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SCHEMA

NUOVA COSTITUZIONE

1) Rispetta l’autonomia degli Stati.

2) Stabilisce che il governo federale imponga e percepisca imposte, dazi, diritti e che

provveda al benessere degli Stati Uniti.

3) Il Potere Legislativo viene attribuito al Congresso, formato dalla camera dei rappresentanti,

e al Senato, costituito da due rappresentanti di Stato.

4) Potere Esecutivo viene attribuito al Presidente, eletto per quattro anni da un collegio

speciale di elettori. Il Presidente sceglie i ministri, approva le leggi discusse dal Parlamento

e nomina i nove membri a vita della Corte Suprema  contro le eventuali abusi di potere; è

garante dei principi della costituzione.

5) La costituzione ha bisogno della ratifica delle assemblee degli stati per poter andare in

vigore. La ratifica riaccendere i contrasti tra federalisti e antifederalisti; radicali e

conservatori; fautori di un forte potere centrale e sostenitori dei diritti degli Stati. Entra in

vigore nel 1788 e trova in George Washington il suo interprete più fedele.

Capitolo XXIII

La crisi della Francia nella seconda metà del Settecento

Il contrasto fra l’assolutismo e le esigenze della società

Dopo il 1740 la Francia aveva attraversato un periodo di crescita demografica, in seguito alla

scomparsa delle grandi carestie che avevano funestato la vita del regno nell’epoca precedente. A

questo aumento della popolazione era seguita una espansione della domanda di beni di consumo

e un conseguente rialzo dei prezzi. Lo squilibrio tra offerta e domanda provocò un balzo pauroso

nel costo della vita che accentuò l’insofferenza delle masse popolari francesi, le quali per questa

ragione si trovarono ad essere solidali con le critiche e le denunce che la borghesia formulava

all’assetto politico, giuridico ed economico dell’antico regime.

La nobiltà, “Stato” dominante nella società francese

Nel 1789 la società francese era organizzata ancora secondo tre ordini o stati, di origine

medievale: il clero e la nobiltà, ordini privilegiati; e il “terzo stato”, che comprendeva la grande

maggioranza dei cittadini. La nobiltà rimaneva la classe dominante della società. Nonostante fosse

divisa al suo interno, la nobiltà era concorde nella difesa dei propri privilegi (per esempio, il

permesso di portare la spada, il banco riservato in chiesa), economici e fiscali. Alla vigilia della

rivoluzione, però, la nobiltà si era impoverita. La nobiltà di corte, composta dalle famiglie più

prestigiose e importanti dell’aristocrazia, era ormai del tutto incapace di sopperire alla vita faticosa

e alle spese che il suo rango e la sua stessa funzione sociale richiedevano. Altrettanto precaria era

la condizione della nobiltà provinciale, i nobili di campagna, la cui unica fonte di reddito era

rappresentata dalla riscossione dei diritti feudali cui erano soggetti i contadini e il cui importo

effettivo era insufficiente a fronteggiare le aumentate esigenze derivate dalla crescita del costo

della vita. Vi era, infine, la nobiltà di toga, di origine più recente e di estrazione borghese. Questa

nobiltà era formata da coloro che avevano meritato dalla Corona i loro titoli. La nobiltà di toga era

profondamente legata ai suoi privilegi e ostile a ogni riforma che potesse intaccarli: per questa

ragione era solidale con gli altri ceti aristocratici.

La situazione del clero francese: le prerogative e le divisioni interne

Nella città il clero possedeva numerosi immobili dai quali riscuoteva affitti, ma ancora più estesa

era la proprietà rurale, che comprendeva il 10% circa dell’intero territorio nazionale. La decima

riguardava quella porzione dei frutti, della terra o delle greggi che i proprietari terrieri erano tenuti a

versare alla Chiesa. La decima era universale, in quanto gravava sulle terre della nobiltà come su

quelle degli ecclesiastici e su quelle del terzo Stato. Oltre alle decime il clero era soggetto solo a

un’altra imposta: il dono gratuito, un contributo volontario versato per sopperire alle esigenze

dello Stato e votato ogni cinque anni dall’assemblea del clero. Nonostante la maggiore solidità del

potere ecclesiastico rispetto a quello nobiliare, il clero in Francia era altrettanto diviso e discorde al

suo interno. L’alto clero, infatti, composto da vescovi, abati e canonici, non solo era reclutato

quasi esclusivamente tra la nobiltà, ma rappresentava il vero beneficiario dei privilegi della Chiesa

di Francia. Il basso clero, invece, curati e vicari, era quasi tutto di origine plebea e riceveva il

residuo minimo dei proventi della decima. Il basso clero avvertiva certamente il disagio della

propria posizione e le ingiustizie a cui era soggetto.

