpretazione liberale, dal punto di vista politico, i plebei potevano essere clienti distaccatisi o
allontanati dai gruppi gentilizi oppure semplicemente individui arrivati da fuori, non in grandi clan, in questa città, durante il periodo
etrusco a Roma. L’ interpretazione politica e quella etnica potevano anche combaciare.
Soprattutto dopo l’ultima Guerra Mondiale, molti hanno sottolineato l’aspetto religioso di questo scontro. Tra le varie interpretazioni
ci sono ovviamente dei passaggi in cui nessuna esclude l’altra.
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Patrizi e plebei vengono definiti dalle fonti due “nomina”. “Nomen” ha una fortissima valenza identitaria. Se uno appartiene ad un
nomen è affezionatissimo a quelli del suo stesso nomen e nemico potenziale degli altri nomina. Il nomen indica il gentilizio. Il
nomen romano può essere contrapposto al nomen latino (Spurio Cassio riesce a far convivere due nomina, quelli romani e quelli
latini). Ogni nomen aveva i propri “sacra”; ogni gens venerava in particolare una divinità, ogni gens aveva i suoi dei “lari” e i suoi
“penati” (divinità protettrici della casa e della famiglia); ogni gens aveva una morale ben diversa; ogni gens aveva le sue abitudini e
le sue consuetudini (“mos”). Anticamente nelle singole gentes gli individui avevano cimiteri diversi. Il nomen comporta quindi in
generale una separatezza. Fino a quando prevale la divisione gentilizia, si afferma in modo imponente questa separatezza. A
partire dal III secolo a.C. le gentes si sfaldano e si dividono in moltissime famiglie, nelle quali continuano a persistere gli stessi
sacra, pur ormai non essendo più imparentate o non avendo i medesimi pensieri politici.
L’ elemento religioso è quello che continua a persistere. Alcune gentes inoltre, avevano feste proprie: la “festa dei lupercali”, una
festa che si teneva a Febbraio, era un’antica festa propiziatoria per il ritorno della vegetazione, e quindi per la fecondità. Durante
questa festa dei giovani nudi correvano dietro a donne incinte e le bastonavano, allontanando il malocchio da coloro che erano il
simbolo della fecondità, le donne incinte appunto. Questi giovani appartenevano a due sole gentes, alla gens Fabia e alla gens
Quinctia. Il personaggio più famoso della gens Quinctia è Titus Quinctius Flamininus, il comandante romano che porta la guerra in
Macedonia per l’allargamento delle province, sconfiggendo il re di Macedonia Filippo V.
Come esistevano feste specifiche esistevano anche dei tabù specifici. La gens Quinctia e la gens Aelia (l’imperatore Adriano
appartiene a questa ultima gens), per lungo tempo hanno avuto la proibizione di mandare in giro le loro donne con oggetti d’ oro.
In Età Monarchica non vediamo agire due comunità differenti. Troviamo lotte tra famiglie romane e tra famiglie etrusche, ma non
lotte interne ai soli romani. È come se la lotta contro le aristocrazie etrusche, catalizzasse la lotta tra le due componenti della
società romana, patrizi e plebei. Un grande storico, Gaetano De Sanctis, di fronte alle varie teorie, inventò la formula della serrata
del patriziato: alla caduta della monarchia, i gruppi gentilizi più forti, di stirpe romana e non etrusca, si sono uniti e hanno infeudato
le cariche pubbliche, prendendo le posizioni di potere ed escludendo tutti gli altri; in questo modo fa sì che tutto il resto della
comunità proponga un conglomerato eterogeneo, che formerebbe la plebe. Nel momento in cui la plebe si ribella, sa organizzarsi
immediatamente, non solo prendendo in considerazione la componente della velocità, ma anche l’articolazione che la plebe sa
dare al “nomen plebeium”. Nel conglomerato della plebe si può pensare che esistesse un’èlites, in grado di progettare nuove forme
istituzionali e politiche.
