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SICILIA
In Sicilia il periodo del viceregno di Domenico Caracciolo (1781-85) venne contrassegnato da
importanti iniziative, come l’abolizione dell’Inquisizione e l’avvio di un catasto, poi fallito per
l’opposizione della nobiltà. Né in Sicilia, né nel Mezzogiorno le riforme giunsero a mettere in
discussione il permanere delle strutture feudali nelle campagne e a liberare lo Stato dal groviglio di
interessi privati che ne limitava o condizionava l’autorità.
3. Illuminismo e riforme nella Lombardia austriaca
Dopo la PACE DI AQUISGRANA (1748) la monarchia austriaca rimaneva in possesso dello stato di
Milano e del Ducato di Mantova, uniti sotto uno stesso governo a formare la monarchia austriaca.
Nei possedimenti asburgici rientrava anche il Granducato di Toscane e nel 1753, grazie ad un
accordo stipulato con il Duca di Modena Francesco III d’Este che prevedeva il matrimonio della
nipote di questi con un arciduca imperiale, anche il Ducato di Reggio e Modena entrarono nella
sfera di influenza austriaca. Una prima ondata di riforme investì lo Stato di Milano: nel 1749 venne
riordinata l’amministrazione e abolita la vendita delle cariche, conferite solo in base ai meriti e alla
capacità. Al risanamento finanziario contribuirono anche la concentrazione degli appalti dei dazi in
un’unica “Ferma Generale”, l’istituzione di un banco, chiamato “Monte Santa Teresa”, per la
gestione del debito pubblico e il graduale rimborso ai creditori dello Stato. Il risultato più
importante fu il compimento di un grande catasto, a opera di una “Giunta Regia”, presieduta da
Pompeo Neri. Sotto il profilo tributario i risultati principali furono la re-distribuzione dell’imposta
fondiaria – proporzionale all’estimo – e la riduzione dell’imposta personale dovuta ai contadini a
una somma moderata e fissa. Dal punto di vista amministrativo vennero messi al governo delle
comunità i rappresentanti dei possessori dei fondi, che erano controllati da funzionari regi,
chiamati cancellieri del censo, a loro volta dipendenti da un dicastero centrale. Un contributo
importante alla diffusione dei Lumi venne da un gruppo di giovani nobili, che si riunivano intorno a 70
Pietro Verri: da questo sodalizio nacque l’esperienza giornalistica “Il Caffè”. L’impulso al
cambiamento venne però da Vienna: nel 1759 venne inviato a Milano un ministro
plenipotenziario, il conte Carlo di Firmian. La ristrutturazione delle magistrature culminò con la
operazione degli affari giudiziari, riservati al Senato, da quelli amministrativi e finanziari, affidati a
un “Magistrato Camerale”. I compiti di quest’ultimo erano la direzione del sistema censuario, la
gestione delle imposte dirette. In tal modo fu facile riscattare le “regalie alienate” (dazi ceduti
sotto il governo spagnolo a privati o copri civici) in cambio di anticipazione di denaro e quindi
unificato il mercato interno e smantellato il regime annonario e sciolte le corporazioni di arti e
mestieri. Sotto Giuseppe II venne soppresso il Senato e istituito un moderno sistema giudiziario,
articolato in tre istanze: in ogni provincia vennero insediati gli intendenti politici e anche il
controllo religioso era molto rigido: solo il principe poteva conferire i benefici ecclesiastici e
vennero sostituiti i seminari vescovili con un seminario regio a Pavia. Le scuole superiori di Milano
e l’Università di Pavia vennero dotate di biblioteche, strumenti scientifici e laboratori e dal 1786 si
diffusero le scuole elementari per il popolo.
4. La Toscana dalla reggenza a Pietro Leopoldo
Il Granduca di Toscana Francesco Stefano risiedeva a Vienna e si faceva rappresentare a Firenze da
un “Consiglio di Reggenza”, composto in parte da funzionari lorenesi. Al sovrano stava a cuore
assicurarsi un flusso di entrate al proprio dominio e quindi gli interventi di maggior prestigio
furono quelli riservati al settore finanziario: venne creata una “Ferma Generale” per la
concentrazione degli appalti e riordinata il debito pubblico. Nel 1743 una legge rivendicò allo Stato
il controllo sulla censura e una legge sulle manimorte nel 1751 subordinata la richiesta
dell’acquisto di nuove terre per gli enti ecclesiastici, all’autorizzazione statale. Gli ultimi anni della
reggenze furono aggravati da una carestia: Nel 1758 venne richiamato a Firenze Pompeo Neri, che
sosteneva fosse necessario favorire la circolazione delle derrate, per incentivare la produzione ed
il commercio dei grani. Questo orientamento liberista si affermò sotto il governo di Pietro
Leopoldo (1765-90): nel 1767 venne dichiarata libera la compravendita dei cereali all’interno dello
Stato e anche l’esportazione. Nel 1775, rimossa questa cautela, la Toscana divenne il primo paese
europeo ad adottare integralmente questa parte del programma fisiocratico. Allo stesso indirizzo
liberista vanno ricondotte la soppressione delle corporazioni di arti e mestieri e l’eliminazione di
tutte le dogane interne. Le altre iniziative di Pietro Leopoldo erano orientate a migliorare le
condizioni di vita delle classi minori: vennero bonificate la Valdichiana e la Maremma; divise in lotti
le terre della corona e assegnate a coltivatori diretti che potevano trasmetterle in eredità o
venderle, in cambio del pagamento di un canone annuo moderato e fisso. In realtà la maggior
parte dei terreni finì per essere acquistata da grossi proprietari nobili, che estesero la conduzione
a mezzadria. L’operazione più importante è l’approvazione del codice penale (1786) mirato a
umanizzare e razionalizzare le procedure, eliminando la tortura la pena di morte. Negli anni
Ottanta PL fece proprio il programma di rinnovamento della Chiesa toscana, elaborato da Vescovo
Scipione de’ Ricci, che proclamava la superiorità del concilio al pontefice, affermava l’indipendenza
dei vescovi da Roma, sostituiva il latino con il volgare nelle celebrazioni e semplificava il culto: il
programma non venne attuato, perché un’assemblea di vescovi convocata a Firenze nel 1787 si 71
dichiarò contraria. Il progetto di una carta costituzionale venne eliminato definitivamente quando
nel 1790 Pietro Leopoldo lasciò Firenze per succeder al fratello Giuseppe II nella direzione della
monarchia austriaca e nella dignità imperiale.
