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L’imperatore avrebbe voluto che si affrontassero in primo luogo le questioni disciplinari, ma di fatto ebbe la priorità la
definizione dei punti dogmatici più controversi, quali gli effetti del peccato originale (che il decreto tridentino dichiarò
cancellati dal battesimo) il principio della giustificazione per sola fede, che venne condannato come eretico. Fu così
scavato un solco incolmabile e definitivo tra le posizioni della Chiesa cattolica e quelle delle confessioni protestanti.
Il concilio fu nuovamente interrotto nel 1552 a causa della ripresa delle ostilità tra l’impero e la Francia. Politicamente
avverso all’imperatore e da sempre ostile al concilio, in cui vedeva una limitazione dell’assoluta autorità della Santa
Sede, Paolo IV estese i poteri dell’Inquisizione, sottopose a processo alcuni del maggiori esponenti del partito
riformatore e promulgò nel 1559 il primo Indice dei libri proibiti, in cui venne fra l’altro inserita l’intera opera di Erasmo.
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Toccò al nuovo papa Pio IV l’incarico di rilanciare il concilio e condurlo a termine, dopo altri due anni di discussioni
molto intense.
Dal concilio tridentino usciva in primo luogo riaffermato e rafforzato il carattere monarchico della Chiesa cattolica
(superiorità del pontefice sul concilio e la sua discrezionalità nell’applicarne le deliberazioni. Sotto il profilo dogmatico,
le decisioni principali del concilio riguardarono, oltre alla già accennata riaffermazione del valore delle opere ai fini di
salvezza
- la collocazione della tradizione della Chiesa accanto alla Sacra Scrittura come fonte della verità
- la natura dei sacramenti tra i quali particolare rilievo fu dato all’eucarestia, sacrificio propiziatorio che implica la
trasformazione della specie nel corpo e nel sangue di Cristo
- l’ordine, che conferisce al sacerdote un’aureola sacrale sollevandolo al di sopra della massa dei fedeli
- furono ribadite l’esistenza del Purgatorio e la validità delle indulgenze nonché del culto prestato ai santi e alla
vergine
Per quanto riguarda la formazione e i doveri del clero, i punti più qualificati furono:
- i’istituzione dei seminari, collegi appositi per la preparazione dei futuri sacerdoti
- il divieto del cumulo di benefici
- l’obbligo fatto ai vescovi di risiedere nella propria diocesi, di visitarla tutta ogni due anni e di farne periodiche
relazioni alla curia di Roma
- le norme impartite ai parroci per il decoro del culto
- l’insegnamento religioso ai fedeli
- la scrupolosa tenuta dei registri di battesimi, matrimoni e sepolture
- l’imposizione del celibato ecclesiastico e dell’abito sacerdotale
4. La Chiesa e il papato nella seconda metà del Cinquecento
L’applicazione dei decreti tridentini non fu immediata e, soprattutto fuori d’Italia, dovette fare i conti con la volontà dei
sovrani cattolici di mantenere il controllo sulle rispettive Chiese. Indubbiamente, però, il concilio di Trento segna la
ripresa in grande stile della Chiesa cattolica, la conquista di una nuova compattezza e durezza nella lotta contro il
protestantesimo e le tendenze eterodosse, l’affermazione di una volontà di dominio non solo in campo spirituale, ma
anche nella sfera politica e sociale.
Gli effetti di questo spirito militante furono subito evidenti nel pontificato di Pio V: oltre a dare un grande contributo alla
vittoria cristiana di Lepanto contro i turchi, Pio V non esitò a ripubblicare nel 1568 la medievale bolla In Coena Domini,
affermazione in termini oltranzisti della supremazia del papa sui sovrani temporali, e a scomunicare nel 1570 la regina
d’Inghilterra Elisabetta I, sciogliendo i suoi sudditi dal dovere di obbedienza.
Ma il papato della Controriforma raggiunse il suo apogeo con il combattivo ed energico Sisto V. Non solo egli diede
nuovo impulso all’attività missionaria e alla controffensiva cattolica nell’Europa centro-settentrionale ma attuò una
profonda riorganizzazione della curia romana.
Il collegio cardinalizio non rappresentava più, come era stato nel Medioevo, un contrappeso e un limite all’autorità del
pontefice, ma diveniva uno strumento del suo potere.
Con spietata energia venne condotta sotto Sisto V e sotto Clemente VIII la lotta contro il brigantaggio che infestava le
province; furono ulteriormente ridotte le autonomie delle città suddite e delle residue signorie feudali, e, all’estinzione
della discendenza legittima degli Este, Ferrara venne annessa alla Stato della Chiesa.
Roma si avviava ad acquistare il nuovo volto di splendida capitale del cattolicesimo post-tridentino. Ma il significato
della Controriforma non si esaurisce nell’accentramento dei poteri a Roma e nella persona del pontefice. In molte
diocesi si registra nella seconda metà del 500 l’avvento di vescovi e arcivescovi animati da grande zelo pastorale e da
una forte carica riformatrice, il cui modello apparve già ai contemporanei san Carlo Borromeo.
Il suo ventennale episcopato fu contrassegnato dalla forte suggestione che emanavano la sua austerità di vita e la sua
pietà, dalla instancabile azione svolta per la riorganizzazione e la moralizzazione del clero, attraverso l’istituzione dei
seminari e la riunione frequente di sinodi diocesani e di concili provinciali, dall’impegno personale nella visita delle circa
800 parrocchie della diocesi, dalla severa vigilanza su monasteri e conventi, da un tentativo sistematico di assoggettare
all’autorità religiosa anche la vita familiare e privata dei fedeli. 33
La sua insofferenza di limiti e controlli nell’esercizio della propria autorità lo pose a più riprese in conflitto sia con
frazioni dello steso clero, sia con il Senato, il tribunale supremo dello Stato di Milano, e con il governatore spagnolo.
