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Particolarità sintattiche del sintagma verbale:

composte del verbo, di contro alle forme composte dell’italiano standard, sta nel fatto che il verbo

flesso e il verbo lessicale possono essere separati da un’ampia serie di avverbi, pronomi, da

sintagmi preposizionali e da intere frasi subordinate.

Si può fare un’altra osservazione di tipo generale relativamente ai complessi verbali composti da

più di due forme: esaminandoli balza all’occhio che gli ausiliari hanno un ordine relativo fissato  si

evince che gli ausiliari del fattitivo sono quelli più vicini al verbo principale, seguiti da quelli del

passivo, dagli ausiliari modali e infine da quelli temporali.

Forme del condizionale nella lingua di Bonvesin possiamo cogliere una fase di

1. 

transizione dell’evoluzione del volgare, in cui il modo condizionale può essere espresso

contemporaneamente nelle forme analitiche (più arcaiche) e da quelle sintetiche.

Nell’evoluzione della lingua possiamo individuare tre tipi di innovazioni: quelle che non

avranno esito, quelle che restano isolate e infine quelle che sono in grado di imporsi a in

numero considerevole di parlate. Il latino distingueva tre frasi condizionali: realtà,

possibilità, irrealtà (schema che però vigeva ben poco nel parlato  estensione del

piuccheperfetto del congiuntivo al caso della possibilità, indicativo nelle frasi principali,

imperfetto indicativo nelle frasi principali). Come si sa il condizionale costituisce

un’innovazione panromanza, poiché per esprimerlo il latino ricorreva al congiuntivo o

all’uso di altre perifrastiche  INFINITO + HABEBAM; INFITO + HABUI;

CANTAVERAM; HABUI CANTARE. Nell’area padana si riscontrano, nel periodo fra

Duecento e Trecento, ancora tutti e quattro i tipi del condizionale romanzo  nelle opere di

Bonvesin coesistono ben tre tipi di condizionale: condizionale sintetico INFINITO +

HABEBAM  2 volte su 3000 versi; condizionale sintetico INFINITO + HABUI  20 volte

su 3000 versi; condizionale analitico (perfetto di aver e infinito del verbo lessicale)  7 volte

su 3000 versi. Dal punto di vista della distribuzione delle forme vediamo che il primo e il

terzo tipo appaiono solo nella terza persona del singolare e del plurale, mentre il secondo

tipo appare con tutte le persone del singolare, il che suggerisce l’uso “fraseologico”, fissato

e legato a particolari contesti. Riassumendo, se si analizza lo stadio dell’evoluzione del

condizionale nei volgari italiani settentrionali del Medioevo, dal punto di vista della

morfologia e della sintassi, si vede chiaramente che la nascita del condizionale è

accompagnata da molte incertezze, specie nella coesistenza di forme diverse. Il primo tipo di

condizionale si conserverà solo nel linguaggio poetico, il secondo si generalizza, il terzo e il

quarto invece spariscono senza lasciar tracce. Va detto che, sebbene abbiamo

precedentemente affermato che le forme composte del verbo sono generalmente molto meno

unite nel volgare di Bonvesin che nell’italiano moderno, questo non vale per la forma

analitica del condizionale: l’ausiliare del modo condizionale nelle forme analitiche si trova

sempre strettamente giustapposto al verbo lessicale.

Forme del passivo  per quanto riguarda la formazione del passivo nel passaggio dal latino

2. alle lingue neolatine, sappiamo che la forma sintetica dictur lascia il posto alla forma

analitica dictus est. È noto il fatto che il passivo analitico del volgare milanese di Bonvesin

si serve di due ausiliari distinti: ess e fi che formano due paradigmi indipendenti e, a quanto

pare, completi  ci deve essere una differenza fondamentale tra i casi in cui si adopera fi ed i

casi dove si adopera ess: non si tratta di una distinzione semantica, né fonetica, ma ci

troviamo più vicini ad una soluzione soddisfacente quando poniamo la questione in termini

sintattici: infatti nella struttura passiva quando compare anche un ausiliare modale fi non si

stacca dal verbo lessicale, mentre ess può essere separato dallo stesso. La formulazione

potrebbe essere la seguente: mentre fi è capace di formare un infinito passivo col participio

del verbo lessicale, l’ausiliare ess non è adatto a questo scopo  dimostra più coesione la

coppia fi + participio del verbo lessicale che la coppia ess + participio del verbo lessicale:

possiamo concludere che nel volgare milanese antico la costruzione fi + participio funge

praticamente come infinito passivo, mentre ess da + infinito corrisponde perfettamente alla

latina coniugatio periphratica passiva. I due ausiliari del passivo non sono puramente

varianti lessicali, ma sono correlati a precise caratteristiche sintattiche della costruzione

passiva. La ridondanza della morfologia verbale nel volgare milanese medievale di

Bonvesin dra Riva pone molte questioni non ancora risolte: a prima vista si tratta solo di

ridondanza anche nel caso dei due ausiliari della costruzione passiva; la presente ipotesi fa

supporre una soluzione in altra chiave: si potrebbe cercare la radice della detta differenza

sintattica nell’uso dei due verbi ausiliari nella tipologia dei participi  mentre fi accompagna

i participi di carattere prevalentemente verbale, ess si accompagna ai participi di carattere

prevalentemente aggettivale.

