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A Siena giovani appartenenti alla classe dirigente ma non privi di collegamenti con orefici, tessitori, barbieri, fabbri, speziali,
spadai, si posero allora alla testa di un movimento clandestino ricco di articolazioni e precocemente orientato in senso
calvinista, nell’ambito del quale all’inizio degli anni 50 si pensò addirittura alla possibilità di trasformare la repubblica toscana
in un avamposto della Riforma.
Ancora alla fine degli anni 50, dopo l’assorbimento di Siena nel ducato mediceo, la “contagione”, la pullulante “infectione” non
mancheranno di destare le preoccupazioni del nuovo governo, peraltro attento a evitare motivi di conflitto con le più
ragguardevoli famiglie cittadine.
Ancor più serio il pericolo che si profilò a Lucca, dove l’intero patriziato cittadino, anch’esso minacciato nella sua indipendenza
politica dell’espansionismo mediceo, parve orientarsi per qualche tempo verso una scelta di campo che in tutta la seconda
metà del secolo avrebbe continuato ad alimentare una nutrita emigrazione in Svizzera.
Anche qui i libri eterodossi d’oltralpe, agevolmente introdotti in città attraverso la fitta trama dei suoi traffici mercantili e la
predicazione si frati itineranti costituirono i canali privilegiati negli anni 30 per la conoscenza delle “nuove oppinioni”, il cui
successo testimonia tuttavia della loro rispondenza a esigenze reali dei fedeli nel mondo urbano dell’Italia cinquecentesca.
A Roma si diceva apertamente che “il luogo più corrotto di tutti è Lucca”, non a caso più volte menzionata nei commenti che
accompagnarono l’istituzione del Sant’Ufficio romano decretata da Paolo III il 21 luglio di quell’anno con la bolla Licet ab initio.
Ma anche privato della guida dei chierici che ne avevano promosso e alimentato le scelte religiose, il movimento ereticale
lucchese seppe durare nel tempo, protetto da prudenti cautele e tenaci complicità sociali e politiche nonostante l’attenta
sorveglianza delle autorità romane.
I processi e le condanne che a partire dalla metà degli anni 50 infierirono sul patriziato lucchese testimoniano con evidenza del
profondo radicamento del dissenso eretico nella città toscana, che alimenterà infatti un cospicuo flusso di esuli a Ginevra.
Meno cospicue, in considerazione sia di una maggior distanza geografica e di più esili relazioni commerciali e culturali con i
paesi riformati sia di una minore densità urbana, ma tutt’altro che trascurabili risultano infine le infiltrazioni ereticali nei regni
spagnoli dell’Italia meridionale. Si avrà modo di tornare più avanti sul ruolo centrale come centro di aggregazione e
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propaganda eterodossa acquisito da Napoli negli anni 40, in una prospettiva almeno in parte autonoma rispetto alle dottrine
luterane e calviniste, destinata a lasciare un segno profondo sulle connotazioni specifiche e sugli sviluppi complessivi della crisi
religiosa cinquecentesca in Italia.
Soprattutto dal centro di irradiazione napoletano, a quanto sembra, furono altresì promosse le infiltrazioni eterodosse in
Calabria e nelle Puglie.
È probabile che la scarsità di notizie sulla diffusione della Riforma negli anni 20-30 dipenda qui anche dall’assenza del tribunale
dell’Inquisizione istituito invece in Sicilia dalla corona spagnola alla fine del ‘400.
Una consistente presenza di frati e predicatori sospetti di gruppi eterodossi, di testi ereticali è documentata in tutta l’isola,
soprattutto a Palermo, Messina, Siracusa e anche a Catania, sulla base degli orientamenti religiosi diffusi dapprima dai
conventi agostiniani e dai predicatori itineranti e poi dalla propaganda calvinista, ancora attiva negli anni 60-70.
Frati e preti, maestri di scuola, mercanti (locali e forestieri), librai, avvocati, medici furono le vittime dei primi provvedimenti
repressivi, ma in futuro anche i vescovi di Catania e Messina, Nicola Maria Caracciolo e Francesco Verdura, saranno oggetto di
inchieste e processi del Sant’Ufficio romano.
Anche dopo la conclusione del concilio di Trento alcuni gruppi eterodossi sopravviveranno in Sicilia, mentre più limitata ne fu
la presenza in Sardegna, peraltro da porre in relazione nelle sue espressioni più rilevanti con le esperienze di qualche giovane
nelle sedi universitarie del continente.
Da Torino a Palermo, da Venezia a Napoli, dunque, l’Italia tutta conobbe un pullulare di gruppi e movimenti variamente
collegati alla Riforma protestante, con articolazioni sociali e orientamenti dottrinali diversi da regioni a regione, da città a città
ma non senza molteplici elementi di omogeneità complessiva, e lungo un arco cronologico di ampio raggio, tra il terzo
decennio del secolo fino agli anni 70 e oltre. Del resto, agli occhi dei più intransigenti tutori dell’ortodossia sembrerà in futuro
che anche al centro della Chiesa cattolica, tra i cardinali e i vescovi che affollavano la corte papale, fosse diventato di moda
aver ”qualche opinionetta erronea o heretica”.
Nelle chiese di Roma l’agostiniano Girolamo Seripando, futuro generale dell’ordine, cardinale, inquisitore e presidente
dell’assemblea tridentina nel corso dell’ultima convocazione, predicava al cospetto di alti prelati della corte papale
affermando la “giustificazione per la fede sola: et tutto il mondo vi correva, perché questa dottrina piaceva”. Grande concorso
di folla e grande successo accompagnavano anche qui le omelie di Bernardino Ochino, che i vescovi più sensibili alle esigenze
di riforma cercavano di accaparrarsi per la predicazione dell’Avvento o della Quaresima e che di lì a pochi anni avrebbe turbato
i sonni degli inquisito ridi tutta Italia.
