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CAP. 4 SFERA PUBBLICA BORGHESE: IDEA E IDEOLOGIA
– – őffentliche
12. Public Opinion opinion publique Meinung: sulla preistoria del topos
In questo capitolo si affronta un'analisi del concetto di opinione pubblica attraverso una serie di
filosofi inglesi e francesi che nelle loro opere utilizzano varie espressioni per designarlo. La
registrazione terminologica ufficiale dell'espressione "opinione pubblica" avviene soltanto nel
1781 sull’Oxford Dictionary. Prima di questa data circolavano invece una serie di espressioni
più generiche come "opinione", "spirito pubblico", "pubblicità" (un'espressione che sarà usata in
particolare da Kant). Queste espressioni si diffondono grazie ad opere di carattere filosofico e
politico, scritte da filosofi inglesi e francesi tra la metà del 600 e la fine della XVIII secolo.
Attraverso gli scritti di questi filosofi comincia a circolare il sostantivo "opinione" ancora privo
dell'aggettivo pubblica. All'inizio del seicento, la parola "opinione" veniva usata secondo una
duplice valenza: 1) opinione nel senso di giudizio incerto, non pienamente dimostrato, che deve
la prova della verità (un’accezione, questa, ereditata dalla Doxa di Platone);
sostenere
2) allo stesso tempo si diffonde anche l'idea di opinione intesa come reputazione, come fama,
considerazione, cioè quello che si rappresenta nell'opinione degli altri. Intendendo l'opinione
come sinonimo di reputazione e giudizio incerto, siamo però ancora lontani da quel significato
di opinione pubblica, termine coniato alla fine del XVIII secolo, inteso come attività razionale di
un pubblico che, attraverso l'argomentazione appunto razionale, ragionativa, esprime dei giudizi
che dalla sfera letteraria si estendono poi anche a quella economica e politica.
L’empirismo inglese: John Locke e Thomas Hobbes
Si è soliti far risalire al filosofo inglese Locke (1632-1604) la prima formulazione del concetto di
opinione pubblica. Locke, insieme a Thomas Hobbes (1588-1679), George Berkley (1685-1753)
e David Hume (17111776), è considerato uno dei maggiori esponenti dell’empirismo inglese. Il
termine “empirismo” deriva etimologicamente dal greco emperia che significa esperienza. Si
tratta di una corrente filosofica che nasce nella seconda metà del seicento in Inghilterra, secondo
cui la conoscenza umana deriva dall'esperienza in contrapposizione con la teoria filosofica
(secondo cui nell’uomo esistono a priori delle idee che lo guidano nella
dell'innatismo
conoscenza). L’empirismo sostiene, al contrario, che ciò che l'uomo sa è soltanto frutto del suo
rapporto con la realtà circostante. Locke, in particolare, afferma che la mente umana è
originariamente vuota e priva di ogni conoscenza; all'origine, quindi, la mente è una tabula rasa,
una tavola ancora da incidere. La conoscenza, pertanto, è risultato dell'esperienza dell'uomo.
Quest'ultimo, per Locke e gli altri empiristi, è un individuo sociale. Essi sono definiti in questo
senso contrattualisti poiché partono fondamentalmente da un assioma: l'uomo ha bisogno di
vivere nella società e questa necessità lo ha portato a passare dallo stato di natura a quello
sociale. Nello stato di natura l'uomo viveva da solo, seguendo i propri istinti, le proprie passioni.
Ad un certo punto però gli uomini hanno avvertito l'esigenza di una tutela esterna che potesse
provvedere ai propri diritti. Hanno così deciso di delegare al sovrano, sulla base di un contratto
sociale, la gestione della vita sociale. Questo assunto è particolarmente esplicito e chiaro nel
Leviatano di Hobbes, il quale ha però una visione più pessimistica rispetto a quella di Locke.
rappresenta la guerra di tutti contro tutti, l’uomo diventa
Per lui, infatti, lo stato di natura dell'uomo
cioè come un lupo per gli altri uomini (Homo homini lupus). Attraverso l'accordo o patto sociale
gli uomini si affidano poi allo Stato, a una persona, cioè, “la cui volontà, per l'accordo di molti
uomini, deve essere accettata come volontà di tutti". Gli uomini escono quindi dallo stato di
natura e decidono di affidarsi ad una potenza superiore al fine di poter vivere in una società
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pacifica, armoniosa. È evidente a questo proposito una strenua difesa di Hobbes nei confronti
dell'assolutismo monarchico. È possibile in particolare individuare tre punti principali di questa
dottrina dell'assolutismo politico:
Il sovrano è autorizzato ad esercitare la propria volontà (auctoritas non veritas facit
1) legem);
L’obbligo di obbedienza dei sudditi;
2) La proibizione di ogni ribellione, anche quando il sovrano va contro gli interessi dei
3) sudditi.