I patrizi erano detentori esclusivi dell’“aucortitas patrum”, una facoltà di carattere sacrale per cui i gruppi gentilizi del patriziato
potevano sancire (una “sanctio” di carattere sacrale appunto) le leggi, una volta approvate dalle assemblee cittadine, per esempio
quella dei comizi centuriati. Il ruolo svolto nel gruppo gentilizio dal patronum dei capi delle gentes e dai clienti, qui è svolto dai
magistrati plebei e dagli individui che compongono la plebe. I magistrati plebei hanno il diritto di “auxilium ferre plebi”→ “di portare
aiuto alla plebe”. La prima apparizione della plebe risale ad una decina d’ anni dopo la caduta della monarchia. Nel 496 a.C. a
seguito della Battaglia del Lago Regillo, viene innalzato un tempio sull’ Aventino in favore della triade plebea, che non doveva per
forza essere contrapposta a quella dei patrizi, ma almeno personale dei plebei. L’ edificio sacro doveva essere tenuto in ordine;
per questo vengono creati due magistrati plebei, due responsabili del tempio di Cerere, Libero e Libera. Inizialmente il tempio
veniva semplicemente chiamato il tempio, essendo l’unico. Il tempio in latino veniva chiamato “aedes”, che al plurale vuole dire
solo casa, mentre al singolare tempio, e in alcune accezioni anche casa. Da questo nome vengono definiti i magistrati edili plebei.
Un secolo dopo anche i patrizi creano gli edili curuli (curuli indica una carica legata ai senatori). La grande creazione della plebe è
la creazione del “tribunus plebis”, di poco successiva alla prima secessione, due anni dopo la creazione del tempio; in questo
periodo avviene la prima rivolta della plebe.
Volontaria separazione→ secessione. Non è una rivolta armata, non c’è bisogno. La plebe si separa poiché i patrizi vogliono
arruolare l’esercito in vista della guerra contro Veio e Fidene, due interventi che focalizzano molto l’attenzione romana. La plebe si
rifiuta di combattere per i patrizi, ma accordano di combattere per Roma. I plebei per la loro stratificazione interna avevano da fare
molte richieste ai patrizi. I plebei più ricchi e colti non avevano rivendicazioni economiche da fare, ma solo politiche, infatti volevano
essere compartecipi al comando della città. I piccoli contadini chiedono invece una riforma agraria. I capi della plebe avanzano
sempre richieste varie. La secessione finisce con il plebeo Menenio Agrippa, che appartiene alla gens Menenia, che dopo essersi
recato sul monte sacro, forse l’Aventino, produce il famoso apologo, dopo il quale la plebe torna insieme ai patrizi.
La fine della secessione non pone fine ai problemi. In questo momento la plebe si organizza. Serve una rappresentanza politica
forte; vengono creati i tribuni della plebe. In origine forse erano due, sull’ esempio dei consoli; in breve tempo aumentarono di
numero fino ad arrivare a dieci. Questi sono i capi della plebe, che si organizza in un’assemblea che si definisce “concilium plebis”.
Non può definirsi comizio poiché il comizio è un’assemblea di tutta la cittadinanza romana. Il conciulum plebis emette delle
decisioni chiamati plebisciti (da plebis – scitum), che hanno valore vincolante solo per i plebei. Non è una legge che obbliga anche
i patrizi, inizialmente. I tribuni venivano riconosciuti come capi della plebe, eletti tramite una “lex sacrata”. Una legge sacrale è
sempre chiusa dal giuramento; non è solo un’elezione. Questo da loro un grandissimo potere politico e sacrale; tradendo la causa
della plebe diventerebbero sacrileghi. Da questo però dipendono anche grandi impegni.
SACER è una vox media→ può essere sia usato con accezione positiva – sacro – oppure negativa – sacrilego.
Il tribuno è una figura sacrosanta, per cui non si può attentare alla sua immagine, altrimenti si è maledetti dagli dei e sacrileghi.
Questa “sacrosantitas” finiva quando esauriva il tempo della carica del tribuno della plebe. A cominciare dall’ imperatore Augusto,
tutti gli imperatori avranno la sacrosantitas, che li renderà inviolabili dal punto di vista sacrale.
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Il concilium plebis veniva convocato dal tribuno. Più tardi i tribuni ottennero anche altri poteri, tra cui quello dell’“intercessio”, cioè il
diritto di veto sulle proposte di legge dei magistrati superiori. Forse è la pima assemblea che si raduna ripartita in tribù territoriali,
ancora prima di quelle dei comizi tributi.
I Concilia Plebis Tributa precedono di fatto l’istituzione dei comizi tributi, cioè di tutto il popolo romano. La Lex Publilia Voleronis fu
votata nel 471 a.C. su proposta dei tribuni della plebe di quell'anno, tra i quali Publilio Volerone, primo propositore della legge. Con
questa legge il concilio della plebe, costituitosi "extra ordinem" dopo la prima secessione della plebe sul Monte Sacro del 494 a.C.,
fu riconosciuto ufficialmente come realtà istituzionale della Repubblica romana, ed organizzato su base tributa. I tribuni della plebe
e gli edili venivano eletti dai Concilia Plebis Tributa.
