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Cap.6
Il Rinascimento maturo: le arti, le lettere, le scienze
6.1 Le corti italiane del Rinascimento
Lo splendore dell’Italia del Rinascimento è intimamente legato alla magnificenza delle sue
tante corti principesche, e all’intensa vita artistica e culturale di cui furono al tempo stesso il
frutto e le promotrici. A Roma, Firenze Milano, Urbino, Ferrara, Mantova, Napoli, la presenza di
un principe implicava quella di una corte, formata da nobili dame e cavalieri, legittimata dal
lavoro teorico di importanti intellettuali e resa splendida da quello artistico di pittori, scultori,
orafi, architetti, musicisti. E una delle opere più tradotte e più lette in tutta Europa fu Il libro
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del cortigiano, pubblicato a Venezia nel 1528, in cui venne elaborato il modello del gentiluomo
di corte, capace di combinare l’amore per il bello, la raffinatezza dei modi e la sapienza
mondana e diplomatica. Non è un caso che proprio l’Italia sia stata all’avanguardia in questo
processo. L’accumulazione di ricchezze, dovuta alle fiorenti attività mercantili, la riscoperta
dell’antico e dell’autorità dei classici, determinarono le condizioni favorevoli a una straordinaria
fioritura artistica e letteraria. La riscoperta dell’antico riguardò prima di tutto la cultura
scritta, gli autori classici che gli umanisti andavano a scovare nelle biblioteche dei conventi di
mezza Europa e che riportavano a nuova vita. Gli antichi diventavano palestra di stile: la
lingua di Cicerone serviva da modello per quella dei contemporanei e l’abbandono del rozzo
latino medievale per il recupero dell’elegante lingua classica divenne un imperativo sociale.
L’invenzione della stampa diede a questo movimento risorse e dimensioni fino allora
impensabili.
6.2 Lo sviluppo della vita urbana e le arti del discorso
Man mano che si sviluppavano e si precisavano le funzioni pubbliche, cresceva la domanda di
personale preparato a svolgerle e quindi di un ceto di segretari, cancellieri, ambasciatori,
magistrati, avvocati, notai, capaci di argomentare e di convincere più che di condurre sottili
dispute accademiche. Nelle dispute che caratterizzavano l’insegnamento universitario si
insegnava a padroneggiare lo strumento della logica, che, a partire da una determinata
premessa e attraverso una serie di opportuni passaggi, permetteva di giungere a una
dimostrazione inconfutabile. Ma il mondo nel quale si dovevano muovere gli appartenenti a
questo nuovo ceto di letterati non era fatto di speculazioni bensì di eventi e fenomeni incerti e
mutevoli, e la sapienza di cui si avvertiva il bisogno era una sapienza del persuadere, piuttosto
che del dimostrare.
I maestri dell’arte di costruire discorsi comprensibili e convincenti vennero individuati, anche in
questo caso, negli antichi, in Cicerone e Quintiliano. L’invenzione della stampa moltiplicò i
manuali, i repertori di assunti, antichi e moderni, a disposizione di un pubblico sempre più
vasto di lettori e intere opere vennero ridotte a raccolte di argomenti da utilizzare per fini
pratici.
6.3 Le arti figurative
La riscoperta dell’antico non riguardò solo i testi. In pittura si diffusero soggetti mutuati dalla
mitologia degli antichi, come Apollo e Dafne o la nascita di Venere (Botticelli). Lo studio dei
resti archeologici che affioravano in molte città italiane, rivoluzionò l’architettura e l’intero
campo delle arti figurative. Il recupero dell’antico non fu solo un’operazione teorica.
Soprattutto a Roma, lo sviluppo edilizio del ‘400 e gli scavi per le fondazioni di nuovi edifici
facevano emergere resti di monumenti antichi e frammenti di statue che scatenarono una vera
e propria corsa al reperto archeologico da parte di nobili laici ed ecclesiastici.
6.4 La diffusione di nuovi modelli di consumo
Le corti e i cortigiani esprimevano una domanda di novità e crescente raffinatezza e, a loro
volta, i mercanti e gli artigiani offrivano nuovi beni provenienti da terre lontane o nuovi
prodotti del loro ingegno. Si innescò così quel meccanismo di continua ricerca dell’innovazione
e del cambiamento che costituisce l’essenza stessa della moda, e che segnò in maniera
irreversibile sia la cultura sia l’economia dell’Europa del Rinascimento.
I progressi dell’industria del vetro, in cui Venezia era all’avanguardia, portarono alla diffusione
di specchi, bicchieri, vetri per le finestre. Cominciò a diffondersi l’uso delle posate e delle
stoviglie individuali, che comportò un progressivo cambiamento delle maniere a tavola.
Dall’Oriente arrivarono i tappeti, e in Europa si cominciarono a produrre arazzi. Il contatto con
l’antico incoraggiò l’imitazione, dando vita a un mercato di oggetti puramente decorativi,
antenati dei soprammobili. E i rapporti con i nuovi mondi alimentarono il gusto per l’esotico, a
cominciare dalle piante, che furono raccolte e collezionate, in vaso o nei giardini. Il possesso di
questo genere di cose aveva un valore che andava ben oltre la pura esibizione di ricchezze:
conferiva la presunzione di possedere l’eccellenza del mondo classico. Lo stesso valeva per i
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libri: una biblioteca ricca di codici, dava la sensazione di dominare la cultura e, di nuovo, di
rivaleggiare con gli antichi. Tutto ciò comportava un enorme dispendio di energie e di risorse e
tuttavia conferiva grande prestigio culturale e sociale.
