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La nascita nel 1892 del Partito socialista e il suo sviluppo graduale e costante malgrado le
persecuzioni governative aveva rappresentato una novità essenziale nei contenuti e nello
svolgimento della lotta politica. I documenti programmatici dal chiaro contenuto ideologico, le carte
statutarie, il tesseramento, l’organizzazione in federazioni e sezioni degli iscritti, le assemblee e i
congressi riuniti periodicamente per elaborare e verificare la comune linea politica davano al Partito
socialista quel carattere moderno destinato a diventare il modello dei futuri partiti di massa italiani.
Tutto ciò mancava ancora alle altre forze politiche.
Si può anzi affermare che la presenza di questo era destinata a diventare sempre più rilevante per
l’essenza stessa del regime. Non a caso il Ministero Saracco entrò in crisi il 6 febbraio 1901 per un
voto di sfiducia della Camera che disapprovava la sua politica incerta e incoerente di fronte alle
organizzazioni operaie e alle lotte sindacali. L’occasione del dibattito parlamentare era scaturita
dalla decisione del prefetto di Genova di sciogliere la Camera del lavoro di quella città per le
agitazioni dei lavoratori del porto e dell’industria. Criticato dagli ambienti conservatori per aver
ceduto a tale richiesta e abbandonato dai progressisti che gli rimproveravano di aver seguito una
linea di condotta reazionaria, il Saracco venne rovesciato in un dibattito nel quale toccò a Giolitti
difendere i diritti di associazione e di organizzazione del proletariato e precisare quello che avrebbe
dovuto essere l’atteggiamento dello Stato nei confronti delle sue rivendicazioni. Il discorso
giolittiano ebbe una notevole rilevanza in quanto teorizzava tra l’altro quel riconoscimento
completo delle associazioni dei lavoratori e delle Camere del lavoro che era stato sempre
rivendicato dai partiti popolari. Nel suo pragmatismo empirico, Giolitti si era reso contro che
l’unica possibilità di sopravvivenza per il regime riposava nell’allargamento delle sue basi. Di qui il
programma che ne avrebbe ispirato la futura azione di governo. Un programma che può
solo se si pone l’accento sull’obiettivo della
considerarsi legato a una visione conservatrice
sopravvivenza degli ordinamenti liberali. Esso appare, invece, in tutta la sua modernità quando si
consideri che agli albori del secolo era difficile ammettere che quelle istituzioni statali potessero
essere rinnovate e migliorate nell’interesse delle classi subalterne originariamente escluse da ogni
partecipazione alla gestione della cosa pubblica.
Vero è, però, che la successione del Saracco non andò immediatamente a Giolitti. Fu designato a
mentre Giolitti, divenne ministro dell’interno. Zanardelli
presidente del Consiglio lo Zanardelli,
presentando il suo Governo alla Camera dei deputati il 7 marzo 1901 aveva anche sottolineato
l’esigenza di garantire l’autonomia e il prestigio della magistratura nel contesto di quella nuova
politica riformatrice che sembrava trovare in Giolitti il suo ideatore e difensore. Ma se il brava
poté realizzare l’auspicata riforma dell’ordinamento giudiziario né
Governo di Zanardelli non
giunse a far approvare quelle notevoli garanzie di autonomia che l’anziano statista aveva concepito
per i magistrati, tuttavia lo spirito liberale che animava la sua azione politica contribuì a determinare
un effettivo mutamento di clima nel paese. Ne furono testimonianza la conseguita tutela della
libertà di sciopero dei lavoratori con la sola eccezioni per il personale ferroviario e per gli addetti ai
statale dalla difesa delle posizioni privilegiate dai
pubblici servizi e il disimpegno dell’apparato
datori di lavoro e dei proprietari fondiari fino a quel momento tutelati. Un’altra questione destinata
ad alimentare il dibattito politico contribuendo alla definizione delle idee sull’istituto matrimoniale,
sul diritto di famiglia e sul peso dell’ortodossia cattolica nella vita civile, nacque nel 1902 in seguito
a una presentazione da parte del deputato Berenini di una proposta di legge sull’introduzione del
divorzio, subito fatta propria dal Governo per iniziativa dello stesso Zanardelli che già nel 1833 se
ne era reso propugnatore. Ragioni di opportunità politica fecero si che l’iniziativa non venisse
portata avanti. Zanardelli restò al potere sino all’ottobre 1903 quando, vecchio e malato, dovette
ritirarsi. A sostituirlo c’è Giolitti.
L’egemonia giolittiana nella vita pubblica italiana durò praticamente incontrastata per quasi undici
anni, da dicembre 1903 quando si formò il suo secondo Ministero, sino al 1914 quando lo statista,
rassegnando le dimissioni, aprì la via alla successione di Salandra. Fu un periodo estremamente
importante per lo sviluppo del paese. Si trattò, però, di un avanzamento in senso democratico che
investì più la forma delle istituzioni che la dinamica del loro funzionamento.
La base del suo potere e la fonte di ogni appoggio per la sua azione di governo non poteva essere
che il Parlamento. Anche la Corona non poteva essere il supporto di un governo progressista e
avanzato. In questo senso, almeno in un primo periodo, Giolitti fu facilitato nella sua politica
dall’atteggiamento di Vittorio Emanuele III, per nulla disposto a ripetere le esperienze paterne che
avevano compromesso la stessa dinastia e anzi piuttosto rispettoso della prassi parlamentare.