Queste lotte creano uno stato di grandissima debolezza interna. I plebei usano lo sciopero, o meglio la remittenza alla leva. Roma
ha comunque l’esercito della lega latina, ma non basta per tutti gli avversari, che comprendevano anche Equi e Volsci, con guerre
formate di campagne stagionali, tra sconfitte, perdite di uomini e vittorie. In seguito alle guerre interne, Roma controlla solo il
“Latium Vetus”. C’è una contrazione del territorio controllato da Roma.
Ecco alcune delle ragioni di carattere sociale avanzate dai plebei:
La revoca del diritto di conubium. Patrizi e plebei si potevano sposare tra loro, ma il matrimonio non era riconosciuto dallo
stato. I figli non potevano ereditare. La situazione era divenuta ancora più intollerabile dopo il “foedus cassiunum”.
Romani e latini avevano il diritto di conubium, mentre patrizi e plebei non lo possedevano. I plebei volevano anch’ essi il
diritto di conubium. Il problema era in sostanza quello di volere gli stessi diritti civili.
Teoricamente i romani, in realtà i plebei, volevano esser uguali tra loro (uguali ai patrizi quindi) anche di fronte alla legge. I
giudici erano solitamente patrizi e in questo modo i giudici erano più indulgenti con i patrizi. Nel 462 a.C. i plebei chiedono
che le leggi vengano scritte, a prescindere dei privilegi, in modo da togliere il margine d’ arbitrio che avevano i giudici
patrizi.
Nella prima metà del V secolo a.C. si fa imponente il problema agrario. Probabilmente la stessa separatezza tra patrizi e
plebei porta ad una concentrazione della ricchezza agraria nelle mani dei più ricchi patrizi a scapito dei plebei. I plebei
chiedono terre, non terre private ma pubbliche. L’ ager romanus in gran parte è pubblico, ma i grandi proprietari privati
tendono ad occupare anche le terre pubbliche. Il colle della plebe è l’Aventino. I plebei chiedono una ridistribuzione di
terre sull’ Aventino, a titolo non si sa se di proprietà privato o ad uso comune o solo in usucapione.
Con il passare di diverse secessioni, i plebei ottengono che venga nominata una commissione di dieci membri, incaricata di
scrivere le leggi. La commissione resta in carica un anno; il primo anno i primi decemviri sono patrizi, che secondo la tradizione
scrivono leggi giuste. Il secondo anno ai giudici patrizi, vengono aggiunti membri plebei, che invece scrivono leggi ingiuste (sempre
secondo la tradizione). La fonte dalla quale vengono estirpate le informazioni è palesemente a vantaggio dei patrizi. Le XII tavole
(451-450 a.C.) l’insieme di leggi scritte dai decemviri plebei e patrizi, confermavano le leggi del nexum (schiavitù per debito) e la
proibizione del conubium; in questo caso non si può tanto riconoscere la vittoria per i plebei nella giustezza delle leggi, ma almeno
nella stesura scritta e incancellabile delle leggi, in modo da avere almeno l’uguaglianza tra le due fazioni di fronte ad esse.
Le secessioni dei plebei durano per 80 anni circa. La loro forza è così grande che a volte riescono a bloccare i comizi elettorali, a
volte rifiutano di mettersi sotto il potere di un console patrizio; accade così che viene creato dai plebei, d’ accordo con i patrizi, un
organo dei tribuni militum consulari potestate (comandanti militari che hanno il potere dei consoli solo in guerra).
Ci sono anni in cui non vengono nemmeno eletti i consoli, ma solo i tribuni militum, che non solo plebei, ma anche patrizi. Roma è
dunque militarmente comandata da questi tribuni militum per 80 anni, fino a quando tramite le “Leggi Licinie Sestie” (in latino
“Leges Liciniae Sextiae”) del 367 a.C. otterranno che almeno un console dei due possa essere plebeo.
La “Legge Canuleia” (in latino “Lex Canuleia de Conubio Patrum et Plebis”) è una legge proposta dal tribuno della plebe Gaio
Canuleio nel 445 a.C. con la quale venne abolito il divieto di nozze tra patrizi e plebei, risalente alle tradizioni dell'epoca arcaica di
Roma e codificato dalle Leggi delle XII tavole da pochi anni (451-450 a.C.) entrate in vigore.
20 OTTOBRE 2016 (NO LEZIONE CAUSA ASSENZA DEL PROF.)
24 OTTOBRE 2016
La plebe costituisce una specie di stato nello stato, un corpo civico all’interno del corpo civico. Si caratterizza per la sua natura
composita non omogenea, all’interno della plebe esiste una élite, dotata di notevole ricchezze, che diverrà l’elemento trascinatore
della plebe e che richiede insistentemente di accedere alle cariche pubbliche. Il patriziato tende a rinchiudersi i se stesso, (De
Santis definisce l’atteggiamento con “serrata”).