6.5 Il mecenatismo come forma di governo
Alla metà del XV secolo, papa Niccolò V prese al suo servizio una folla di letterati con l’incarico
di raccogliere e copiare quanti più manoscritti possibile, dando così vita al primo nucleo della
Biblioteca Vaticana. Pittori, scultori e architetti erano normalmente assunti alle dipendenze di
un signore e da lui stipendiati, come un segretario o un altro servitore di rango elevato. Non
esisteva un mercato dove gli artisti potessero offrire le proprie opere, concepite e realizzate
autonomamente. Forma, soggetto, dimensioni dell’opera erano scelte dal committente, più che
dall’autore, che in genere lavorava «su commissione». Lo sviluppo delle città e l’accumulazione
di ricchezza spingeva anche i privati a costruire cappelle di famiglia o sontuosi palazzi urbani. I
casati più eminenti usavano questi edifici per rivaleggiare gli uni con gli altri, ma il signore
della città doveva superare tutti in grandezza e splendore.
6.6 La filosofia naturale e le scienze
La nuova disponibilità di testi greci, tradotti in latino e messi in più rapida circolazione dalla
stampa, ebbe importantissime conseguenze anche nel campo della filosofia naturale e delle
scienze ad essa collegate. Nei testi antichi, personalità del tempo come Niccolò Copernico
trovarono teorie e suggestioni che lo confortavano nella sua ipotesi di un moto circolare della
Terra intorno al sole. La nuova familiarità con filosofi greci diversi da Aristotele, e in particolare
con Archimede, fu però fondamentale soprattutto sotto un altro aspetto: essa insegnò che gli
antichi avevano coltivato un sapere in cui c’era spazio per una pluralità di dottrine, un sapere
che non era ingessato dal dogmatismo di un’unica concezione del reale. Questa nuova
attenzione per teorie estranee all’aristotelismo, dominante nelle «scuole», si era già
manifestata nella riscoperta di Platone, e nella formazione di un’Accademia platonica riunita
intorno a Marsilio Ficino. E nel 1510 Raffaello seppe condensarla in un’immagine, l’affresco
della Scuola di Atene, dipinto nelle stanze vaticane, in cui Platone e Aristotele figurano al
centro di una folla di filosofi.
Si stimolò inoltre lo sviluppo di un sapere pratico legato alle arti e ai mestieri, lo stesso Galileo
Galilei passò mesi nell’Arsenale di Venezia per studiarne le tecniche. Accanto alla scoperta del
pluralismo dottrinale degli antichi e dei saperi pratici degli artigiani, anche i viaggi e le scoperte
geografiche dettero il loro contributo alla entrata in crisi delle dottrine ereditate dal Medioevo.
Nuovi uomini, nuovi animali, nuove piante dovevano essere integrati nelle vecchie concezioni
del reale. Una profonda revisione delle certezze di fondo fu così indotta da un lato dalla teoria
eliocentrica, dall’altro dalla scoperta del Nuovo Mondo. Se il sole e non la terra era al centro
dell’universo, e se esistevano intere civiltà di cui non si era mai saputo nulla, allora forse il
cosmo non era un organismo chiuso, in cui ogni essere animale, vegetale o minerale occupava
il suo posto in una scala gerarchica di perfezione al culmine del quale c’era l’uomo, maschio e
adulto.
6.7 La morale e la politica
L’umanista Giovanni Pico della Mirandola aveva sostenuto che Dio aveva lasciato libero l’uomo,
ponendolo al centro del mondo affinché egli potesse osservarlo a suo piacimento e, come
artefice di se stesso, forgiarsi liberamente nella forma che avesse preferito. Questa estrema
fiducia nelle capacità dell’essere umano non esaurisce tuttavia l’intero panorama della cultura
rinascimentale. Guerre, congiure, ascese, e cadute di signorie e regimi repubblicani
richiamavano l’attenzione dei letterati sulle mutevolezze della fortuna e li spingevano ad
arrovellarsi attorno alla natura della giustizia umana e divina e alla possibilità di tenere gli
eventi sotto controllo. Nella tragedia delle «guerre orrende d’Italia» personaggi come
Machiavelli e Guicciardini maturarono la convinzione che le cose del mondo non erano quello
che sembravano, e che era quindi necessario elaborare un’etica di comportamenti che tenesse
conto del divario incolmabile tra l’essere e l’apparire. La molteplicità dei modi che gli uomini
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del ‘500 andavano man mano scoprendo metteva inoltre in crisi l’idea stessa di una morale
unica e universalmente valida. Ancora una volta dalla contemplazione degli orrori delle guerre,
soprattutto delle guerre civili, che venne il più importante contributo dei letterati
cinquecenteschi alla riflessione sulla natura degli esseri umani e della società. Di fronte
all’instabilità della fortuna, dei tradimenti, dei complotti, che caratterizzarono l’Italia del primo
‘500, Machiavelli sostenne che solo un esercito formato da cittadini poteva garantire le libertà
della repubblica, cioè l’indipendenza e la sopravvivenza delle istituzioni repubblicane. Ma la
fama di Machiavelli fu legata soprattutto alla sua teoria disincantata delle virtù del principe,
che doveva saper misurare gli strumenti per conservare e accrescere il suo Stato solo in base
alla loro efficacia, e a nient’altro. La feroce anarchia delle guerre di religione in Francia sollecitò
la rifle