Hobbes per primo rivela il pericolo, per l'ordine e la stabilità dello Stato, che deriva dal lasciare
gli individui liberi di giudicare su questioni politiche e religiose. Siamo quindi ancora lontani
dall'idea di un pubblico colto che può esprimere giudizi sulla politica. Locke ha invece un
atteggiamento meno pessimista. Egli, infatti sosteneva che l'uomo non nasce naturalmente in
conflitto con gli altri uomini, mentre la società rappresenta invece il risultato del bisogno di
aggregazione avvertito da ciascun individuo. Lo Stato, inoltre, per Locke è naturalmente
democratico e liberale, deve cioè essere inteso come garante delle proprietà e dei diritti
individuali. In una delle sue opere più importanti, Saggio sull'intelligenza umana (1690), afferma
che gli uomini, per giudicare le loro azioni, fanno riferimento a tre leggi: la legge divina, la legge
civile e la legge dell'opinione o reputazione. In quest'ultima legge emerge anche un primo
riferimento all'espressione di opinione pubblica, attraverso il richiamo all'accezione di opinione
intesa come reputazione. Attraverso la legge divina, quindi la religione, l’uomo riesce a giudicare
le azioni del proprio concittadino, quindi a definire peccati o doveri. La legge civile, invece,
rappresenta la risposta alla domanda se le azioni siano da intendersi delittuose o innocenti.
Infine, la legge dell'opinione o reputazione consente di definire se le azioni del cittadino sono
virtuose o viziose, cioè meritevoli di elogio o di biasimo. La legge dell'opinione o reputazione è
quindi una legge filosofica, una norma che regola vizi e virtù, intesa come ciò che ottiene la
stima pubblica, cioè che si ritiene degno di elogio. Locke afferma inoltre che, una volta usciti
dallo stato di natura ed entrati in una società civile o politica, gli uomini conservano il potere di
giudicare il bene e il male approvando o disapprovando le azioni di coloro fra i quali vivono e
con cui intrattengono relazioni. La legge dell'opinione o reputazione si tratta di un giudizio che
viene espresso dai cittadini per segreto e tacito consenso. Ogni società, secondo i propri
costumi, stabilisce una propria legge dell'opinione o reputazione perché i costumi, gli usi e le
abitudini differiscono a seconda delle diverse società. La distinzione tra legge civile e legge
dell'opinione, secondo Locke, corrisponde in ultima analisi alla distinzione tra sfera politica
estera morale e ideale. Quest'ultima non deve essere considerata superiore alla sfera politica,
ma distinta da essa poiché dotata di una sua autonomia che deve essere riconosciuta e tutelata
dal potere politico.
I filosofi francesi
Secondo Habermas il concetto di opinione pubblica in Francia si polarizza su due distinte
posizioni: quella dei fisiocratici (gli economisti francesi del XVIII secolo) e la visione della società
formulata da Rousseau nel Contratto sociale. Sia Rousseau che i fisiocratici utilizzano
l'espressione "opinione culturale" ma con accezione, significato diversi. I fisiocratici guardano
infatti la società sulla base delle categorie economiche, mentre Rousseau, riallacciandosi alle
teorie di Locke e di Hobbes, sostiene la necessità di un contratto sociale. La fisiocrazia,
etimologicamente, significa dominio della natura. Si tratta di una dottrina economica che si
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afferma in Francia a metà settecento in opposizione alla dottrina economica del mercantilismo,
secondo la quale il potere di una nazione dipende dalla sua ricchezza, determinata da una
bilancia attiva dove le esportazioni devono essere maggiori per numero delle importazioni.
Secondo le dottrine elaborate dai fisiocratici, invece, la vera fonte della ricchezza di uno Stato è
la terra, la natura. Le categorie economiche dominanti nella società del tempo erano
l'agricoltura, industria e l'economia. François Quesnay, nell’opera Tableau économique (Quadro
economico, 1758), definisce il meccanismo economico come una struttura dinamica di tipo
circolare il cui motore principale è costituito dall'attività agricola poiché è quella che produce un
plusvalore. I fisiocratici riconoscono quindi il primato della natura perché stabiliscono il principio
secondo cui è produttivo solo quel lavoro che crea un plusvalore. Soltanto l'agricoltura è perciò
in grado di produrre ricchezza materiale mentre l'industria e il commercio si limitano a
trasformare solo la materia prima. Sulla base di queste tre categorie economiche, i fisiocratici
individuano altrettante classi sociali:
1. Classe agricola degli imprenditori (classe produttiva in quanto favorisce il progredire di
questa attività);
2. Proprietari terrieri (classe oziosa);
3. Artigiani, commercianti, liberi professionisti che si limitano a vendere e a
commercializzare ciò che è il frutto del lavoro della classe agricola (considerata classe
sterile proprio perché non offre un contributo alla produzione di ciò che deriva dalla terra).
A queste tre classi si aggiungono poi:
4. La classe degli intellettuali illuminati a cui spetta il compito di orientare l'operato dei
governanti mediante la discussione critica;
5. La classe dei governanti, a cui spetta il compito di tradurre in leggi le idee illuminate
elaborate dagli intellettuali.
Secondo Rousseau la forma migliore è il contratto sociale tra uomini che hanno rinunciato ad
interessi particolari in nome di una sovranità basata sulla volontà generale. Anche Rousseau,
come i filosofi precedenti, sostiene che lo Stato sia fondato su tre differenti tipologie di legge:
diritto pubblico, penale e civile. A queste tre specie di leggi se ne aggiunge una quarta che è la
più importante di tutte, ovvero "l'insieme dei costumi, delle consuetudini e soprattutto l'opinione".
Per Rousseau le opinioni sono