La plebe si dà una organizzazione originale: si dà dei magistrati che sono tribuni, gli edili plebei, un concilium plebis. Quest'ultimo
non può approvare leggi (si possono approvare solo nell’assemblea generale di tutti i cittadini —> comizi) ma può invece
approvare i plebisciti. Problema: i provvedimenti richiesti a favore della plebe vengono tramandati dalle fonti letterarie come leges.
Avrebbero dovuto parlare di plebisciti, ma le fonti letterarie capiscono fino a un certo punto la differenza tra leggi e plebisciti, e
invece riportano il termine lex per spiegare che questi provvedimenti avevano ripercussioni su tutto popolo romano. Probabilmente
fin dall’inizio i capi della plebe capiscono che è necessario un passaggio dal plebiscito alla legge, inutile approvare i plebisciti se
poi non valevano per tutta la popolazione ma solo per la plebe. Non sappiamo se esistevano meccanismi automatici che
consentivano questo passaggio da plebiscito a lex. Siamo informati solo dal 339 a.C. di una legge la publilia philonis per la quale i
plebisciti acquisiscono valore di legge (non sappiamo con quale meccanismo). Doveva essere complicato, forse esisteva già dal V
secolo. La plebe nel 445 a.C. ottiene la revoca del divieto di connubio, artefice di questo è il tribuno Canuleio. La data del 445 a.C.
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corrisponde a cinque anni dopo che i decemviri hanno ribadito il divieto di connubio. La lex canuleia plebisciti —> Canuleio si sarà
presentato al concilium plebis al quale propone un plebiscito di revoca di divieto di connubium, la plebe approva e quindi la
proposta diviene plebiscito. Poi, in un’occasione particolare, di debolezza interna di Roma, Canuleio si reca dai capi patrizi e dice
“noi abbiamo approvato il plebiscito ora tocca a voi e conviene anche a voi accettarla sennò continuiamo a far sciopero”.
Contemporaneamente il tribuno della plebe propone ai patrizi in casi di forte contestazione e di rischio di secessione che è meglio
che patrizi e i plebei si accordino sui nomi di alcuni tribuni militum con potere consolare. Sappiamo che il tribuno della plebe aveva
proposto che patrizi e plebei si accordassero sui nomi che potessero essere investiti della carica di tribuni militum (in pratica: "se
voi non mettete a capo dell'esercito sia patrizi che plebei noi non combattiamo"). I patrizi si vedono costretti ad accettare la
proposta, ed in quel momento probabilmente anche Canuleio interviene proponendo il plebiscito che diventa lex. Inoltre chiedono
in cambio ai patrizi la revoca del divieto di connubio. A questo punto un magistrato patrizio avrà portato il testo del plebiscito
davanti al patrizio plebeo, da quel momento il plebiscito diventa lex.
Non era un procedimento semplice o agile. Erano contenti i patrizi di dover cedere sul connubio? Contenti di dover rinunciare in
molti anni tra 440 e 370 a.C. ai consolati? No, però o si manteneva una certa chiusura del patriziato oppure ci si poteva aprire
lentamente accogliendo nelle cariche pubbliche anche elementi della plebe. Il problema è che i patrizi non volevano mollare il
consolato. Secondo la tradizione, che sicuramente è falsa, ma che riecheggia ai bisogni reali, Canuleio presenta una legge, un
plebiscito in cui i plebei chiedevano 3 provvedimenti:
Revoca del divieto di connubium —> lo dice anche Livio all’inizio del quarto libro.
Che uno dei due consoli potesse essere plebeo —> i plebei chiedono che uno dei due consoli potesse essere plebeo,
non che sia necessariamente un console plebeo. Chiedono la possibilità.
Un provvedimento de modo agrorum (sulla misura dei campi) —> riforma agraria volta a limitare i possessi agrari. Quali
possessi? Quelli privati? No, quelli privati possono essere illimitati, la proposta riguarda le terre pubbliche. Il patrizio
poteva ampliare i propri terreni prendendo in affitto dallo stato parte del terreno pubblico. Potevano comprarlo soltanto
coloro che avevano ricchezze. I patrizi erano gli unici a poter acquisire nuove terre dallo stato, pagando il canone ma in
realtà dopo due o tre anni cominciano a non pagare più. Questi possessi tendono a perpetuarsi. Molti i contadini poveri,
anche loro vogliono le terre pubbliche in affitto. Questo problema corre lungo tutta la storia repubblicana e tutte le volte
l’aristocrazia tende a rifiutare una soluzione “democratica”.
