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La lotta per l'indipendenza delle colonie americane

Inghilterra; il grande oratore whig Edmund Burke sostenne che la sospensione delle autorità civili sarebbe stata controproducente. Si sarebbe dimostrato che la società era talmente solida, da funzionare lo stesso, e che non aveva bisogno di essere governata dall'esterno. Il Parlamento inglese, come ritorsione, violava un diritto considerato sacrosanto da tutto il sistema britannico: quello del self-government.

Nell'autunno del 1774, si riunì a Filadelfia il primo "congresso" dei rappresentanti di tutte le tredici colonie e da allora le cose precipitarono. Fu organizzata una forza armata agli ordini del piantatore virginiano George Washington (1732-99), che nell'aprile del 1775 vinse il primo scontro importante, a Lexington. Si radicò, così, una coscienza indipendentista che prima non c'era. Il 4 luglio 1776 il Congresso di Filadelfia votò la Dichiarazione d'Indipendenza, scritta da Thomas Jefferson: un

compendio di pensiero illuminista con un'intonazione whig. A fianco delle colonie insorte intervennero le flotte francese e spagnola, con l'intento di riequilibrare la sconfitta subita nella guerra dei Sette Anni. Ma i successi decisivi furono ottenuti sul campo dall'esercito di George Washington, finché nell'83, con la Pace di Parigi, l'Inghilterra riconobbe l'indipendenza di una confederazione di Stati americani. Ci vollero ancora alcuni anni, fino al 1787, perché la confederazione diventasse unione, dotata della costituzione che tuttora regge gli Stati Uniti d'America. Fu istituito un potere federale forte, incarnato dal presidente, a capo di un esecutivo indipendente dal Congresso. Il presidente eletto dal popolo, nominava i ministri e non chiedeva la fiducia del Congresso; i poteri legislativo ed esecutivo erano dunque totalmente separati. Il potere giudiziario faceva capo a una "corte suprema" nominata dal presidente su

Proposta del Congresso: un'istituzione importante, destinata a dare stabilità alla nazione e mediare fra i diversi piani, fra il potere federale e l'autonomia dei diversi Stati, nonché fra le due rispettive diverse anime della democrazia americana, una moderata (federalista), l'altra radicale (imperialista). Il bipartitismo britannico si ripropose così al di là dell'oceano fra le due diverse anime della politica, una federalista un po' più tory, che ormai si poteva dire "di destra", un'altra repubblicana di tendenza whig "di sinistra". Il primo presidente degli Stati Uniti, eletto per due mandati nel 1789 e nel '93 fu Washington, il padre della patria; poi il repubblicano John Adams e il terzo fu Jefferson. Il sistema politico britannico dava, invece, segni di involuzione. Negli stessi anni della rivoluzione americana un giornalista e deputato, John Wilkes, diventò il simbolo del movimento.

che si chiamò radicale, che non si proponeva di cambiare "filosoficamente" la società, ma di allargare il sistema politico, i diritti politici, l'elettorato. Wilkes fu arrestato, ufficialmente per un articolo che offendeva il re, ma fu poi scarcerato perché, come disse il giudice, "la politica non è un argomento in un'aula di giustizia" ("governo della legge"). Giorgio III aveva determinato una sterzata in senso tory, cercando di far riprendere all'istituzione monarchica un ruolo centrale nel sistema politico inglese, ma per vent'anni non riuscì a trovare una classe di governo adeguata, finché il potere passò a William Pitt il giovane (1759-1806), figlio di Chatman, che vinse le elezioni del 1784 contro l'oligarchia tory e whig coalizzata e resse il paese negli anni cruciali del confronto con la Francia rivoluzionaria. Il giovane Pitt riuscì a moralizzare la vita pubblica.

Anche ridimensionando uno dei grandicentri di potere e di corruzione del sistema politico e commerciale inglese: la Compagnia delle Indie Orientali. Il radicalismo fu bloccato perché troppo simile al nemico francese giacobino e si rinviò di una generazione, fino al 1832, l'abolizione dei "borghi putridi" e la riforma del sistema elettorale.

Capitolo sesto: La flessibilità delle armi europee

XXXIII. Prove di globalizzazione. L'arma più importante fra quelle con cui gli europei hanno conquistato il mondo è stata la capacità di inserire tutto il pianeta in un unico mercato, di cui loro stessi erano i coordinatori. Questa estensione globale del modello occidentale è culminata solo alla fine dell'Età moderna, nell'epoca dell'imperialismo, ma ha radici assai risalenti, nella capacità maturata nelle città europee, di tradurre le relazioni commerciali e finanziarie in sistemi di controllo.

Nel Trecento, famiglia di mercanti e di banchieri avevano assunto il controllo dei capitali circolanti e dei principali flussi di merci. Erano gli unici a disporre di denaro liquido, delle informazioni e del credito necessari per permettere in tempi brevi a disposizione dei sovrani e delle città le somme necessarie a reclutare un esercito o a rifornire i mercati. Diventavano dunque politicamente potenti e grazie a quelle posizioni di forza si arricchivano ulteriormente e consolidavano il proprio status. Le quattro città italiane di Venezia, Milano, Genova e Firenze, erano le più forti nel controllo delle reti commerciali; erano repubbliche sovrane, governate dalle oligarchie mercantili. All'inizio dell'Età moderna il Mediterraneo e l'Europa costituivano un'unica "economia-mondo", le cui rotte facevano capo ad una decina di città; ai confini, invece si trovavano altri mondi relativamente poco noti, altre economie-mondo, con cui si

Scambiavano quantità di merci e valori significativi, ma pur sempre marginali. Su quelle frontiere non ci si conosceva più, fra mercanti, non ci si fidava, le lettere di cambio non avevano corso e si doveva pagare in oro.

