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La vita civile di inizio '600
La vita civile di inizio '600 è scarsamente documentata ed in modo frammentario: oltre alle fonti arcivescovili e ai registri parrocchiali, di laico sopravvivono solo due petizioni fiscali del 1607, rivolte da Sambatello al viceré per ottenere il beneplacito su nuove imposte: al fine di bilanciare le uscite infatti si era già introdotta una gabella sulla seta, la principale produzione locale, ma il denaro raccolto in questo modo non era bastato a coprire i passivi e perciò si chiese alle autorità di potere tassare anche generi di prima necessità quali pane e mosto. Nel novembre di quell'anno il Consiglio Collaterale approvò e l'università poté estinguere tutti i suoi debiti, nonostante per farlo avesse duramente colpito la propria popolazione, non essendo in grado di mantenersi con le sole entrate ordinarie. Il governo centrale poi aumentò ancora di più il carico chiedendo alle università
del Sud Italia ulteriore denaro per finanziare l'impegno spagnolo nella guerra dei Trent'anni, e nel 1620 Sambatello dovette dare oltre 3000 ducati più altre spese per l'alloggio di due guarnizioni di soldati a Reggio, essendo tenuta in quest'ultimo caso per il settimo (7 ducati al giorno). Per i pagamenti più urgenti si accese un mutuo da 600 ducati con privati cittadini, oltre a chiedere al re una deroga per avere l'appalto anticipato della riscossione della gabella sulla seta, diminuita comunque rispetto al passato, venendo accontentati: tale tassa era la più cospicua, dato che si trattava del comparto economico trainante della zona (come in gran parte della Calabria), tanto è che la qualità di seta più pregiata era detta "seta Sambatello" poiché prodotta fino a inizio '600 proprio ai piedi della omonima salita, usando la limpidissima acqua delle rocce, prima che anche a Reggio si.iniziasse a produrre seta pregiata sfruttando l'acqua marina, pure essaribattezzata con lo stesso nome. I produttori di seta erano poi colpiti anche dall'intermediazione dei grandi mercanti, specie forestieri (Genova e Lucca), i quali attraverso i propri rappresentanti compravano ampie quantità di seta direttamente dai produttori e a prezzi calmierati: ai manufatturieri, non di rado in affanno, i commerciantianticipavano ingenti somme di denaro che spesso non riuscivano a restituire, condizionando loro l'attività. Tali mercanti avevano come base il porto di Messina, che grazie a speciali e secolari privilegi godeva di particolari agevolazioni, e la seta era esportata grezza, dato che la tessitura era possibile soltanto a Napoli e Catanzaro (che nel 1519 aveva ottenuto il Consolato della Seta, rompendo il monopolio della capitale); nel 1612 l'università di Reggio Calabria chiese a re Filippo III di poter impiantare dei telai per drappi di seta,
visto che per tre mesi l'anno tanti cittadini si dedicavano ad attività seriche, spesso per motivi di sopravvivenza, e il fisco ne avrebbe potuto ricavare grandi cifre con i relativi dazi. La richiesta era già stata fatta qualche anno prima con risposta negativa, perché già Catanzaro aveva in Calabria quella concessione e la vicinanza di Reggio con Messina avrebbe potuto favorire il contrabbando e quindi una forte evasione dei dazi. Il sovrano questa volta disse sì a patto che i pagamenti di tutte le imposte fossero puntuali, e della decisione se ne giovò pure Sambatello, la quale migliorò le proprie condizioni economiche e accrebbe il suo numero di abitanti. Nel luglio 1732 partì la terza e ultima visita pastorale di mons. D'Afflitto, la quale segnalò 170 fuochi e 165 anime nella zona della matrice di Sambatello e 120 famiglie con 540 persone nel quartiere di San Michele Arcangelo, per un totale di 1305 abitanti.San Biagio, grazie anche ai registri parrocchiali dei Battesimi, si sa che vivevano allora 450 persone (perfettamente allineati alla media dei fuochi) e in tutta la zona 2675, +38,6 rispetto alla precedente visita: ciò certifica la forte espansione demografica verificata nell'area nel primo '600, come del resto in tutto il distretto reggino, dove le numerazioni dei fuochi parlano di una crescita del 17,2%, in generale controtendenza rispetto al resto della Calabria e del Regno di Napoli. A Sambatello ed intorni però vi sono pure dei distinguo da fare: calcolando solo le famiglie si può notare la flessione di San Giovani (-26%) e la crescita di San Biagio (che dall'ultimo posto per numero di fuochi balzò al secondo), mentre Santa Domenica vide crescere i fuochi da 60 a 77 e Diminniti da 40 a 50, nonostante quest'ultimo fosse il casale meno popolato. In questa visita si svolse anche una attenta ispezione del clero, del quale si forniscono.Tutti i dati personali, patrimoniali, di carriera e i libri posseduti; furono poi confermati tutti i cappellani e trovati in ordine i registri, e si decise inoltre che i fedeli avrebbero dovuto sostenere gli ecclesiastici con 6 aquile a famiglia. Si fece infine l'inventario per ogni chiesa degli arredi sacri più dettagliate descrizioni di altari, fonti battesimali e sacrestie. I terreni di proprietà delle chiese - provenienti da donazioni e lasciti - erano concessi a conduttori locali in cambio di uncenso annuo o di una parte del prodotto. A metà XVII secolo però gli sperperi spagnoli per la guerra dei Trent'anni iniziarono a farsi sentire in campo finanziario, sovrapponendosi alla coeva crisi produttiva, con il Regno di Napoli costretto a imporre tasse ancora più salate alle università, seppur a quanto pare con un cambio di politica organizzativa: a Sambatello non vennero più tassati i generi di prima necessità.