E’ interessante che Livio parla di queste tre richieste, erano effettivamente quelli i reali bisogni che provenivano dalla plebe, poi
non sappiamo se Canuleio li propone. Di sicuro il connubio verrà da lui proposto e viene anche accettato, gli altri vengono respinti
dai patrizi (in realtà probabilmente non sono mai proposti).
La plebe risulta molto coesa perché è tenuta insieme da una lex sacrata. E’ proprio la debolezza della plebe che spinge la plebe
stessa a organizzarsi in modo coeso, per rendere sacrosanti i propri rappresentanti, i tribuni della plebe dunque sono sacralmente
inviolabili. Questa della sacrosantas dei tribuni della plebe è un motivo che si affermerà con il principato (anche Augusto fonderà il
potere civile sulla sacrosantitas). Il momento della estrema chiusura del patriziato lo si trova infondo una sanzione anche nelle 12
tavole (unico vantaggio dalla promulgazione della legge delle 12 tavole —> leggi scritte ma di fatto la plebe non ha più poteri 451-
450 ribadito il divieto di connubium). Nel 445 a.C. il patriziato inizia in parte ad aprirsi perché costretto, a causa della revoca del
divieto di connubio e dell’apparizione dei tribuni militum. Probabile che essi siano contemporanei e strettamente collegati —> i
patrizi mollano sul connubio e i plebei accettano di combattere sotto capi anche patrizi ma li vogliono pure plebei. La plebe vuole
appartenere al corpo civico in tutti i suoi diritti. Come mai aumenta nel corso degli anni il potere contrattuale della plebe? Uno dei
motivi è costituito dalla difficile situazione di Roma per quanto riguarda la politica estera. Il passaggio da monarchia a repubblica
era stato per Roma molto difficile, l’aristocrazia era divisa, quella etrusca lentamente esautorata. La caduta dei re provoca reazioni
a catena nelle popolazioni circonvicine (Chiusi, insurrezione dei latini, intervento di Cuma a favore dei latini, la battaglia tra romani
e latini, la pace e l’istituzione della lega latina, l’alleanza con Ermici). Prima Roma era in una posizione nettamente difensiva, e
questa difficile situazione porta a una contrazione del territorio controllato dal Lazio che non si estende più fino a Terracina (trattato
di navigazione) ma si limitava a pochi chilometri quadrati dopo le mura serviane. I romani erano tanto rozzi e ossessionati dal
divino quanto per molti aspetti illuministi, cioè prendevano lezione dall’esperienza. Quando si svolge la battaglia del lago Regillo,
noi non sappiamo chi sia la potenza vincitrice tra romani e latini, ma i romani dicono di aver vinto loro. Molto strano il fatto che
nonostante essi abbiano vinto, decidono di contrarre un’alleanza molto forte con i latini —> lega latina (connubium commericum
migratio), poi lo faranno anche con gli Ermici. I romani tendono a ricorrere a un modello federale per esercitare un’egemonia sul
territorio circostante, e cioè si mettono da un punto di vista giuridico sullo stesso piano delle popolazioni circostanti, sullo stesso
piano anche per quanto riguarda il diritto e il dovere di assistenza militare. I romani non sono altruisti ma il loro intervento è
finalizzato alla protezione di una zona di influenza il cui centro era Roma.
Modello federale —> i romani per controllare i territori circostanti non ricorrono alla conquista brutale, a volte lo fanno, ma il più
delle volte ricorrono al sistema delle alleanze. Roma poteva, nel suo ovvio desiderio di espansione, pretendere la sottomissione di
una città alleata, per esempio: pretesa dell’aumento dell’esercito da parte dei militari delle cittadine. Questo tipo di rapporto
instaurato nelle città che Roma aveva sconfitto è particolare: se riteneva utile non distruggerla completamente allora la assumeva
nella propria fides. La città sconfitta si consegnava alla discrezione di Roma, si arrendeva incondizionatamente a Roma. E i romani
la mettono giù come un “diventiamo soci, alleati”. Spesso la resa incondizionata è la precondizione per diventare alleati di Roma.
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Quelli accolti nell’alleanza di Roma sono assimilati ai latini? No, sono alleati che non hanno i tre diritti che invece i latini hanno
(connubium commericum migratio) sono cioè alleati di serie B.
