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SESTA QUESTIONE
IL SISTEMA CURTENSE
- L’Europa Occidentale dopo la lunga crisi del III-IV secolo
In età carolingia, la situazione economica europea è certamente scossa dalle invasioni
germaniche del V secolo e dall’insediamento dei Carolingi in una Germani senza insediamenti
urbani: primissima conseguenza fu un notevole regresso nella circolazione della moneta
dovuta alla crisi degli scambi nell’insicurezza delle comunicazioni. L’impoverimento e le
depredazioni causarono una forte riduzione demografica delle città e, in più, il declino delle
industrie estrattive.
- La mobilità del potere
il potere pubblico, dovette adeguarsi a un’economia fondiaria dalla scarsissima disponibilità di
denaro liquido: le monete preziose, che prendevano il loro valore dal loro peso fisico, erano di
provenienza bizantina e araba ed erano d’oro; nell’Europa Carolingia, circolavano per lo più
monete d’argento. Il fenomeno della mobilità di potere si affermò proprio dal bisogno non solo
di avvertire con la presenza fisica di re e regine la realtà del potere ma anche dal bisogno di
sostentamento e trovare un modo per riscuotere le tasse: i re e gli ufficiali erano itineranti,
ovvero si recavano in tutte le realtà locali della loro giurisdizione a spese di chi vi viveva.
Questa pratica prende il nome di diritto di albergaria: il vitto e l’alloggio era garantito dai
sudditi ai grandi del regno e al loro seguito ed era considerato una forma di riscossione delle
tasse. Questo dinamismo favorì il radicamento da parte dei vassi dominici nei territori dove
risiedeva la clientela, sia perché era molto più facile riuscire a farsi pagare tutte le tasse e poi,
perché, potevano gestire molto meglio situazioni emergenziali. A quel punto di creò una
grossa confusione tra res de comitatu (beni fiscali di godimento), beneficia (per vincolo
vassallatico) e allodi.
- Il grande latifondo
L’espansione della proprietà fondiaria fu un fenomeno molto importante causato da un
complesso di dinamiche che hanno coinvolto gran parte dei ceti della società allora esistente:
si parla di piccoli allodieri, vescovi e abati detentori di grandi proprietà donate alle relative
chiese, grandi proprietari.
Le proprietà degli enti ecclesiastici si erano notevolmente accresciute in seguito
all’affermazione del monoteismo nel IV secolo, infatti molti proprietari laici effettuarono
donazioni fondiarie alle singole chiese ma con l’invasione germanica, sia le aristocrazie
militari che il potere regio, sottrassero beni fondiari alle chiese. Dopo il IX secolo,, sotto i
Carolingi, il patrimonio ecclesiastico si accrebbe nuovamente in seguito all’affermazione del
diritto di immunità: i territori di competenza ecclesiastica erano esenti dalle imposizioni del
potere dei conti (via hoste ac placito).
Il potere regio protesse i beni degli enti religiosi a patto che redigessero dei polittici ovvero
degli inventari che facilitassero il controllo da parte del potere centrale.
L’espansione del latifondo laico, inoltre, fu caratterizzata da una certa violenza: l’arrivo dei
Goti, Burgundi, Franchi e Longobardi comportò la sostituzione dei piccoli e grandi proprietari
romani con quelli di origine germanica e l’aumento delle proprietà di piccola entità, in
controtendenza con la consuetudine latina per la quale la base economica dei latifondisti si
espandeva progressivamente a danno dei piccoli proprietari. Per ragioni di indigenza o per
necessità di protezione, si affidavano ai grandi proprietari: ciò non vuol dire che la piccola
proprietà aumento a danno della tendenza che prevedeva l’accumulo di beni fondiari nelle
mani di pochissimi grandi proprietari: i germani, infatti, redistribuirono le terre a seconda del
valore dimostrato in guerra e sulla base del peso politico, fedelmente alle loro tradizioni. I
nuovi proprietari germanici, si rivelarono molto simili ai romani: i liberi allodieri (o pauperes,
piccoli proprietari) si accommendavano ai potentes, divenendo commendati. Essi
trasferivano al potens di turno il possesso allodiale e in cambio gli veniva data protezione e
restituito il pezzo di terra in possesso tributario: di fatto la proprietà della terra era trasferita
al potens, l’accomendato conservava solo l’uso dietro il pagamento di un censo fondiario (che
riguarda la proprietà, invece quello personale è sulla persona del singolo contadino, non più
libero ma al servizio del potens). L’accommendatio, non era però sempre “forzata” dai
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grandi proprietari, poiché molti pauperes preferivano accommendarsi ai potentes poiché
volevano protezione e sottrarsi ai doveri pubblici quali il servizio militare e la partecipazione ai
placiti giudiziari. Chiunque disponesse di una certa possibilità economica doveva procurarsi
l’equipaggiamento e doveva partecipare al mantenimento del potere pubblico.