Forme del futuro analitico  similmente a quanto avviene per il Condizionale, Bonvesin

3. usa per l’espressione del Futuro sia forme analitiche che sintetiche; la statistica dimostra

anche in questo caso che è più frequente l’uso del Futuro sintetico. Tuttavia in un numero

consistente di occorrenze incontriamo ancora le forme del Futuro analitico, composto cioè

dall’Infinito del verbo lessicale più le forme dell’Indicativo presente del verbo ausiliare

avere. Nel volgare di Bonvesin possiamo osservare che nel caso delle forme del futuro

analitico il rapporto tra ausiliare e verbo lessicale non è talmente forte da impedire

l’inserimento di certi avverbi. Per quanto riguarda l’uso del Futuro con Infinitivi al Passivo,

notiamo che le forme analitiche compaiono esclusivamente con Passivi con fi, mentre le

forme sintetiche del Futuro permettono la presenza di Passivi sia con fi che con ess.

Forme del fattitivo  la costruzione fattitiva è un esempio tipico della lessicalizzazione di

4. una costruzione sintattica. Nei testi volgari di Bonvesin possiamo incontrare

contemporaneamente le diverse tappe della formazione della costruzione fattitiva fino alla

forma che essa assume nel dialetto milanese odierno; vi si trovano anche soluzioni che non

hanno portato ad ulteriori sviluppi (clitico me ridondante che si appoggia al verbo fattitivo,

quasi a rinforzare il soggetto della frase subordinata  ki me farà k’eo moira). Naturalmente

anche nella lingua di Bonvesin il maggior numero dei casi corrisponde alla costruzione

fattitiva vera e propria, corrispondente all’uso odierno (ciò corrisponde anche alle

costruzioni che si hanno con i verbi percettivi come vedher).

Forme composte col gerundio  prima di tutto conviene stabilire che il gerundio nei testi di

5. Bonvesin assume un carattere nominale più che nel dialetto odierno; anche nel volgare

milanese possiamo trovare il gerundio usato in qualità di aggettivo (dove l’italiano standard

adotterebbe una relativa)  il gerundio può avere un soggetto lessicale molto più facilmente

in milanese antico che non nell’italiano standard.

Forme composte con participio  il participio presente agisce sulla lingua di Bonvesin

6. praticamente allo stesso modo del gerundio semplice: lo incontriamo in funzione di

attributo; esiste pure la costruzione ess + participio presente, anche se solo per un cerchio

ristretto di verbi semanticamente marcati  il significato di questi costrutti sembra essere

identico a quello dell’appena menzionata costruzione con gerundio, e anche le caratteristiche

sintattiche non sembrano differire. Le forme del participio passato si adottano in molte

costruzioni.

Specifica tori del sintagma verbale: negazione e “sì assertivo”  nella lingua di Bonvesin

7. dra Riva si trova accanto alla particella negativa, nella stessa posizione di specificatore del

sintagma verbale, anche il cosiddetto “sì asservito”. Si tratta di una parola sì che è in

distribuzione complementare con la parola no. L’etimologia di questo sì sarà sicuramente il

SIC latino, ma siccome non porta un’aggiunta di significato, col tempo comincia a

scomparire quanto elemento ridondante. Le particelle no e sì sono in una posizione

particolare e condividono caratteristiche sia delle parole portatrici di accento che dei clitici;

la caratteristica che è comune alle parole toniche sta nel fatto di precedere ogni elemento

clitico preverbale; allo stesso tempo bisogna sottolineare che sì e no possono trovarsi solo

nel segmento preverbale, quindi non hanno la libertà di movimento di una parola vera e

propria (la metrica suggerisce che nei versi dove si trovano in posizione direttamente

preverbale sì e no non sono portatori di accento); altri elementi positivi (assertivi)

semanticamente ridondanti sono ben e pur. Essi servono per sottolineare il predicato o

qualche suo complemento: la loro posizione nella frase dipende da fattori secondari e non

sembra seguire norme generali; lo stesso vale per gli indefiniti negativi in italiano antico  se

la negazione ha portata su tutta la frase, gli indefiniti negativi in posizione postverbale in

una frase dichiarativa concorrono generalmente con un altro elemento in posizione

preverbale (esiste anche la particella miga, rafforzante la negazione). Fanno parte dei

sopraddetti elementi negativi anche le parole di significato “mai”, il cui uso dimostra

qualche differenza fra esse: noka  preverbale; unca  “mai” accanto ad elemento negativo,

altrimenti “una volta”; mai, zamai  davanti al predicato flesso; negota  preverbale quando

ha funzione di soggetto, postverbale o preverbale quando ha funzione di oggetto.

Riassumendo circa la negazione possiamo concludere che alcuni elementi negativi

richiedono la doppia negazione anche se posti davanti al verbo (zamai), mentre altri

elementi negativi hanno la possibilità di esprimere la negazione da soli, anche se posti in

posizione postverbale (negota); la differenza che si rivela quindi tra volgare toscano del

Trecento e il volgare milanese coevo preannuncia la differenza tra l’italiano moderno e il

dialetto milanese moderno in fatto di negazione  è caratteristica del dialetto milanese la

presenza di elementi negativi postverbali che possono stare da soli, cioè con predicato non

negato.

L’ordine dei costituenti

Dal punto di vista delle ricerche sull’evoluzione dell’ordine della frase, le lingue romanze mediev

Dettagli
Publisher
A.A. 2014-2015
12 pagine
SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-FIL-LET/12 Linguistica italiana

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher viola_fr di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia della lingua italiana e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università Cattolica del "Sacro Cuore" o del prof Colombo Michele.