Dopo la sconfitta, mantengono l’indipendenza interna a condizione però che l’aristocrazia che teneva le città vinte fosse sostituita
da una nuova aristocrazia filoromana. I romani imponevano sulle comunità vinte una nuova aristocrazia, una aristocrazia locale e
in genere se la comunità si arrendeva quasi subito i romani non ricorrevano nemmeno allo sterminio ma accoppavano solamente i
nobili anti romani e li sostituivano con neo nobili filoromani ma sempre locali. E’ proprio questo il sistema con cui Roma conquista il
mediterraneo, l’alleanza con le aristocrazie locali. La situazione nella comunità vinta: i nuovi aristocratici sono necessariamente
filoromani perché imposti e appoggiati da Roma. Roma funge da garante dei privilegi di questa nuova aristocrazia locale. I romani
cercano di riconquistare l’egemonia sul Lazio con questo sistema federale. C’era un altro modello espansionistico a Roma, il
modello annessionistico, quando Roma vinceva una comunità nemica e la guerra risultava particolarmente onerosa per Roma i
romani diventavano estremamente brutali e sterminavano tutta la popolazione. La comunità vinta, giuridicamente scompare.
Es: petum—> i romani l’hanno vinta e distrutta, i pochi superstiti diventano cittadini romani ma il territorio della città viene annesso
al territorio di Roma, diviene ager romano. E quindi i pochi abitanti superstiti diventano cittadini romani. Questo il sistema
annessionistico. I superstiti diventano cittadini romani —> la città annessa e di conseguenza gli abitanti diventano cittadini romani,
alla fine del II secolo a.C, erano pochissimi coloro che volevano diventare cittadini romani, perché? Perché significava rinunciare
non solo alla propria libertà interna ma anche alle proprie tradizioni, alla propria lingua ai propri usi alle proprie abitudini. Una
comunità sradicata dal suo humus culturale. Le città annesse a Roma e i cittadini romani (qualche volta con pieno diritto romano)
—> la comunità diventa municipium. Municipium —> comunità di cittadini romani con pieni diritti o in casi particolari privati del
diritto di voto. Coloro che diventano cittadini romani dopo aver subito la guerra, lo sterminio, la deportazione e l’assimilazione
forzata. Modo che i romani avevano di esercitare il modello annessionistico, ce ne sarà un altro a partire dagli anni 241 - 241 a.C.,
creano un nuovo istituto, la provincia. L’occupazione di una provincia è diversa dall'occupazione di una città. Il territorio della
provincia diventa di proprietà dello stato romano, da un punto di vista giuridico è parte integrante dello stato romano ma il territorio
della provincia non è uguale al territorio del municipio. La provincia diventa un territorio che è un possesso “praedium”, possesso
forzato, e gli abitanti della provincia in quanto tali non diventano cittadini romani, restano peregrini, stranieri. In questo secondo
modello annessionistico il territorio diventa romano ma gli abitanti no. Perché i romani non volevano un allargamento eccessivo
della cittadinanza, e nelle province fu sempre cosi. Il modello annessionistico è usato contemporaneamente al modello federale
nella conquista, ma quello annessionistico prevalse nella conquista della provincia. Il modello federale si adatta meglio alla
territorialità italica, nel mediterraneo risulta invece più comodo il modello annessionistico. Nella loro espansione utilizzano anche
un terzo modello: modello conolario, per ampliare i possedimenti ricorrono alla fondazione di colonie. Tutti questi espedienti
attenuano la crisi di Roma del V secolo, una crisi determinata dal conflitto patrizio plebeo ma anche dalle guerre che Roma deve
sostenere con i popoli circostanti. Il sistema federale servì molto ai romani che lottavano per loro sopravvivenza. Le richieste di
Roma diventano sempre più pressanti nei confronti delle località circostanti. Le guerre con i Volsci gli Equi —> mitizzazione.
Es: Cincinnato, definito così per il suo ricciolino. Famoso per essere stato chiamato dai senatori per guidare le guerre. Altro
personaggio: Gaio Marcio chiamato il coronario.
Quando i romani ricorrevano nella narrazione di queste guerre, vuol dire che erano andate male a lungo prima di essere risolte in
qualche modo.
