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La Chiesa in Irlanda e il dibattito del Concilio Vaticano II
Sebbene la Chiesa cattolica in Irlanda avesse un'influenza considerevole sulla società, durante il dibattito del Concilio Vaticano II nel 1962, il suo contributo fu limitato. Mentre le denominazioni protestanti più significative erano inclini a legittimare lo status quo sbilanciato dell'Ulster, le gerarchie cattoliche, in generale, non si erano interessate alla difesa degli interessi materiali dei loro fedeli residenti nella regione. Questo era in parte dovuto alla cultura conservatrice che dominava tra i vescovi irlandesi, formatasi in uno stato fortemente confessionalizzato come l'Eire.
Il dibattito del Concilio Vaticano II si concentrò sui problemi pastorali e venne evocato il principio della giustizia come chiave per garantire la convivenza pacifica tra i popoli. Tuttavia, il contributo della Chiesa irlandese fu scarso. La seconda delegazione più numerosa presente al Concilio era quella irlandese, ma la presentazione ai fedeli irlandesi dell'esito dei lavori si concentrò solamente sulla parte dottrinale, ignorando gli elementi pratici e le questioni di giustizia.
Riconducibili ai principi della Chiesa dei poveri e dell'Ecumenismo. In seguito all'occasione mancata del Concilio, i problemi sociali dei cattolici dell'Irlanda del Nord furono presi a cuore dalla NICRA e, dopo gli scontri con la polizia, la situazione degenerò nella violenza aperta.
Le gerarchie cattoliche, colte in contropiede, ebbero l'immediata necessità di prendere le distanze dalle rivendicazioni repubblicane, al fine di non mettersi in rotta di collisione con l'esecutivo nordirlandese, espressione, a sua volta, del Regno Unito. Esse, perciò si limitarono a condannare le violenze, definendole come inaccettabili a prescindere dalle motivazioni scatenanti, ribadendo i principi evangelici di non violenza nei vari comunicati ma tenendo separati il messaggio evangelico e la situazione sul campo, ignorando la forte componente emotiva alla base della decisione della Provisional IRA e delle milizie cattoliche di perseguire una "strategia".
Della tensione" per cacciare i britannici dagli affari irlandesi e stabilire, così, una definitiva giustizia e pace sociale. Si era, dunque, creato uno scollamento tra i porporati cattolici e le realtà da loro pastoralmente amministrate, sempre più esasperate dal trattamento a loro riservato dalle istituzioni dell'Ulster. Di conseguenza, sulla scia delle critiche sessantottine all'istituzione ecclesiastica e della cultura socialista di giustizia sociale, molti giovani repubblicani iniziarono a vedere la propria ribellione nel quadro, però, di un nazionalismo identitario che aveva come obiettivo primario l'unione all'Eire o la formazione di uno stato proprio di matrice cattolica ma, soprattutto, repubblicana, distaccandosi gradualmente dalla questione confessionale e identificando nelle dichiarazioni delle gerarchie cattoliche un collaborazionismo con Londra dovuto alla necessità di difendere gli interessi politico-economici del Vaticano.
Questo disagio fu interpretato da preti come Des Wilson, che non solo esprimevano comprensione per le azioni dei miliziani ma arrivarono a sostenere la necessità di difendersi dai soprusi dei governanti e delle forze dell'ordine nel quadro di una versione irlandese della teologia della liberazione. Il principio fondamentale della Teologia della Liberazione si impernia intorno alla considerazione del ruolo centrale della Chiesa nella società umana contemporanea e tende a porre in evidenza i valori di emancipazione sociale e politica presenti nel messaggio cristiano, in particolare l'opzione fondamentale per i poveri così come essa si evince all'interno del dato biblico. Solo nel 1975, nella lettera pastorale sulla morale sessuale "Human life is sacred" (a firma di quattro arcivescovi irlandesi), si incominciò a vedere una velata condanna delle azioni della RUC e dell'esercito contro i manifestanti cattolici sotto forma di una
Riflessione profonda sulla dignità umana volta ad argomentare l'opposizione all'aborto, definito come un "omicidio di innocenti". Quindi la Chiesa Cattolica assunse finalmente una posizione sulla questione, sebbene ancora indirettamente. Questo documento formalmente concentrato sullabioetica e sulla morale sessuale offrirà un commento indiretto alla situazione in Ulster.
La Chiesa Anglicana Irlandese ("Church of Ireland") era vincolata, nelle sue analisi e risposte alla questione nordirlandese, dal suo ruolo di Chiesa di Stato della Gran Bretagna, per cui essa era fortemente istituzionalizzata - motivo per cui i suoi capi erano portati a vedere tutti i cittadini nordirlandesi sullo stesso livello sulla base dei principi costituzionali formali, e dall'avere come membri gran parte di quei leader orangisti e lealisti (due figure che spesso coincidevano) protestanti-antocattolici. Inoltre, come le altre Chiese riformate, non riconosceva
La Chiesa Cattolica romana è considerata una chiesa cristiana e, quindi, ha avuto difficoltà ad accettarla come proprio interlocutore. Pertanto, se da un lato essa cercò di aprire un dialogo interconfessionale sulle questioni sociali dell'Ulster (primariamente, sui matrimoni misti), istituendo, nel 1969, un apposito "Role of the Church Committee", dall'altro essa, nel condannare la violenza, difendeva le istituzioni pubbliche (lo stato e la RUC), in quanto esse svolgevano il proprio dovere di difendere l'ordine sociale della comunità dalle azioni di attivisti civili violenti, andando - di fatto - ad addossare ogni responsabilità ai cattolici e accettare le istanze dei movimenti lealisti. Dunque, nonostante in seguito i leader anglicani e delle altre confessioni avrebbero riconosciuto che "le parole possono uccidere", gli interventi dei capi della chiesa istituzionale britannica locale non fecero che peggiorare la sensazione.