La borghesia, nucleo centrale della “Terzo stato”

Il Terzo stato comprendeva le classi popolari, urbane e rurali, la piccola e media borghesia

(artigiani, commercianti, avvocati, notai, professori, medici, magistrati non innobiliti). La borghesia

costituiva il nucleo centrale del terzo Stato ed era senza dubbio il ceto più consapevole dei propri

diritti e il maggiore e più terribile avversario dell’aristocrazia laica ed ecclesiastica. Più che la

ricchezza in sé, ciò che distingueva la borghesia dall’aristocrazia era il concetto che esse avevano

della ricchezza e del denaro. Mentre per il nobile la ricchezza è un patrimonio acquisito, per il

borghese è accumulazione di capitale e investimento. Economicamente passiva, la borghesia

ereditiera tendeva ad assimilarsi con la nobiltà ed era poco propensa ad una modifica dell’antico

regime. Veniva poi la borghesia delle professioni liberali, tra cui emergeva quella dedita ad

attività legali, culturalmente avanzata e consapevole dell’importanza della propria funzione. La

borghesia professionistica aveva assimilato più d’ogni altro ceto le nuove idee filosofiche, ed era

l’unica che annoverasse tra i suoi esponenti un cospicuo numero di elementi idonei a guidare

un’azione rivoluzionaria. Essa, infatti, avrà un ruolo di primo piano negli avvenimenti del 1789 e in

quelli successivi. La piccola borghesia, composta essenzialmente da artigiani e bottegai, era

legata alle forme tradizionali dell’economia, caratterizzata dall’arretratezza delle attrezzature e

dalla dispersione del capitale. La piccola borghesia mercantile e artigiana appariva poco incline

a mutamenti radicali. Accanto alla borghesia ereditiera, professionistica, mercantile e artigiana, vi

erano pochi nuclei di borghesia d’affari, che guidavano le attività economiche capitalisticamente

più evolute e che erano favorevoli alle nuove idee di libertà economica. La figura del

commerciante era di gran lunga prevalente fra questi nuclei di borghesia. Quella dell’industriale

era relativamente recente. Più importante e con una fisionomia più netta è il banchiere. Il suo giro

d’affari è internazionale, per cui non è legato a strutture tradizionali, né tende a difendere privilegi

particolari. Banchieri, industriali, commercianti, appoggiavano in pieno le rivendicazioni politiche

della borghesia professionistica e insieme a quest’ultima costituivano la parte più avanzata del

Terzo stato e quella contraria ai vincoli e ai privilegi dell’antico regime. Il borghese, che

socialmente aspirava a migliorare la sua condizione, sentiva che una barriera lo divideva dalla vera

classe dominante; ciò che egli cominciava a desiderare sempre più era il potere politico. La

borghesia si trasformò nella più compatta forza di opposizione all’assolutismo. Il borghese, infatti,

aveva praticamente nelle mani la macchina del potere statale; la faceva funzionare ma non era il

padrone. Il borghese, dotato di intelligenza e ricchezza, si trovava escluso dai nodi del potere e dai

posti cui ambiva. Il potere monarchico si serviva di mercanti e banchieri, ma in definitiva li

disprezzava, come li disprezzava la Chiesa. Il borghese, commerciante o banchiere, non accettava

ormai più di essere solo tollerato nel sistema.

I lavoratori urbani e contadini, ultima parte del “Terzo stato”

Ultima parte del Terzo stato, ma destinata ad avere, per il suo numero e la sua forza,

un’importanza decisiva, erano i lavoratori urbani e contadini, accomunati alla borghesia solo

dall’odio nei confronti dei ceti aristocratici. Nelle città il nucleo più rilevante era composto da

lavoratori giornalieri, ortolani, facchini, portatori d’acqua e di legna e dall’altra svariata

manodopera che svolgeva una serie di commissioni e dei piccoli servizi. Venivano poi il personale

domestico dell’aristocrazia e della borghesia e, infine, gli operai dipendenti delle corporazioni

di mestieri, i compagnons e, in misura meno cospicua, gli operai che lavoravano nelle poche

imprese industriali più evolute. La popolazione urbana era la più colpita dal rincaro dei prezzi e dal

mancato aumento dei salari. Di qui il diffuso malcontento del popolo della città, pronto a scatenarsi

con forza cieca alla minima voce di abuso e di speculazione sulla sua miseria da parte della classe

dirigente sia aristocratica che borghese. In un paese ancora rurale qual era la Francia alla vigilia

della rivoluzione, i contadini costituivano la parte più numerosa della popolazione. Le masse

contadine erano animate da un odio perenne nei confronti del mondo feudale, di cui sopportavano

in pieno tutte le angherie e i pesi. I contadini, anch’essi divisi tra una categoria di piccolissimi

proprietari e un’altra, più ampia, di proletari, desideravano l’abolizione dei diritti signorili e una

radicale riforma della distribuzione della terra. Accanto ai piccoli proprietari e al proletariato

rurale, che costituivano i due ultimi gradini della società agricola francese, bisogna annoverare un

fortissimo gruppo di mezzadri che era il ceto più numeroso, una piccola frangia di contadini

proprietari agiati e perfino ricchi, e infine un ceto di grandi affittuari di terre appartenenti ai

nobili e agli ecclesiastici. Lo sfruttamento tradizionale del suolo consentiva ai contadini poveri di

ovviare alla mancanza di terra. Il diritto di libero pascolo sulle terre e quello di uso dei beni

comunali erano fortemente avversati dei contadini ricchi. Di qui un notevole contrasto fra contadini

ricchi e contadini poveri sul tipo di organizzazione della proprietà terriera.

La nobiltà preme per la convocazione degli Stati generali

Già nel 1781 la situazione finanziaria francese era apparsa agli occhi esperti del banchiere

ginevrino Neckler in tutta la sua gravità. Troppe erano le spese e troppo scarso il contributo che i

ceti economicamente privilegiati, clero e nobiltà, davano allo Stato. La soluzione appariva chiara:

ridurre le spese e aumentare le entrate,

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A.A. 2015-2016
91 pagine
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SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-STO/02 Storia moderna

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Flavia1991 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia moderna e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Salerno o del prof Viscardi Giuseppe.