Quando i plebei si organizzano, i patrizi creano le magistrature, più o meno contemporaneamente alla promulgazione del plebiscito
canuleio i patrizi creano la censura. Perché i patrizi vogliono avere in mano l’esatta situazione del numero dei cittadini romani, la
situazione patrimoniale di tutti i cittadini romani, segno che cominciava a costituirsi la riforma centuriata (che le fonti attribuiscono a
Servio Tullio) che era essenziale in periodo di guerra perché si andava in guerra a proprie spese e dunque risulta necessario
sapere chi era ricco e chi no, di qui l’importanza della censura. La censura è una carica comune, riservata ai senatori, come tutte le
cariche pubbliche, probabilmente nello stesso contesto viene creata la pretura con poteri giurisdizionali (all’occorrenza militari). E’
l’antico potere dei re che si fraziona, indizio di una maggiore articolazione delle istituzione della città, necessaria per l’ampliamento
del corpo civico, città grande da amministrare in modo articolato. L’aristocrazia romana, patrizia si accorse ben presto, dopo il 445
a.C., che non aveva motivo di rifiutare l’imparentamento con l’aristocrazia plebea; questi aristocratici plebei sono del tutto uguali a
loro, stessi interessi, semmai il pericolo proveniva dagli strati inferiori della plebe —> leggi Valerio Orazio apertura. Poi plebiscito
canuleio, da questo momento escalation del patriziato fino ad arrivare al primo console plebeo. Famose leggi licinie sestIe. Il
processo di parificazione continuerà poi, il momento cruciale risale al 300 a.C., in questo anno una legge proposta da Ogulnio,
stabilisce che i anche i plebei possono entrare nei collegi sacerdotali. Siccome la separattezza tra patrizi e plebei era garantita dai
diversi sacra il venir meno di questa differenza nei collegi sacerdotali fa sì che le due aristocrazie si fondano completamente. E’ più
facile, piuttosto che cedere sul fatto dei sacra. Gli auspici non sono più prerogativa dei patrizi, abbiamo una nuova aristocrazia
sempre fondata sulle gentes ma evidente è che l’istituto della gens è in crisi perché prevalgono gli interessi della civitas, che
prevale su essa. Le gentes non volevano perdere il loro potere politico a Roma e preferivano unirsi, patrizi e plebei. Se patrizi e
plebei nel 300 a.C. erano perequati anche sul piano dei sacra, che senso aveva lasciare ancora una separazione netta tra
conclium plebis e comizi? Il plebiscito per essere trasformato in legge doveva percorrere un lungo iter. La legge Ortensia è molto
importante, per cui i plebisciti acquistano automaticamente valore di legge per tutto il corpo civico, patrizi compresi. Segno che, i
patrizi sono numericamente minori, anche dentro l’aristocrazia, e la nuova aristocrazia patrizio-plebea che chiameremo Nobilitas,
controllava non soltanto i comizi centuriati e tributi ma controllava anche il concilium plebis. I patrizi non parteciparono mai al
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concilium plebis, ma i numerosi nobili plebei arrivano con le loro proposte di plebiscito dopo essersi messi d’accordo con i patrizi.
Non è vero che il conclium plebis tributum e il comizium tributum siano la stessa cosa. Semplicemente il comizio tributo fu
un’assemblea generale di tutti i romani ripartiti nelle 35 tribù, l’altra assemblea era esclusiva della plebe ed era divisa nelle 35 tribù.
Il fatto che entrambe fossero pilotate dall’aristocrazia non comporta una grossa discrepanza tra le varie decisioni. La discrepanza
riemerge violenta quando il tribunato della plebe nel periodo successivo ai gracchi diventa strumento personale di potere.
Alla fine del II secolo e I secolo a.C. prende piede un’istituzione —> transizium am plebe, passaggio a plebe. Chi passava alla
plebe? I patrizi, perché davanti all’assemblea della plebe propongono misure popolari, si conquistano fama di capi del popolo e in
questo modo grazie al tribunato della plebe, acquisiscono meriti in vista della carriera successiva. Era più facile diventare pretori e
quindi consoli dopo aver ricoperto il tribunato della plebe perché si era noti a tutti. Al punto che qualche patrizio modificava il
proprio nome es: tribuno Clodio, era un claudios, si presenta nelle assemblee della plebe per far passare le sue proposte anti
pompeiane. Tutto questo dopo che Silla cerca di tamponare l’utilità del tribuno plebe, aveva imposto che chi rivestiva quel ruolo si
fermava lì e non poteva diventare console e procedere nella carriera politica. 25 OTTOBRE 2016
Il V e il IV secolo sono cruciali nella storia di Roma, all’inizio del V secolo Roma è sull’ orlo di un baratro, l’aristocrazia è divisa,
porta alla caduta della monarchia e cerca di surrogare i poteri del re creando le prime magistrature, con poteri militari. Il potere dei
gentilizi è fortissimi, soprattutto di alcuni gruppi, che si chiudono in un’oligarchia, escludendo anche altre gentes. Questo gruppo si
isola dal resto della collettività ma al comanda, sia da un punto di vista politico che religioso. I plebei allora si organizzano e
corrodono il monopolio del potere patrizio, poiché Roma è costretta a difendersi prima dai latini poi da altre popolazioni, e i patrizi
hanno bisogno i uomini e soldati. I plebei si dimostrano abili a sfruttare questa debolezza dei patrizi; i plebei sono guidati da uomini
molto capaci. Questi capi plebei propongono continuamente riforme che vanno a favore dei vari strati della plebe; i patrizi cedono
frammenti del loro potere in modo progressivo. Le XII tavole rappresentano il primo frammento di potere, e rappresentano una
conquista in quanto ora le leggi sono scritte. Il secondo passo si ha con la “Lex Canuleia”. Progressivamente lasciano anche sui
diritti politici, infine molleranno anche sul paino religioso, infine con la “Lex Ortensia” 286 a.C. con la quale i plebei ottengono il
consolato.