Lo sforzo di penetrazione capillare in ogni settore della popolazione vede impegnati in prima fila anche i nuovi ordini
regolati, che organizzano vere e proprie missioni nelle campagne e nelle borgate, con prediche, penitenze e devozioni
collettive, per indottrinare e “convertire” plebi spesso assai superficialmente cristianizzate.
Escluse dalla conoscenza diretta dei testi sacri e dalla comprensione di una liturgia imperniata su una lingua sconosciuta
(il latino), spettatrici più che partecipi di cerimonie e riti in cui larga parte aveva l’elemento spettacolare ed emotivo,
avvolte in una fitta rete di precetti e di divieti (attinenti, questi ultimi, soprattutto alla sfera sessuale), le masse popolari
italiane si avviavano a fare propria una religiosità spesso intensa e sincera, ma povera di sostanza morale, intrisa di
superstizione e di fede ingenua nell’irruzione del soprannaturale in questo mondo.
5. L’egemonia spagnola in Italia
La pace di Cateau-Cambrésis, stipulata tra Francia e Spagna nel 1559 sancì una egemonia spagnola destinata a durare
fino agli inizi del XVIII secolo. La Spagna controllava direttamente quasi la metà del territorio italiano, e cioè i Regni di
Napoli, Sicilia e Sardegna, il Ducato di Milano, oltre al minuscolo, ma strategicamente importante Stato dei Presidi
(Talamone, Orbetello e l’Argentario).
Degli altri stati solo Venezia poteva considerarsi veramente indipendente, giacché i sovrani di Savoia e di Toscana
dovevano a Carlo V e a Filippo II i loro titoli e il loro ingrandimento, Genova era legata a filo doppio a Madrid a causa dei
suoi interesse finanziari, mentre i Ducati padani erano troppo piccoli per contare sulla scena politica; quanto allo Stato
pontificio, la sua subordinazione, anche finanziaria, alla funzione universale della Chiesa ne rendeva inevitabile l’alleanza
con la monarchia spagnola, che in Europa e nel Mediterraneo rappresentava il maggiore baluardo del cattolicesimo.
Va ricordato, innanzi tutto, che alle difficoltà e alle crisi dei primi decenni del secolo seguì un periodo abbastanza lungo
di ripresa demografica ed economica. In secondo luogo, proprio la stabilizzazione dell’assetto politico-territoriale
conseguente alla vittoria della Spagna sulla Francia favorì all’interno dei singoli Stati un’opera di rafforzamento e
ammodernamento delle strutture istituzionali e di ricomposizione delle classi dirigenti.
Possedimenti diretti della Spagna l’autorità sovrana era qui rappresentata da un viceré o da un governatore, e dai
comandamenti dell’esercizio, generalmente provenienti dall’alta nobiltà spagnola. Ma le magistrature giudiziarie e
finanziarie erano in misura preponderante formate da elementi indigeni che spesso riuscivano a contrapporsi
vittoriosamente al rappresentante del sovrano. Al monarca, in sostanza, si riconosceva la suprema autorità legislativa e
il diritto-dovere della difesa e quindi del prelievo delle risorse necessarie; ma la facoltà di applicare e interpretare le
leggi e di ripartire e riscuotere le imposte era considerata prerogativa degli organi di governo locali.
A Napoli grande autorità e prestigio aveva il Consiglio collaterale, cui il viceré doveva obbligatoriamente sottoporre tutti
gli affari di un certo rilievo.
A Milano era il tribunale supremo, il Senato, a svolgere il ruolo di interlocutore principale dell’autorità sovrana. Sia il
Senato e il Consiglio collaterale, sia le minori magistrature erano composti da “togati”, cioè da laureati in
giurisprudenza.
Se nelle campagne meridionali, e in quelle delle isole, assai grave rimaneva il peso economico e sociale della feudalità, il
governo spagnolo nel 500 riuscì tuttavia a spezzarne la forza politica e limitarne e peggiori abusi con l’intervento sia pur
lento e macchinoso della giustizia regia. Nello Stato di Milano il predominio delle città fu attenuato dall’attuazione del
catasto ordinato nel 1545 da Carlo V, e in campo istituzionale con la creazione di un organo rappresentativo, la
Congregazione dello Stato, in cui sedevano i rappresentanti dei contadini accanto a quelli delle città.
Più accentuata fu l’evoluzione verso lo Stato assoluto in Toscana e in Piemonte, dove il principe risiedeva in loco e agiva
direttamente e non attraverso rappresentanti. Ai Medici, riportati a Firenze dalle armi spagnole venne riconosciuto nel
1530 il titolo ducale e nel 1569 quello di granduchi di Toscana. Ma fu soprattutto Cosimo I a sviluppare il regime in senso
assolutistico, svuotando gli organi di ogni potere effettivo e governandolo attraverso i propri segretari, di origine sociale
spesso modesta, e dal 1545 attraverso la “Pratica segreta”, un nuovo consiglio di carattere informale. 34
Stato sabaudo occupato dai francesi e spagnoli durante le guerre d’Italia, venne ricostituito sotto il duca Emanuele
Filiberto, il vincitore della battaglia di San Quintino, alla pace di Cateau-Cambrésis. Trasferì la capitale da Chambéry a
Torino; soppresse o limitò