5. La società italiana alla fine del Settecento
Minimamente toccate dalle riforme furono lo Stato Pontificio e le Repubbliche oligarchiche di
Venezia, Genova e Lucca. Roma rimaneva una grande capitale, meta di un flusso di visitatori
dall’Europa e sotto Pio VI (1775-99) si affermarono nuovi indirizzi di politica economica, con
l’eliminazione di dazi interni e il tentativo di prosciugamento delle paludi pontine. Venezia fu il
maggiore centro editoriale italiano e sede di una raffinata civiltà letteraria. Il moto di laicizzazione
della seconda metà del secolo si trasformò da un parte in una contrazione numerica del clero
regolare e dall’altro nel diminuito ossequio per l’autorità della Chiesa e per la morale cattolica.
Aumentava invece il prestigio delle scienze pure e applicate, l’astronomia, la fisica, l’idraulica e la
biologia. Di pari passo va anche lo sviluppo di un costume mentale più libero e sciolto, che si
esprime nel “cicisbeismo” (usanza che riconosce alle donne sposate la possibilità di farsi servire da
un altro uomo). La nobiltà si pone il problema di giustificare i propri privilegi con una vita operosa
e si mescola con il “ceto civile”. In declino l’uso di destinare al chiostro le figlie nubili e di
sacrificare i cadetti al primogenito nella trasmissione dell’eredità. Da questa evoluzione rimasero
escluse le masse popolari, urbane e rurali: analfabete, immerse in un universo magico e religioso.
Non ebbero fortuna in questi strati i modelli di pietà illuminata proposti da sovrani riformatori o
predicatori giansenisti,anzi sucistavano irritazione e sommosse sia in Lombardia che in Toscana.
Anche in Italia si realizza un cospicuo aumento della popolazione: più forte al Sud e nelle isole, più
nelle campagne che nella città. Difficilmente, quindi, l’incremento demografico è da considerarsi
effetto di un progresso economico, ma anzi è l’accresciuta domanda di cereali, l’espansione delle
superfici coltivate e l’intesificazione del lavoro contadino che porta ad una aumento della
popolazione. Tipica è la diffusione della coltivazione del mais: cereale che garantisce alti
rendimenti e alternato con frumento e segale in terreni spossanti. Nella pianura lombarda
dominano colture foraggere e risaie, ma il quadro generale è contrassegnato dall’arretratezza
tecnica e dall’accresciuto sfruttamento del lavoro. Carestie di estensione nazioanle sono quelle del
1763 – 65. La forte ascesa dei prezzi, infine, andò tutta a beneficio dei proprietari terrieri: i
contadini povero furono colpiti in quanto i salari restavano fermi, mentre i prezzi salivano e perché
i padroni inasprirono i patti agrari, esigendo una maggiore raccolta del prodotto. Inoltre i governi
spesso favorirono l’attacco ai demani comunali e agli usi collettivi esercitati sulle terre incolte, per
promuovere la produttività. 72
Nascita di una nazione: gli Stati Uniti d’America
1. Gli inizi della colonizzazione inglese e francese nel Nord America
Le colonie inglesi del Nord America hanno avuto origini differenti: alcune sono donazioni o
concessioni fatte dalla monarchia inglese, altre sono nate per iniziativa di minoranze religiose che
hanno lasciato la madrepatria e altre vennero conquistate dagli inglesi durante le guerre del
Seicento. Ai primi del Settecento le colonia erano dodici e divennero tredici con la fondazione
della Georgia, in onore di Giorgio III. La popolazione arrivò ben presto a due milioni e mezzo, a
causa di una forte eccedenza delle nascite sui decessi e per il costante flusso immigratorio, dovuto
a motivi religiosi o giudiziari. Numerosi erano anche coloro che emigravano per trovare migliori
condizioni di vita e di lavoro. Gli schiavi neri superavano il mezzo milione alla vigilia
dell’indipendenza ed erano prevalentemente concentrati nelle colonie meridionali, dove
costituivano il 40% della popolazione. Essi erano importati dai Caraibi o dall’Africa e trattati come
animali da lavoro. L’economia meridionale era quella che si integrava meglio con la madrepatria:
gli forniva i prodotti dell’agricoltura in cambio di manufatti e generi di lusso. Le colonie del centro
e del nord, erano invece abitate da coltivatori diretti che producevano o importavano il necessario
per una società poco diversa da quella della madrepatria: commerciavano soprattutto con le Indie
Occidentali, e meno sviluppato era il commercio con la Gran Breta