ma si preferì aumentare le imposte dirette, evitando dunque di rifarsi per gran parte della somma sulla povera gente, la quale se ulteriormente gravata di tributi avrebbe potuto insorgere. Quando nel 1636 si intervenne per coprire 1300 ducati di buco, il reggimento universale (il consiglio delegato alla gestione dal parlamento generale) era formato da 11 persone, sebbene l'autonomia dell'università sambatellese fosse ancora compressa da Reggio, che proseguiva ad amministrare settori diversi da quello fiscale: ciò perché Sambatello era vista ancora come un casale in cui le famiglie reggine più importanti possedevano grandi terreni. Il Governo spagnolo aveva sempre più bisogno di soldi e dunque fece pressione su Napoli affinché ne raccogliesse di più tramite le tasse: ma il balzo alle stelle delle imposte non bastò a soddisfare queste esigenze e il re Filippo IV dovette ordinare al vicereame di vendere alcuni territori.
demaniali del Sud Italia. Gli organi principali del Regno di Napoli obbedironocercando però di escludere quante più aree possibili da queste cessioni, al fine di non rafforzare i baroni, tenendonefuori le città strategiche dal punto di vista militare e le terre già riscattatesi dalla feudalità o che stavano per farlo(sempre pagando una cifra alla Sommaria, ovviamente). Il bando di vendita della Camera della Sommaria vennepubblicato nel febbraio 1638, e l’elenco delle terre comprendeva anche Sambatello e i suoi casali: ciò fece allarmarel’università di Reggio Calabria, i cui sindaci nominarono il 7 marzo di quell’anno due procuratori col compito diperorare la causa della città presso la Camera della Sommaria stessa, basando le proprie motivazioni su due privilegidel 1462 e 1465 che riconoscevano il perpetuo possesso dell’ex Motta Rossa da parte di Reggio e offrendo inoltre18.4000 ducati al fisco per il
mantenimento della zona, da versarsi entro due mesi e che Reggio avrebbe ottenuto tassando la produzione della seta. Fu un tentativo fallito, dato che intanto il Governo di Napoli aveva venduto il Sambatellese al miglior offerente, il finanziere Bartolomeo D'Aquino, quale rappresentante di persona da nominare; questa si sarebbe poi rivelata Vincenzo Carafa, duca di Bruzzano. Reggio fece subito ricorso al viceré per avere la revoca di questa alienazione, ritenendo i casali fondamentali per la difesa propria e anche del Regno (data la posizione della città) dai nemici esterni e di vantare un diritto inalienabile di possesso sull'area, come spiegato in un memoriale redatto nel febbraio 1639. Questa volta Reggio la ebbe vinta, e ottenuta la revoca il 3 novembre 1639 alla città fu consentito di esercitare il suo diritto di prelazione e comprare Sambatello e casali con gli stessi identici prezzi e modalità del Carafa, clausole che prevedevano: divieto di
creare uno scalo marittimo commerciale a Gallico; il rilascio di 25.000 ducati già pagati alla Curia per l'unione dei casali; la disposizione ad acquistare il Sambatellese come se avessero 100 fuochi ciascuno, con l'accordo di aggiungervi altri 52 ducati a famiglia in caso il conteggio ne avesse dato un numero maggiore. Ufficialmente Reggio acquistò i casali conto terzi, dato che, trattandosi comunque di feudi con relativi obblighi specie fiscali (tasse di "adoa", che sostituiva il servizio militare prestato dai baroni, e di "relevio", una specie di imposta di successione), era richiesta la loro intestazione ad una persona fisica: a tal fine fu scelto il mastro Simone Siclari, selezionato per via dei tanti figli maschi che aveva e grazie ai quali si poteva evitare che in assenza di discendenti del signore i territori ricadessero nelle mani del fisco. Reggio però non aveva soldi abbastanza per mantenere i patti, e così siimpegnò a pagare l’acquisto a rate, in attesa di accendere dei mutui confinanzieri forestieri, i quali ebbero in appalto la riscossione dei tributi sulla seta e “del campo” (su importazione delgrano e di alimenti); così il 17 aprile 1640 si potè completare il pagamento, e il 3 maggio seguente il delegato dellaSommaria consegnò ufficialmente il feudo al Siclari in una cerimonia svoltasi nella piazza della matrice diSambatello. Come stabilito dal contratto di cessione, nel 1641 si diede luogo ad una nuova numerazione dei fuochidel Sambatellese da cui risultò che il comprensorio contava 1205 nuclei familiari, un numero non proprio attendibilee molto più “gonfiato” rispetto al reale: quindi, nonostante le proteste del governo reggino, la città dovette sborsarealtri 10.660 ducati ricorrendo ancora a nuove tasse e a mutui, che si aggiunsero al “donativo” dovuto dalMezzogiorno alla Spagna il quale
ovviamente ricadeva sulle università e le baronie, della cifra di oltre 19.000 ducati per quanto riguardava Reggio. Il totale delle spese per l'università reggina ammontava ora a quasi 30.000 ducati, somma in parte anticipata dai soliti finanzieri i cui prestiti però - in un periodo di crisi generale - non furono onorati: su loro istanza allora la Camera della Sommaria.