La vigilia di Natale del ’45 uno spagnolo, Diego de Enzinas, a nome di un gruppo romano a lui collegato, indirizzava una lettera
allo stesso Lutero per chiedergli alcuni chiarimenti dottrinali sull’eucarestia.
Un potente cardinale come Giovanni Morone, più volte nunzio e legato papale in terra tedesca e anch’egli presidente
dell’assemblea tridentina, chiamato a discolparsi delle gravissime accuse di eresia che determineranno la sua lunga
carcerazione sotto Paolo IV, richiamerà con vivide parole quel clima di incertezza, di inquietudine, di discussione e anche di
confusione che faceva da sfondo e in qualche misura legittimava i molteplici fermenti di eterodossia nell’Italia del 500.
Alcuni aspetti essenziali:
1) Rilevanza sociale del fenomeno attestato in tutta la penisola con proporzioni tali da destare ovunque timori non
infondati da parte della gerarchia ecclesiastica, chiamata a misurarsi con dottrine capaci di offrire risposte credibili a
esigenze e tensioni largamente diffuse
2) Sua dimensione quasi esclusivamente urbana e il suo collegarsi alla crisi della civiltà comunale e alla difesa della libertà
repubblicana (significativi sono i casi di Venezia, Firenze, Siena e Lucca), come una sorta di relazione al rafforzarsi degli
strumenti di autorità politica e di controllo sociale, allo strapotere imperiale, all’autoritarismo romano
3) Larghissima circolazione di scritti eterodossi e le forme della propaganda (predicazione, diffusione di libri, contatti
personali ed epistolari) capaci di dar vita in breve tempo a piccoli gruppi clandestini e, in qualche caso, a vere e proprie
comunità di “fratelli” dotate di stabili forme di organizzazione e solidarietà interna
4) Diffusione di orientamenti eterodossi in ambienti e gruppi molto diversi (chierici e laici, umili e dotti, gente comune e
potenti della terra) in grado tuttavia, proprio in virtù di una comune identità religiosa, di trovare forme di raccordo e
complicità del tutto inedite per una società che veniva invece irrigidendo le proprie gerarchie
5) L’importanza decisiva del clero nella prima fase di diffusione delle nuove dottrine, e in particolare dei frati predicatori
e dei monaci itineranti e l’accentuarsi della rivendicazione da parte dei laici di un nuovo ruolo nell’affrontare problemi
teologici sentiti come tali da coinvolgere profondamente non solo i destini ultraterreni ma anche le quotidiane scelte
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morali e pratiche religiose di donne e uomini non più disposti a delegarne la definizione a un clero ignorante e
screditato
6) La complessità dei percorsi individuali e collettivi in cui il dissenso prese corpo e venne maturando
7) Gli elementi di autonomia e creatività che esso seppe esprimere e che sarebbe del tutto errato appiattire banalmente
sul terreno di una passiva adesione alla Riforma d’oltralpe, capaci quindi di dar vita negli anni 40 a originali modalità di
aggregazione e di determinare in molti casi scelte personali assai diverse e financo contrapposte
8) Soprattutto a partire dal decennio successivo, con l’esaurirsi di ogni speranza di successo e con il venir meno di
autorevoli coperture sociali e legittimazioni istituzionali, il progressivo spegnersi delle sue capacità espansive e il
delinearsi di esiti dottrinali orientati prevalentemente in senso calvinista.
Lo evidenzia tra l’altro il dirigersi dell’emigrazione religionis causa verso le città svizzere, con le loro molteplici
opportunità di lavoro e investimento alle porte d’Italia, e soprattutto a Ginevra, man mano che il definirsi
dell’ortodossia e il rafforzarsi delle strutture repressive della Chiesa romana renderanno più difficile ogni forma di pur
cauta professione di dottrine ormai definitivamente condannate.
Capitolo quarto: Modena “infetta del contagio de diverse heresie come Praga”
La ricchezza della documentazione disponibile consente da seguire da vicino il caso modenese.
Qui nel ’37 si poteva acquistare per otto soldi il Summario de la santa Scrittura nella bottega di Antonio Gadaldino, il quale nel
’43 si incaricava di far venire da Venezia il Beneficio di Christo.
Un semplice laico come Filippo Valentini leggeva e commentava in pubblico il vangelo di Matteo non senza destare l’irritazione
dei domenicani, decisi a far tacere quel giovane di raffinata cultura che “predicava non avendo licenza et non essendo persona
ecclesiastica” e che tuttavia prima di sospendere le sue lezioni, volle rispondere con asprezza pungente alle loro accuse, al
punto di infiammare gli ascoltatori, subito pronti ad agitarsi e gridare “che era da correre a popolo al monasterio et scacciare i
frati come nimici della fede et del ben publico”. Testimonianza evidente in cui anche a Modena erano caduti gli ordini religiosi
e l’istituzione ecclesiastica nel suo complesso e, al tempo stesso, del clima di libera discussione, di inquieta ricerca di vie nuove
e di spregiudicata messa in discussione, di inquieta ricerca di vie nuove e di spregiudicata messa in discussione delle gerarchie
e delle certezze tradizionali che qui come ovunque in Italia si veniva sviluppand