La conquista della plebe non porta ad una democratizzazione all’ interno della città di Roma. Porta solo alla costituzione di una
nuova aristocrazia che si amplia numericamente e si ricompatta. I plebei non ottengono la democrazia, poiché continua come
prima il potere clientelare. Questa nuova aristocrazia prenderà più avanti il nome di nobilitas. Durante questo processo si
introducono non solo magistrature ma alcuni principi della vita associata romana che diventeranno basilari nella vita dell’uomo
romano. Già con le Leggi Valerie-Orazie del 449 a.C. venne introdotto a Roma il diritto di “provocatio ad populi” cioè il diritto di ogni
cittadino romano di appellarsi al popolo di fronte alla condanna del magistrato, un secondo grado di giudizio, che non si tiene
davanti al pretore ma davanti al popolo. Ha diritto il cittadino romano condannato a morte. È una tutela propria del cittadino
romano.
Le conquiste della plebe, perciò i cedimenti dei patrizi, non furono senza reazione da parte dei patrizi. Negli anni in cui viene
concesso il connubio, i reclutamenti sono difficilissimi. La situazione dei tribuni militum consulari potestate era un compromesso.
Non è un caso che ci sia una contemporaneità cronologica tra la reazione patrizia, la Legge Canuleia e il tribunato della plebe. I
patrizi reagiscono creando magistrature che vanno a favore del nomen patricio. Nel 443 a.C. viene dunque creata la censura. La
censura era molto importante, poiché dava un numero ai cittadini romani; il censimento faceva sì che le famiglie fossero censite
nel loro numero e nei loro beni, in modo da poterle organizzare nelle varie tribù e nelle varie classi per la divisione all’ interno
dell’esercito o dei diritti elettorali.
I censori erano due magistrati che rispondevano al principio della collegialità, ma non al principio dell’annualità (rimanevano in
carica 18 mesi) e venivano eletti ogni 5 anni. I poteri dei censori non prevedono l’impero, ma hanno una grandissima potestas, un
potere di controllo sui cittadini romani. È per questo che nel corso degli anni la censura venne affidata a personaggi di grande
prestigio. In genere si diventava censori dopo aver ricoperto la carica consolare. I censori davano in appalto le terre pubbliche; più
avanti le terre pubbliche vennero date in appalto anche dai questori. Lo stato riceveva dei tributi supplementari, oltre ai tributi ai
quali erano soggetti i cittadini romani normale, ricevevano anche gli affitti delle terre. A Roma a partire dal III secolo la vendita e
l’affitto di beni, tendono a perequarsi.
Un altro potere acquisito dai censori è la revisione periodica delle liste senatorie. I censori avevano l’elenco dei senatori, che
andava aggiornato, poiché molti senatori diventavano vecchi e morivano. I censori avevano in mano le liste dei senatori e
dovevano aggiornarle, tenendo conto delle morti e dei nuovi accessi in senato. A partire dal II secolo a.C. i censori ebbero sui
senatori lo stesso potere che avevano sui cittadini. I censori acquisiscono il diritto di censurare i senatori indegni e al limite
acquisiscono il diritto di espellerli dal senato.
Chi rivestiva una carica curule, o la questura, o l’edilità, o il tribunato della plebe, o la pretura o il consolato, aveva diritto a sedere a
vita in senato. Il percorso dell’individuo attraverso le magistrature si chiama cursus honorum.
La censura non è nel cursus honorum, ma è solo un’aggiunta, ma non gli appartiene obbligatoriamente; è un onore in più. Con la
creazione di queste cariche, le famiglie più importanti fanno eleggere i propri membri alle magistrature più importanti. Nel 180 a.C.
con una “Legge Vilia”, viene stabilito il certo ordo magistratus, quindi un certo ordine nella successione alle magistrature. I patrizi
possono diventare consoli qualche anno prima dei plebei, potendo saltare la magistratura del non so quale carica non ricoprono i
patrizi per accorciare il loro cursus honorum, ma d’ altro canto i patrizi non possono diventare tribuni della plebe.
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