Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
vuoi
o PayPal
tutte le volte che vuoi
CAP. 2 COPISTI E GAZZETTIERI
Il mestiere di gazzettiere per molto tempo è stato associato a una pessima fama. A Roma il
termine "menante" derivava, probabilmente, dal participio latino “minans” (che minaccia).
Effettivamente, il gazzettiere era un personaggio poco affidabile, pronto a cacciarsi nei guai,
che poteva essere un po’ spia e narratore pettegolo di vicende. Il suo stile di scrittura era
generalmente maldestro e frettoloso, incurante delle norme grammaticali, della retorica, della
morale. Era inoltre del tutto indifferente alle ragioni della verità e all'etica professionale, in
quanto era sempre pronto a vendersi al miglior offerente e ad alterare la visione dei fatti a
seconda della convenienza. A Venezia i fogli di notizie venivano prodotti nelle botteghe degli
scrittori, nelle "scrittorie”, da copisti professionisti oppure su banchetti improvvisati ai piedi del
ponte di Rialto o in prossimità del Palazzo Ducale, che era il centro di tutta la politica e
organizzazione sociale della Repubblica. Proprio attraverso questi luoghi di produzione del
manoscritto è possibile reperire qualche traccia del sistema di diffusione dei fogli di notizie. Le
fonti che documentano attività di questo tipo tra XVI e XVIII secolo sono però scarse. A
differenza della stampa, che era sottoposta a rigidi controlli censori che documentavano la
produzione di tipografie, il manoscritto riusciva ad eludere più facilmente la censura, inoltre
non richiedeva grossi investimenti finanziari: bastava infatti solamente un po' di inchiostro,
qualche foglio di carta e un angolo più o meno tranquillo dove poter operare. A Venezia, a
differenza di quanto avveniva in altre città italiane ed europee, mancava una corporazione di
amanuensi, perciò non fu possibile ricondurre la figura che si occupava della redazione di
questi testi a una tipologia unica di copista. Tra gli scrittori, infatti, c'erano personaggi dalle
caratteristiche diverse: autentici professionisti, persone che, sapendo scrivere, arrotondavano i
propri redditi con questa attività (maestri di scuola, impiegati in uffici pubblici) oppure operatori
occasionali che venivano in possesso di un testo di qualche interesse e lo riproducevano per
venderlo.
Alcune grandi botteghe operavano alla luce del sole ricevendo regolarmente commissioni da
parte dei privati e della magistratura della Repubblica. Una repubblica aristocratica come
quella di Venezia, in particolare, aveva delle esigenze politiche e la presenza in città di
esponenti delle élite sociali, con tutto quel che significava la distribuzione dei ruoli politici,
diede vita a una serie di documenti, chiamati in veneziano “zucchette”, consegi o brogetti, dei
piccoli manuali tascabili molto diffusi, compilati da copisti professionisti allo scopo di fornire
informazioni sui vari uffici e sui risultati delle votazioni. Oltre ai professionisti pubblici c'erano
altre figure minori che producevano di tutto (carte magiche, scritti osceni, libri messi all'indice,
fogli politici e satirici) nell'illusione di arricchirsi facilmente. Un caso emblematico, in questo
senso, è quello di un certo Girolamo Chiaramonti, definito "scrittore sul ponte di Rialto", il
quale fu processato dal Sant'ufficio nel 1630 per diffusione di libri proibiti, tra cui testi magici,
scritti libertini, canzoni oscene, novelle di Boccaccio e il Nuovo testamento in volgare. Spesso
figure simili di copisti non disponevo neppure di un banchetto su cui lavorare e vivevano quasi
alle soglie della miseria, vagando per le locande alla ricerca di qualcuno a cui vendere scritti
curiosi, proibiti, spesso tra i forestieri che affollavano la città. Un altro caso ancora è quello di
Domenico Michieli, di origini marchigiane, che durante l'interrogatorio processuale dichiarò di
esercitare la professione di scrittore quando gli si presentava l’occasione, confessando anche
di aver scritto la “Clavicola Salomonis” per il conte Antonio Saluzzi. Un altro caso è poi quello
di Bartolomeo Gei che, come emerge dalle carte del processo dell'inquisizione, si trattava di
un fornitore di lana e pelli per i cappellai ma al tempo stesso distribuiva libri magici, libertini e
contro la religione, che chiaramente non si trovavano nelle botteghe di Venezia e che
probabilmente copiava personalmente. La clientela delle locande principali di questo periodo,
dove operavano di fatto questi scrittori occasionali, proveniva invece in buona parte dai paesi
stranieri eretici che in Italia ricercavano libri contrari alla religione.