Giolitti si trovava, di fronte al complesso problema della definizione delle attribuzioni e dei compiti
della presidenza del Consiglio le cui responsabilità apparivano ingigantirsi. Durante il precedente
Ministero Zanardelli, egli aveva condiviso al responsabilità della formazione del decreto del 14
novembre 1901 sulle Attribuzioni del Consiglio dei ministri che tendeva a estendere i poteri
governativi preoccupandosi soprattutto di rafforzare la funzione di coordinamento dell’intera
amministrazione centrale propria del presidente del Consiglio. Questa funzione si estendeva anche
Di qui l’eccezionale interesse mostrato da
ai ministeri degli Esteri, della Guerra e della Marina.
Giolitti per la pubblica amministrazione e la costante cura data alla burocrazia. Consapevole della
dell’amministrazione e del perso della burocrazia in uno stato moderno, Giolitti tese con ogni
forza
mezzo a rinsaldare quei legami tra Governo e apparato amministrativo dello Stato che sin dai tempi
dell’unificazione avevano costituito una delle caratteristiche della vita pubblica italiana. Giolitti,
senza modificare nella loro cornice essenziale i delicati rapporti tra Governo e amministrazione si
sforzò con notevole successo di razionalizzarli favorendo l’adeguamento dell’apparato statale alla
sociale. Se da un lato, infatti, si preoccupò, soprattutto nel 1904 dell’ordinamento
nuova realtà
interno dei ministeri per renderne più funzionale l’azione senza però modificare la cornice
essenziale dell’organizzazione esistente, dall’altro autorizzò la creazione di una vasta serie di
organi, commissioni, giunte consultive che avrebbero potuto favorire quella mediazione della
pubblica amministrazione tra lo Stato e la società civile sensibilizzando il primo alle esigenze della
seconda. Il magistrato delle acque, posto in essere nel 1906 per razionalizzare e coordinare
l’impiego delle risorse idriche del paese, i procedimenti speciali previsti e le commissioni civili
istituite soprattutto tra il 1902 e il 1908 per realizzare speditamente gli interventi e le opere
pubbliche necessari al Mezzogiorno, sembrano appunto rientrare in questo quadro. Il decollo
industriale venne favorito tra l’altro anche dall’azione delle Casse di risparmio postali in sede locale
e della Cassa depositi e prestiti al vertice che vennero utilizzate dal Governo come strumenti
propulsivi della vita economica. Il riconoscimento nel 1910 alle Camere di commercio della
qualifica di enti pubblici e l’attribuzione a esse in sede locale anche di compiti in materia
industriale. Ma la novità più evidente fu la creazione di enti pubblici funzionali, investiti cioè della
competenza esclusiva su certe materie particolari e strutturati per l’azione in determinati settori
della vita economica e sociale. La creazione dell’Istituto Nazionale delle Assicurazioni (INA) nel
1912 ne fu l’esempio più notevole, anticipando la forma e l’ordinamento di certe aziende pubbliche
di gestione destinate a diventare tipiche con lo sviluppo di quel sistema di economia mista le cui
L’incremento numerico della burocrazia, il
premesse furono appunto poste nel decennio giolittiano.
suo rafforzamento come casta scaturirono quasi automaticamente dalla crescita e dalla maggiore
complessità della macchina dello Stato. Non era difficile forse prevedere che sarebbe giunto il
potere sarebbe stato in difficoltà nell’utilizzazione di quegli strumenti divenuti
momento in cui il
portatori di esigenze e di volontà proprie e autonome.
Lo sviluppo dell'apparato amministrativo e l'incremento del potere e del ruolo della burocrazia
ebbero una conseguenza importante: quella, cioè, di favorire la professionalizzazione della vita
politica. Di qui il ricorso da parte di Giolitti alla scelta dei tecnici, provenienti dalla burocrazia e
dall'amministrazione, per incarichi di governo. La maggior parte dell'attività legislativa posta in
essere durante il governo giolittiano nacque per iniziativa dell'amministrazione è derivò dalla
prevalente volontà dell'esecutivo che spesso lasciava il Parlamento solo il compito di approvare
quanto era stato predisposto dei suoi uffici.
I liberali favoriti dal sistema elettorale vigente non avevano mai saputo o voluto creare un partito
capace di rappresentare le aspirazioni e gli interessi della borghesia italiana. Il controllo in sede
locale della maggioranza dei collegi da parte dei loro notabili appariva sufficiente a suffragare
l'assenza di un'organizzazione permanente; l'appoggio dei grandi giornali d'opinione sembrava
dispensare dalla necessità di avere un quotidiano di partito. Questi procedimenti rappresentavano
l'essenza del sistema giolittiano nei rapporti tra il governo e i suoi sostenitori in Parlamento. Era
chiaro, però, che avrebbero potuto apparire utili al potere fino a quando la lotta politica si fosse
svolta prevalentemente tra gruppi e persone appartenenti alla stessa classe sociale. Quando, però,
fosse cresciuto il peso delle forze politiche rappresentanti quelle classi subalterne troppo a lungo
escluse dalle istituzioni o quando addirittura si fosse allargata la partecipazione politica con la
generalizzazione del suffragio, questi procedimenti si sarebbero rivelati totalmente inefficaci.
Giolitti pro