Verso la fine dell'Ottocento, invece, tutta la terra sarebbe stata inclusa in un'unica economia-mondo, centralizzata dalle grandi capitali dell'Occidente: la storia dell'Età moderna è appunto la storia dell'allargamento dell'economia-mondo europea a tutto il mondo.

L'identità europea si è costruita intorno a consuetudini commerciali, e a tutti i problemi e i conflitti politici, sociali e umani, giuridici e amministrativi che queste pratiche ponevano. È stata per secoli un'identità conflittuale che si nutriva di fratture religiose e politiche, di visioni del mondo, di fedi, di costruzione di appartenenze contrapposte, ma è stata continuamente unificata dalla civiltà materiale.

Un tale brulicare di attività economiche quotidiano è stato giudicato da decenni dagli storici assai più rilevante delle scelte ideologiche e politiche, dei grandi indirizzi che l'Europa si è data: pratiche che cambiavano lentamente nel tempo, e che unificavano il bacino di quella economia-mondo, più di quanto gli schieramenti contrapposti non lo dividessero. Lo sviluppo dell'economia e dell'identità europea è sempre stato caratterizzato da grosse sacche di resistenza, che sono durate secoli. Quella che è stata chiamata la modernizzazione si è rallentata là dove le relazioni commerciali e culturali non avevano interesse a penetrare; lo sviluppo europeo ha preferito aggirare e saltare le sacche di resistenza per conquistare nuovi territori lontani, dove i profitti erano più promettenti e gli scambi commerciali più vantaggiosi. Per tutto il Quattrocento, la città forse più

Importante del dominio mercantile, o addirittura di un nascente capitalismo, fu Venezia, che aveva esteso la proprietà di scali commerciali a tutto il Mediterraneo orientale. Poi, nel pieno Cinquecento, il baricentro del commercio mediterraneo si spostò nel bacino occidentale e la leadership passò a Genova, che costruì un rapporto privilegiato con la superpotenza spagnola, di cui gestiva l'essenziale dei servizi finanziari. La superpotenza iberica restituiva protezione militare alla borghesia genovese che forniva agilità finanziaria. Le stesse famiglie genovesi avevano promosso la creazione della prima banca centrale della storia europea, fin dal 1407: la Casa di San Giorgio.

Il capitalismo come "modo di produzione", come lo definisce Marx, è nato molto più tardi, nell'Ottocento, ma già a Venezia e a Genova nel Rinascimento si è consolidata una caratteristica dell'accumulazione iniziale, che si è

Ritrovata poi nel capitalismo maturo, e tuttora si constata. In origine, il termine capitalista indicava chi disponeva di grandi quantità di denaro liquido, e generalmente le metteva a disposizione della politica.

Nel 1580, quando fu estinta la famiglia regnante del Portogallo e Filippo II invase il paese, vantando una parentela coi defunti re, la Spagna si assicurò il secondo impegno coloniale del mondo dopo il proprio, e mantenne il proprio dominio su Lisbona sino alla "rivoluzione" del 1640. Per tutti quei sessant'anni, la Spagna fu in guerra contro le Province Unite, e gli olandesi ne approfittarono per impadronirsi di una parte importante delle basi portoghesi nel mondo, perfino quasi presero il Brasile. All'epoca di Colbert e delle compagnie di commercio privilegiate gli olandesi arrivarono facilmente a controllare la maggioranza del commercio mondiale.

La ricchissima ma piccola Olanda era però destinata a seguire lo stesso declino delle repubbliche italiane.

dotate di enorme agilità finanziaria ma di scarsa territorialità politico-militare, ed era avviata a soccombere nel confronto con la grande potenza inglese che dalla prima metà del Settecento prese la guida del processo di estensione a tutto il pianeta del dominio europeo. L'Inghilterra era avviata alla rivoluzione industriale, che l'avrebbe portata a superare la dimensione mercantile. L'estensione finale e conclusiva del nostro modello a tutta la terra fu portata dai prodotti britannici e ottocenteschi, che fanno però seguito alla lunga preparazione di strumenti finanziari e commerciali soprattutto nelle città italiane e in Olanda, in tutto il corso dell'Età moderna.

XXXIV. Il pluralismo delle istituzioni. Foro interno ed esterno.

Secondo Marx ed Engels è sempre la società (struttura economica) che determina la politica (sovrastruttura sociale) e mai viceversa; anche lo Stato fa parte della sovrastruttura: un

“comitato d’affari” incaricato di agevolare il

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A.A. 2007-2008
90 pagine
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-STO/02 Storia moderna

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Novadelia di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia moderna e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Roma La Sapienza o del prof Scienze Storiche Prof.