In alcuni casi gli scrittori si specializzavano nella confezione di "avvisi settimanali"; altri invece
si limitavano a ricopiare avvisi scritti da altri mentre i più organizzati e coraggiosi arrivavano a
3
costituire delle vere proprie agenzie d'informazione. Tramite servizi postali ricevevano poi
dall'estero corrispondenze e altri avvisi a cui aggiungevano il contenuto veneziano. A Venezia
la maggior parte di questi scrittori operava nella contrada di San Moisé (appartenente al
sestiere San Marco), tanto che nel corso del XVII secolo la stradina che passava a fianco della
chiesa era chiamata "calle degli scrittori". Le fonti che registrano tutte le informazioni relative
all'attività di questi scrittori sono le rilevazioni catastali. Ad esempio, nel 1660 registravano tre
botteghe (anche se i nomi dei proprietari non sembravano essere legati alla redazione di
avvisi). Nel 1713 registravano invece quattro scrittorie, due gestite da autori di gazzette,
Antonio Minummi e Francesco Carminati, mentre nel 1740 tre scrittorie. Le rilevazioni catastali
restituiscono però parzialmente la dimensione del fenomeno: le botteghe registrate non
esauriscono infatti il numero di tutti quelli che a quel tempo si occupavano di gazzette: alcuni
infatti operavo a volumi d’affari irrisori tanto da non essere censiti mentre altri preferivano
operare in segreto, lontano da occhi indiscreti. La maggiore concentrazione delle scrittorie
nella contrada di San Moisè era motivata da questioni strategiche. Nei paraggi, infatti,
passeggiavano i patrizi prima di accedere ai Consigli; sempre in prossimità c'erano le poste
dove giungeva la corrispondenza dall'estero, inoltre la zona era a ridosso di piazza San Marco
che rappresentava il cuore politico e civile della città e dello Stato. Attraverso il Palazzo
Ducale ruotavano le diverse figure professionali, quindi si trattava di un punto di riferimento
burocratico con segretari, notai e funzionari che spesso avevano bisogno della collaborazione
dei copisti o che potevano servire come fonte di informazioni riservate. Nella sede centrale
amministrativa e di governo giungevano quindi i dispacci degli ambasciatori alle corti e dei
rettori nelle varie città dello Stato. Il Palazzo Ducale era dunque il punto di confluenza di
notizie della Repubblica. Dal punto di vista formale, questi dispacci ufficiali dovevano rimanere
segreti. Ciò però non impediva al patriziato, agli aristocratici di far trapelare, di far uscire
all'esterno ogni genere di informazioni in grado di suscitare interesse o di determinare
discussioni. Alle figure del patriziato veneziano si aggiungevano poi segretari, notai e
funzionari di cancelleria che non avevano difficoltà ad accedere alla documentazione e a farne
copia.
Proprio in piazza San Marco, nei luoghi storici delle botteghe di acquavite, delle spezierie,
sotto i portici, o a fine secolo, presso gli studi di alcuni notai, nei caffè, si discuteva di politica.
Anche la figura del notaio, fondamentale in questi secoli dell'età moderna, si trattava di una
figura estremamente interessante. C'è ad esempio il caso del notaio Alessandro Pariglia il cui
studio fu per vari anni, nella seconda metà del 600, uno dei più attivi centri di raccolta e
smistamento di novità politiche. La sua clientela era costituita da patrizi, segretari di
ambasciatori, stranieri, mercanti tedeschi e appartenenti all'ordine di Malta. Pariglia può
essere definito proprio un collettore di notizie, anche riservate e segrete, che tramite i suoi
fogli finivano negli ambienti più influenti di tutt'Europa. Al di là di piazza San Marco, si
concentravano le scrittorie piccole e grandi. Nei pressi della chiesa, nel 1639, disponeva di
una bottega il sacerdote pistoiese Pietro Compagni che assieme ad altri colleghi aveva
dichiarato di aver riprodotto copie della “Clavicola” commissionate da forestieri ospiti presso
una delle principali locande della città, la locanda Istriana ai Santi Apostoli. I principali
compilatori di fogli dell'epoca che operavano nei decenni a cavallo tra 600 e 700 furono però
Pietro Donà e Antonio Minummi, dei veri e propri professionisti del settore che operarono
sempre alla luce del sole, muovendosi con estrema prudenza ed evitando il coinvolgimento in
azioni pericolose. Più incerta invece era l'esistenza dei reportisti più o meno improvvisati che
non operavano in luoghi fissi, in botteghe o banchetti aperti al pubblico. Spesso, inoltre, i
maestri che prestavano servizio presso famiglie aristocratiche si occupavano anche di scrivere
libri su commissione e compilare avvisi. È il caso in particolare di alcuni ex religiosi, come
Giovanni Maria Janni e Ottavio Carnevale, maestri di professione che non ebbero difficoltà a
recuperare fogli concepiti da altri e a diffonderli.
In base ai materiali raccolti, un buon reportista redigeva gazzette periodiche con uscita magari
settimanale e scritture politiche che recapitava ad associati veneziani e stranieri, spesso di
4
rango molto elevato. I servizi si differenziavano in relazione ai contenuti, alle esigenze e alle
tariffe di associazione. Gli avvisi si distinguevano in fogli pubblici e in fogli che era più
opportuno mantenere segreti. I fogli pubblici contenevano notizie ordinarie e poco rilevanti,
mentre quelli segreti informazioni di una certa considerazione. I fogli pubblici, molto diffusi e
non contenenti particolari informazioni, avevano scarso prestigio ed erano smerciati e letti
correntemente alla luce del sole in luoghi fissi delle città. I più ricercati erano invece gli avvisi
segreti in quanto svelavano i retroscena più reconditi e i particolari più allettanti: questi fogli si
addentravano negli arcani di governo offrivano notizie e considerazioni che nessun foglio
pubblico avrebbe mai osato divulgare. L'informazione a volte poteva anche scivolare nella
satira ed erano soprattutto i menati romani a segnalarsi in questo genere. La vivacità che
caratterizzava i fogli romani chiaramente non ne facilitava la libera circolazione; allo stesso
tempo, però, non era affatto facile reprimerla da parte delle autorità. I fogli, infatti,
d'Italia e d’Europa e alla seconda e terza riproduzione