Gli Arimanni, nella società longobarda erano gli uomini liberi contraddistinti dalla capacità di
portare le armi e dunque dell’obbligo di far parte dell’esercito, con la convoca al re per la
guerra. Il profondo rivolgimento economico, politico e sociale che si accompagnò allo sfacelo
dell’Impero carolingio, determinò la scomparsa degli arimanni, intesi come classe sociale. I più
ricchi divennero probabilmente vassalli dei potenti e andarono a costituire l’ossatura della
cavalleria; la maggioranza decadde a contadini dipendenti, a servi. La connotazione di piena
libertà che comportava in passato la peculiarità degli arimanni, andò col tempo
stemperandosi sin quasi a ribaltarsi – X-XII secolo -. Coloro che continuavano a chiamarsi
arimanni, infatti, erano soggetti ad obblighi che in passato erano bensì sufficienti a
identificarli come uomini liberi ma che ora, venendo meno la protezione di un potere regio in
piena ritirata, apparivano sempre più gravosi e privi di corrispettivo. Nel generale
dissolvimento del potere pubblico, comunità di arimanni erano cedute dalle mani del re a
chiese o a potenti laici: essi si trovavano quindi, al pari di tutti gli altri contadini, conservando
però, obblighi speciali quali la costruzione di strade, ponti o fortificazioni.
Malgrado queste dinamiche, la piccola proprietà non scomparì poiché i capitolari carolingi
erano a favore di essi e a scapito delle grandi proprietà: il potere centrale voleva promuovere
il ceto piccolo e medio in quanto così poteva convocare più individui nelle fila dell’esercito,
coinvolgere più persone nell’attività giudiziaria e riscuotere meglio i diritti di albergaria.
In conclusione, di fatto erano i potentes a determinare le condizioni economiche dei piccoli
contadini: erano loro a prendere decisioni riguardo al prezzo dei beni, all’uso da destinare i
terreni incolti comuni e alle modalità di rotazione delle colture. In un’Europa fortemente
ruralizzata, erano i gruppi parentali proprietari di ingenti beni fondiari a detenere peso politico
e militare; le città non erano scomparse, ma si trattava di siti in costruzione in cui
convenivano genti occupate nei commerci, nel servizio militare e nell’opera evangelica. Le
città di nuova fondazione, sorgevano sui punti di intersezione tra le principali vie di
comunicazione e inoltre, costituivano il punto di intersezione dei destini dei singoli soggetto.
La rinascita della città, però, non poté contrastare l’affermazione di una stratificazione
economico-sociale basata sul possesso dei beni immobili fondiari.
- Un’economia di consumo
Nel Tardo Antico, i territori fondiari delle famiglie potenti, non presentavano una disposizione
geografica compatta, ma erano proprietà frammentate e disgiunte dato l’esito dei matrimoni
o per acquisizioni private in luoghi lontani come le provincie. Durante l’Alto Medioevo, a causa
delle lotte tra eredi tipiche della tradizione aristocratica militare, la disomogeneità dei territori
si accentuò insieme alla difficile gestione di essi. Anche le proprietà ecclesiastiche
continuavano ad espandersi ma, anche se sembrava più discontinuo di quelli privati, gli
uomini colti dell’episcopato seppero gestire meglio i loro patrimoni. In entrambi i casi, il
patrimonio si riduceva in minima parte in moneta mobile e i latifondisti laici andavano di zona
in zona per farsi mantenere dai loro contadini, essendo l’unico modo per riscuotere tasse,
mentre i chierici dovettero organizzare onerosi servizi di trasporto merci poiché non potevano
spostarsi dal loro luogo di culto. La natura discontinua dei beni, inoltre aggravava la
situazione specie nelle parti più lontane, i redditi finivano dispersi e a volte, gli stessi
contadini, facevano confusione vendendo la terra come se fosse propria o riuscivano a
nascondere parte del raccolto quando i sicari signorili andavano a riscuotere i tributi in natura.
Si nota come sia il sistema di riscossione fiscale, sia quello della redistribuzione delle
ricchezze (diretta come durante le carestie e indiretta tramite l’ospitalità), sia quello
dell’impiego dei proventi (armi e cavalli per gli aristocratici, lusso e pompa liturgica per i
chierici) risponda ai criteri tipici di un’economia di consumo.
La cosiddetta '"economia curtense"', tipica dell'alto medioevo, fu una fase di passaggio nel
mondo rurale tra l'economia della Villa romana e quella della signoria fondiaria del
feudalesimo.
-La curtis : la tipica azienda agraria dell’Alto medioevo
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Durante l’Alto Medioevo, viste le difficoltà gestionali dei latifondisti, la gestione diretta,
secondo la quale il villicus provvedeva alla direzione della “villa” facendo ricorso agli schiavi,
si affiancò quella indiretta che prevedeva l’affidamento di tali beni a dei coloni.
Villa è il nome romano per indicare un’unità aziendale (non fisica) di destinazione agricola;
curtis è il termine rintracciato nei documenti trovati in Italia e quindi adottato dai medievisti
per indicare quella di età Altomedievale. In ogni curtis (o villa) il complesso dei beni fondiari
veniva diviso in due parti, di cui una molto estesa, destinata alla gestione diretta (la parte
signorile o dominicum), l’altra spezzettata in numerosi poderi (mansi) la cui gestione era
affidata a singole famiglie, il massaricium. Il gestore di ogni manso doveva pagare i censi al
proprietario, riscossi dal villicus che era il gestore del dominicum per conto del dominus
ossia il proprietario dell’intera curtis.
La curtis, si definisce unità aziendale e non fisica perché caratterizzata dalla discontinuità
territoriale propria dei patri