Dei cattolici (che rispecchiava, ironicamente, quella generale dei protestanti nordirlandesi) di essere assediati da ogni parte. "Words can kill", secondo i capi delle Chiese il conflitto si sarebbe alimentato soprattutto di quelle dichiarazioni intempestive e irrazionali, piuttosto che di sostanziali contrapposizioni sociali e politiche.
I Metodisti, formatasi da una scissione della Chiesa Anglicana, erano anch'essi piuttosto legati a esponenti dell'Ordine di Orange, si limitarono a fare delle considerazioni politiche generali superficiali che andavano, in generale, a criticare il modo in cui l'Irlanda del Nord era organizzata politicamente. La Chiesa Presbiteriana, invece, non essendo una chiesa organizzata in modo gerarchico (pur avendo una sua strutturazione interna) e avendo meno connessioni con le istituzioni regionali e l'Ordine di Orange, era percepita, idealmente, come la più vicina alla realtà di disagio sociale in cui versavano larghe.
porzioni della popolazione. Fedele a questa visione, già il 16 ottobre del 1969 essa diramò un comunicato ufficiale in cui esprimeva pietà e vicinanza alle famiglie delle vittime e invitava protestanti e cattolici ad assumersi, entrambi, le proprie responsabilità nei confronti della situazione di crescente tensione civile. Accanto a letture sociologiche degli avvenimenti, nelle quali si ammetteva l'esistenza di una forte condizione di disagio nella società e si richiedeva di verificare l'eventuale natura politica di queste questioni, i presbiteriani affermarono, però, la solidarietà per la polizia e i militari che cercavano di riportare l'ordine nel paese e denunciarono la propaganda anti-protestante come parziale e non oggettiva. In un paese sempre più settario, la questione dei matrimoni misti era un punto fondamentale delle discussioni interconfessionali, sia per l'aspetto ecclesiastico-teologico legato allaquestionedell'educazione della prole, sia per il problema sociale rappresentato dalla collocazione di questotipo di coppie all'interno non solo degli schieramenti etnico-religiosi dal punto di vista ideologicoma anche, fisicamente, del luogo in cui stabilirsi. Le Chiese si impegnarono a favorire, presso lerispettive comunità, un atteggiamento di tolleranza reciproca, seppur la Church of Irelanddenunciasse il mantenimento, da parte delle gerarchie cattoliche, di una linea a suo giudizio "normativa" sulla questione che costituiva una "violazione dei diritti umani". In effetti, la Chiesaprescriveva che i cattolici, all'interno di un matrimonio misto, avrebbero dovuto adoperarsi perimpartire ai figli un'educazione cattolica, mentre gli anglicani chiedevano che la decisione fosselasciata privatamente ai due coniugi, anche perchè, relativamente all'Irlanda del Nord, in balloc'erano gli equilibri demografici fra ilCampo cattolico e quello protestante. Nel 1971, su iniziativa anglicana, l’“Irish Council of Churches” (che riuniva i rappresentanti delle confessioni riformate nell’isola di smeraldo) propose al cardinale William Conway, il maggior presule cattolico, la formazione di un gruppo di lavoro sulla cura pastorale dei matrimoni misti. L’anno successivo, dopo un’ulteriore sollecitazione anglicana, la Conferenza Episcopale Irlandese annunciò l’invio di una delegazione a un meeting congiunto con le chiese protestanti.
Le chiese cercarono di trovare uno spazio di confronto comune in cui fosse inclusa anche la Chiesa di Roma. Poiché, agli occhi dei protestanti, questa non era una chiesa evangelica, si formò un organismo non ecumenico chiamato Irish Interchurch Meeting (il cui nome richiamava a unincontro informale in si manteneva la distanza tra protestanti e cattolici). Questi produsse, nel 1977, un documento intitolato “Violence in Ireland”.
In cui, ancora una volta, si rivolgeva allapopolazione un appello a cessare le violenze, senza però ricercarne le cause. Il punto fondamentale, però, fu l'effettivo riconoscimento dell'istituzione Chiesa, a cui si associò la denuncia dello scontro fra cristiani come contrario al Vangelo, di cui si riaffermava il principio di fratellanza, e il suggerimento di una via evangelica fondata sul perdono per fare ritornare il paese all'autogoverno e a una prospera tranquillità. In questo senso, l'Irish School of Ecumenics, un'istituzione gestita da gesuiti, indicò una soluzione di tipo teologico-pastorale che consisteva nel sottolineare le comunanze fra le teologie cristiane (tutte fondate sul pensiero di Cristo), per quanto, ancora una volta, questi suggerimenti fossero inadatti a rispondere alle istanze sociali e al terrore delle bombe. Si erano aperte, comunque, le porte alla considerazione della questione sociale alla luce
del comportamento dello stato, focalizzandosi sulla "Green paper" e sulla "White paper", due documenti prodotti dal governo che ne contenevano la posizione riguardo allo sviluppo futuro del paese e al ripristino del governo devoluto.